# LE MALETESTE #
3 mar 2023
“Chi causa la morte di un cittadino israeliano spinto da motivi razzisti o di odio, e con lo scopo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella sua patria, rischia una condanna a morte”.
di GLORIA FERRARI e CHIARA CRUCIATI
Israele punta a reintrodurre la pena di morte, ma solo per i palestinesi
2 marzo 2023
“Chi causa la morte di un cittadino israeliano spinto da motivi razzisti o di odio, e con lo scopo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella sua patria, rischia una condanna a morte”.
Recita così il disegno di legge proposto da Otzma Yehudit – partito politico ultranazionalista ebraico che tra i suoi punti programmatici prevede l’annessione a Israele dell’intera Cisgiordania – discusso il 26 febbraio e approvato dal Comitato Ministeriale per la Legislazione israeliana.
La strada verso l’approvazione definitiva è ancora lunga, dovrà essere sottoposta all’analisi del consiglio di sicurezza e del Parlamento, ma dopo il primo parere positivo pare possibile.
Se approvata la legge andrebbe a sancire una volta di più l’esistenza in Israele di un sistema di segregazione razziale (come già denunciato da Amnesty International e da inviati dell’ONU) dove la pena di morte sarà introdotta, di fatto, solo per i cittadini palestinesi.
L’annuncio è arrivato subito dopo la notizia delle due persone israeliane uccise in un attentato palestinese nei pressi di Nablus, in Cisgiordania. «Agiremo per scoraggiare i terroristi e mantenere la sicurezza. Colpiremo il terrorismo con forza», ha commentato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
«In questo giorno difficile in cui 2 cittadini sono stati uccisi non c’è nulla di più simbolico che approvare questa legge, giusta e morale» ha ribadito Ben Gvir, suo Ministro per la sicurezza nazionale che sul tema ha basato tutta la sua campagna elettorale. Il senso della legge, spiegato dai due rappresentanti, non è quello di punire gli atti terroristici con il carcere («Non vogliamo che tornino in circolazione dopo aver scontato la pena»), ma di eliminarli alla radice, uccidendo cioè chi li avrebbe commessi. Funzionando, a loro parere, da deterrente.
«Sono rimasto sbalordito nel vedere l’opposizione al disegno di legge, che intende porre fine all’assurda realtà in cui terroristi assassini con le mani sporche di sangue vengono liberati dopo alcuni anni dal carcere e continuare a vivere comodamente la propria vita», sostiene Son Har-Melech, Membro della Knesset israeliana.
Al momento il testo non chiarisce quale metodo verrebbe utilizzato per eseguire la pena di morte, ma una cosa, invece, è piuttosto chiara, seppur non specificata: dal momento che Israele etichetta come ‘terrorista’ chi danneggia il suo Stato e impedisce al suo popolo di rinascere, è molto probabile che, dovesse essere approvata, tale legge non si applicherebbe mai ai ‘terroristi’ ebrei che uccidono i cittadini palestinesi.
Secondo Baharav-Miara, procuratrice generale di Israele – il cui parere solitamente è vincolante – il disegno di legge non soddisfa i requisiti costituzionali. In Cisgiordania infatti non vige la legge israeliana e le regole non sono emanate dalla Knesset. Il territorio è invece occupato illegalmente dalle IDF, Forze di difesa israeliane. L’introduzione della nuova legge potrebbe essere visto dalla comunità internazionale come un tentativo ufficiale di imporre il proprio ordinamento e cambiare lo status dell’area, in maniera illegittima.
«Crudele, disumano e umiliante», si legge nel commento di Amnesty International Israel, «una legge di apartheid, un crimine contro l’umanità nato dall’idea contorta della supremazia ebraica e ha lo scopo di legittimarla». Tentativi che in realtà Israele porta avanti da anni imponendo la propria presenza fisica in territori che non gli appartengono.
Le stime dicono che in Cisgiordania vivano almeno 400mila israeliani, insediatosi negli anni cacciando i palestinesi. Le colonie israeliane non sono dei piccoli accampamenti, sono al contrario vere e proprie città in miniatura ultra-militirazzite, abitate da migliaia di persone e dotate di strade, scuole e qualche industria. La loro esistenza è da sempre la scintilla che tiene accesa la fiamma del conflitto tra israeliani e palestinesi, un fuoco che arde costantemente e che spesso esplode in violenta repressione. E che di fatto, ha impedito, almeno fino ad oggi, il raggiungimento di una pace duratura.
La nascita delle colonie israeliane risale al 1967, dopo la fine della Guerra dei sei giorni, al termine della quale lo Stato di Israele conquista tutta la Cisgiordania e l’intera città di Gerusalemme (compresa la parte Est, abitata principalmente da palestinesi).
