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GIDEON LEVY / MOSHE ZUCKERMANN. Netanjahu e il Giorno della Memoria ad Auschwitz

🔆 LE MALETESTE 🔆

8 gen 2025

Benjamin Netanyahu non parteciperà il prossimo 25 gennaio alla cerimonia di commemorazione dell'80° anniversario della liberazione di Auschwitz. Le ragioni - GIDEON LEVY e MOSHE ZUCKERMANN

Benjamin Netanyahu non parteciperà il prossimo 25 gennaio alla cerimonia di commemorazione dell'80° anniversario della liberazione di Auschwitz



Da Auschwitz a Gaza, con scalo all’Aja


Di Gideon Levy*

23 dicembre 2024


Benjamin Netanyahu non si recherà in Polonia il mese prossimo per la cerimonia principale che segna l’80° anniversario della liberazione del Campo di Sterminio di Auschwitz, per timore di essere arrestato sulla base del mandato emesso contro di lui dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja.


Questa ironia amara e non così sottile della storia fornisce una confluenza surreale che era quasi inimmaginabile prima d’ora: solo immaginare il Primo Ministro atterrare a Cracovia, arrivare all’ingresso principale di Auschwitz e venire arrestato dalla polizia polacca al cancello, sotto lo slogan “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”); solo per considerare che tra tutte le personalità e i Paesi, è il Primo Ministro di Israele a cui è impedito di partecipare alla commemorazione dei membri del suo popolo a causa della minaccia di arresto per violazione del Diritto Internazionale che incombe sulla sua testa. Il Cancelliere tedesco, sì; Netanyahu, no.


Ottant’anni fa, quando Auschwitz fu liberata, sarebbe sembrato lo sviluppo più folle che si potesse immaginare. Non più. Ottant’anni fa, agli ebrei fu data la possibilità di scegliere tra due eredità: Mai Più, gli ebrei non affronteranno mai un pericolo simile, oppure: Mai Più, nessuno al mondo dovrà mai affrontare un pericolo simile. Israele scelse chiaramente la prima opzione, con un’aggiunta fatale: dopo Auschwitz, agli ebrei è permesso fare qualsiasi cosa.


Israele ha implementato questa dottrina nell’ultimo anno come mai prima. Un Primo Ministro che ha evitato una cerimonia ad Auschwitz è forse l’illustrazione più grossolana di ciò. Il fatto che tra tutti i posti al mondo, Auschwitz sia il primo in cui Netanyahu teme di andare, grida simbolismo e giustizia storica.


Altri capi di Stato parteciperanno alla cerimonia, ma non Netanyahu. È ricercato dal tribunale, istituito in seguito a quanto accaduto ad Auschwitz, per sospetto di Crimini di Guerra che, sempre più spaventosamente, assomigliano ai Crimini di Auschwitz.


La distanza tra Auschwitz e Gaza, con scalo all’Aja, è ancora enorme, ma non si può più sostenere che il paragone sia assurdo.


Dopo aver letto il rapporto da incubo di Yaniv Kubovich su ciò che sta accadendo nel Corridoio della morte Netzarim, ci si rende conto che questa distanza si sta riducendo di giorno in giorno.

È sempre stato impensabile paragonare qualsiasi cosa all’Olocausto, e giustamente. Non c’è mai stato niente del genere. I peggiori Crimini dell’Occupazione impallidiscono in confronto ai Crimini di Auschwitz.


Inoltre, questo paragone ha sempre proiettato un Israele candido come la neve e dipinto i suoi accusatori come antisemiti: dopotutto, non ci sono Campi di Sterminio a Gaza, quindi ogni accusa può essere facilmente respinta. Non ci sono Campi di Sterminio, quindi l’IDF è l’esercito più morale del mondo. Non ci saranno mai Campi di Sterminio a Gaza, e tuttavia i paragoni stanno iniziando a gridare da sotto le macerie e le fosse comuni.


Quando i palestinesi di Gaza sanno che dove si aggirano branchi di cani randagi, ci sono cadaveri umani mangiati dagli animali, i ricordi dell’Olocausto iniziano a riaffiorare.


Quando nella Gaza Occupata c’è una Linea della Morte immaginaria, e chiunque la attraversi è condannato a morte, persino un bambino affamato o disabile, il ricordo dell’Olocausto inizia a sussurrare.


E quando viene portata avanti la Pulizia Etnica nel Nord di Gaza, seguita da chiari segni di Genocidio in tutta la Striscia, il ricordo dell’Olocausto sta già ruggendo.


Il 7 ottobre 2023 sta emergendo sempre più come un punto di svolta fatale per Israele, molto più di quanto sembri al momento, simile solo alla sua precedente calamità, la guerra del 1967, che non è stata diagnosticata in tempo. Nella Guerra dei Sei Giorni, Israele ha perso la sua umiltà e il 7 ottobre ha perso la sua umanità. In entrambi i casi, il danno è irreversibile.


Nel frattempo, dobbiamo considerare l’occasione storica e coglierne il significato: una cerimonia commemorativa dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz, i leader mondiali marciano in silenzio, gli ultimi sopravvissuti in vita marciano al loro fianco e il posto del Primo Ministro dello Stato che è sorto dalle ceneri dell’Olocausto è vacante.


È vacante perché il suo Stato è diventato un emarginato e perché è ricercato dal tribunale più rispettato che processa i Criminali di Guerra. Vale la pena di alzare la testa e distogliere per un momento l’attenzione dallo scandalo di Hanni Bleiweiss e dall’affare Feldstein: Netanyahu non sarà ad Auschwitz, perché è ricercato per Crimini di Guerra.


*Gideon Levy è editorialista di Haaretz (ISR) e membro

del comitato editoriale del giornale.


Fonte: haaretz.com - 23 dic. 2024

Traduzione a cura di Invicta Palestina


 


Israele e il tradimento della memoria di Auschwitz


di Moshe Zuckermann

28 dicembre 2024


Il pubblicista Gideon Levy mi ha preceduto. In un recente editoriale dal titolo sul quotidiano Haaretz del 23 dicembre scorso ha affrontato un tema al quale anch’io volevo fare riferimento.

Inizierò citando Levy.

«Il primo ministro Benjamin Netanyahu – scrive – non si recherà in Polonia il mese prossimo per la cerimonia principale dell’80° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, per il timore di essere arrestato sulla base del mandato emesso nei suoi confronti dalla Corte penale internazionale de L’Aia. Questa amara e non troppo sottile ironia della storia fornisce un intreccio surreale che era quasi inimmaginabile prima d’ora: basta immaginare il primo ministro che atterra a Cracovia, arriva all’ingresso principale di Auschwitz e viene arrestato dalla polizia polacca al cancello, sotto la scritta Arbeit macht frei».


Prosegue: «Il fatto che tra tutti i luoghi del mondo Auschwitz sia il primo in cui Netanyahu teme di andare grida simbolismo oltre che giustizia storica». Levy fa notare plasticamente: «Una cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz, i leader mondiali marciano in silenzio, gli ultimi sopravvissuti in vita marciano al loro fianco e il posto del primo ministro dello Stato sorto dalle ceneri dell’Olocausto è vuoto. È vuoto perché il suo Stato è diventato un paria e perché è ricercato dal più rispettato tribunale che giudica i criminali di guerra». Levy conclude: «Netanyahu non sarà ad Auschwitz perché è ricercato per crimini di guerra».


QUESTO “evento” in effetti è paradigmatico. Ma a prescindere dal fatto che circa la metà della popolazione israeliana si augura il tramonto politico di Netanyahu, che molti sperano anche che alla conclusione del processo finisca in carcere, e che pur avendo commesso così tanti crimini (anche all’interno di Israele) si capisce l’odio nei suoi confronti (e della sua famiglia), Netanyahu stesso è solo un personaggio secondario in ciò di cui parla Gideon Levy.


Spesso a persone di basso rango viene cinicamente attribuita la responsabilità di errori e reati che sono stati causati o iniziati «in alto» nel rispettivo ordine gerarchico. Con sarcastico riferimento alla gerarchia militare, in Israele ha preso piede lo slogan della colpa della «guardia davanti all’ingresso dell’accampamento militare».


Ma la situazione è diversa quando viene condannata una prassi sociale o politica per la quale tuttavia non si può penalizzare un’intera collettività (come è diventato possibile ed è stato compiuto per accordo internazionale con il boicottaggio dello Stato di apartheid sudafricano). In questo caso il rispettivo capo di stato o altri funzionari di alto rango vengono chiamati a rispondere in rappresentanza simbolica dell’intera collettività. Condannando Netanyahu è stato condannato Israele.


Questo va messo in rilievo perché la responsabilità ministeriale per crimini di guerra è delle istituzioni dominanti, ma ha in genere un carattere più astratto. La barbarie (fisica) del crimine si compie invece «sul campo». In quanto governante, Netanyahu ha la responsabilità della politica da lui delineata e disposta e quindi degli orientamenti militari che ne derivano nell’attuale guerra.


Anche se rifiuta costantemente di assumersi qualsiasi responsabilità, soprattutto per il disastro del 7 ottobre, non sono però necessariamente sue le istruzioni che hanno generato i crimini di guerra concreti. Qui va considerato qualcos’altro. Perché ciò che si è visto nelle operazioni dell’Idf nella Striscia di Gaza nell’ultimo anno è un estremo abbrutimento delle truppe di combattimento in azione, i cui crimini di guerra si sono accumulati/si accumulano in una misura tale che ben presto si è iniziato a parlare di un genocidio nei confronti della popolazione civile della Striscia di Gaza.


IL DIBATTITO se si tratti effettivamente di un genocidio sia lasciato ad altra sede; la disputa divampata non fa che distrarre dalla sostanza – dal vistoso imbarbarimento dell’esercito israeliano e della sua attività bellica. È sufficiente focalizzarsi sull’accumulo di crimini di guerra per comprendere che in questa guerra si è dispiegato qualcosa che va ben oltre la persona di Netanyahu. È diventata norma una pratica di combattimento che ha reso «una cosa ovvia» un numero inconcepibile di civili morti e feriti, tra loro soprattutto donne, bambini e persone anziane, e una mostruosa devastazione delle infrastrutture e distruzione di strutture civili vitali.

In questa guerra si è dispiegato qualcosa che va ben oltre la persona di Netanyahu. È diventata norma una pratica di combattimento che ha reso «una cosa ovvia» un numero inconcepibile di civili morti e feriti

Di recente in un articolo sulla ricerca del dottor Lee Mordechai della Hebrew University di Gerusalemme ho scritto che l’accusa di aver commesso crimini di guerra è provata da tempo e che nessuno in seguito potrà affermare di non averlo saputo. Che i media mainstream nascondano alla popolazione del Paese i rapporti sulla barbarie praticata in suo nome, che praticamente la mascherino, non può essere accettato come spiegazione per il pubblico silenzio sui crimini – chi vuole sapere può venire a conoscenza di tutto. Naturalmente bisogna voler sapere.


Anche la «giustificazione» dei crimini di guerra nei confronti di ebrei israeliani commessi con il pogrom del 7 ottobre, non ha una base accettabile se si rifiuta che sia legittimo mettere l’esercito al servizio di pulsioni collettive di vendetta e rappresaglia. L’uccisione di bambini da parte di un esercito (come «danno collaterale») non può essere «riparazione» per un torto subito. Meno che mai se i suoi effetti crescono fino a una sproporzione così eclatante.


Ciò che risalta più di ogni cosa è il gusto, il sadismo e il malvagio piacere del danno altrui da parte di soldati, per una strage che stenta a volersi concludere. Il 7 ottobre è stato degradato a licenza per una distruzione eccessiva e per la cancellazione di vite umane senza alcuna remora. In nessuna guerra i soldati sul campo sono stati apostoli di umanità. Già Brecht nell’Opera dei Tre soldi faceva cantare che «i soldati abitano sui cannoni» e solitamente trasformano i loro nemici in una «bella tartare».


Per la popolazione civile nemica diventa particolarmente terribile quando vengono impiegati in modo massiccio bombardieri moderni. Ma ciò che sul campo di battaglia può essere spiegato a partire dalla logica interna di ciò che la guerra nella sua essenza è sempre stata – la legittimità concessa alla completa disinibizione nell’uccidere e devastare le condizioni di vita materiali – fa rabbrividire se emerge che un’intera collettività sostiene i crimini del proprio esercito nazionale.


Quel poco che la popolazione israeliana ha saputo dell’orrore della realtà di Gaza è stato (e viene tutt’oggi) rigettato con spaventosa indifferenza come non vero, come esagerazione, come perfida propaganda dell’altra parte o razionalizzata a cuor leggero attribuendo le colpe per i crimini di guerra agli stessi abitanti di Gaza («hanno iniziato loro»), oppure si dichiara apertamente di non essere in grado di provare compassione per loro.


Sia l’abbrutimento dei soldati sia l’indifferenza della popolazione civile israeliana derivano da una disumanizzazione dei palestinesi che da tempo si dispiega incessantemente. 57 anni di barbarie dell’occupazione e la persistente cancellazione del conflitto israelo-palestinese dall’agenda politica di Israele e del mondo (come portata avanti intenzionalmente soprattutto da Netanyahu) hanno mostrato il loro inevitabile effetto. La vita umana palestinese per la maggior parte degli ebrei israeliani non vale molto, meno che mai dopo il 7 ottobre e meno ancora quando si tratta degli abitanti di Gaza che dall’attuale governo israeliano vengono definiti nella loro quasi totalità come terroristi di Hamas.


UN’EQUIPARAZIONE della catastrofe di Gaza con Auschwitz non è sostenibile – la rigetta anche Gideon Levy nel suo editoriale. Ma non è questo il punto. Per troppo tempo la politica israeliana ha strumentalizzato la singolarità di Auschwitz per scopi politici eteronomi. Dalla Shoah non si può trarre insegnamento, neanche quello del postulato ideologico di quanto fosse necessario creare un «rifugio per il popolo ebraico», come ora dovrebbe essere diventato evidente.

Sia l’abbrutimento dei soldati sia l’indifferenza della popolazione civile israeliana derivano da una disumanizzazione dei palestinesi che da tempo si dispiega incessantemente

Semmai, dalla Shoah, si potrebbe far derivare come messaggio astratto unicamente il principio guida di una società impegnata a minimizzare se non a rendere impossibile che degli esseri umani continuino a produrre vittime umane. Questo potrebbe essere ciò che Walter Benjamin intendeva con il «debole potere messianico» che viene attribuito a ogni generazione presente in relazione a generazioni passate.


E proprio in questo si manifesta l’orrendo tradimento che Israele (non solo adesso, ma ora con una smisuratezza di sua scelta) ha commesso nei confronti della memoria di Auschwitz. E in questo, esattamente in questo, sta la spaventosità del simbolo che il primo ministro israeliano non parteciperà alla cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz perché deve temere di essere arrestato come quel criminale di guerra che in quanto rappresentante di Israele è.


*Moshe Zuckermann

è cresciuto a Tel Aviv come figlio di ebrei polacchi sopravvissuti all'Olocausto. I suoi genitori emigrarono a Francoforte sul Meno nel 1960. Dopo essere tornato in Israele nel 1970, studiò all'Università di Tel Aviv, dove insegnò all'Istituto per la storia e la filosofia della scienza e delle idee e diresse l'Istituto per la storia tedesca. È andato in pensione nel 2018.



Pubblicato in origine su Overton Magazin. Traduzione a cura di Sveva Haertter e Helena Janeczek

Fonte: ilmanifesto.it - 8 gen. 2025

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