Una vittoria, quella di Israele, mai riconosciuta però dalla gran parte della comunità internazionale, che già dalla Seconda guerra mondiale incoraggia la nascita di uno stato palestinese indipendente. Un supporto però che non si è mai tradotto in azioni concrete.
Motivo per cui, Israele, nonostante la convenzione di Ginevra (la quarta) nel 1949 abbia stabilito che “la potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”, ha proceduto in maniera piuttosto disinvolta nella costruzione di insediamenti illegali in casa palestinese, “per motivi di sicurezza e di controllo del territorio”.
E di smantellamento, ormai, non se ne discute neppure più, per almeno due motivi: per via della grandezza che tali colonie hanno raggiunto e perché tutti i Governi che si sono succeduti in Israele non hanno mostrato alcuna intenzione di eliminarle – Netanyahu ha addirittura inserito l’ampliamento degli insediamenti nel suo programma elettorale ufficiale.
C’entra anche la comunità internazionale. Israele alla fine dei conti ha sempre potuto fare un po’ come gli pare. Sopraffare con la costruzione di edifici, violare ripetutamente i diritti dei palestinesi a proprio piacimento, reprimere il dissenso con l’accusa di terrorismo e tentare di cancellare la storia araba, senza timore di ritorsioni significative da parte di nessuno, neppure dell’Occidente.
GLORIA FERRARI
da: lindipendente.online - 2 marzo 2023, h. 11
________________
AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA: La pena di morte per puntellare l’apartheid israeliana
DIRITTI. Al di là dell’impressione suscitata dall’assistere a un passo del genere proprio nell’unico stato del Medio Oriente in cui la pena capitale non è applicata, il testo lascia sgomenti: per com’è scritto, è evidente che non riguarderà il caso, contrario, in cui l’omicida sarà un ebreo e l’ucciso un palestinese
Nonostante la procuratrice generale avesse avvisato che sarebbe stato meglio valutare prima se il provvedimento avrebbe potuto avere qualche effetto deterrente, domenica scorsa il comitato legislativo del governo israeliano ha dato via libera alla legge sulla pena di morte.
Secondo il testo proposto dal partito di destra Otzma Yehudit, che ieri ha passato il primo voto in parlamento, «chi intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano, se l’atto è portato a termine per motivi razzisti o di odio allo scopo di danneggiare lo stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella sua patria», è passibile di pena di morte.
Se il crimine è commesso in Cisgiordania, la pena verrà inflitta da un tribunale militare anche in caso di non unanimità del verdetto.
IL MINISTRO per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato che «si tratta di una legge morale, tanto più necessaria in uno stato in cui i cittadini israeliani vengono presi di mira da un’ondata di terrorismo, e che esiste nella più grande democrazia del mondo», un chiaro riferimento agli Stati uniti. Che dunque non avranno motivo di protestare. Nella nota di accompagnamento alla legge, si fa riferimento al «grande effetto deterrente» della pena di morte, che peraltro proprio negli Stati uniti ha dimostrato di non esistere.
Al di là dell’impressione suscitata dall’assistere a un passo del genere proprio nell’unico stato del Medio Oriente in cui la pena di morte non è applicata (il numero globale è di 144 stati, l’ampia maggioranza del pianeta) e del ritorno della mai dimostrata idea della «deterrenza», il testo lascia sgomenti: per com’è scritto, è evidente che non riguarderà il caso, contrario, in cui l’omicida sarà un ebreo e l’ucciso un palestinese.
Non a caso, Amnesty International Israele ha preso una posizione ferma: l’organizzazione per i diritti umani ha definito la legge «un altro tassello di un colpo di stato legale che intende aggirare se non eliminare gli ultimi contrappesi che, di tanto in tanto, hanno cercato di difendere i diritti umani delle minoranze: un colpo di stato legale nato dalla contorta idea della supremazia ebraica e che intende legittimarla».
Siamo di fronte a un altro tassello del sistema di apartheid israeliano: una legge che crea una distinzione su base nazionale ed etnica tra chi compie un omicidio e di cui si propone l’applicazione anche dove la legge della Knesset non ha competenza e dove regnano le ordinanze militari, ossia nei Territori occupati palestinesi.
L’ORRORE è che il sistema dell’apartheid si rafforzi attraverso una legge sulla pena di morte. L’Europa, che ha una consolidata posizione abolizionista e che è da tempo promotrice delle risoluzioni contro la pena di morte all’Assemblea generale delle Nazioni unite, prenderà posizione? O prevarrà, come sempre quando si tratta di diritti umani, «l’eccezione Israele»?
Anche di questo si parlerà il 14 marzo a Roma, in un convegno in programma alle 15.30 all’Università La Sapienza cui prenderanno parte, tra le altre, Francesca Albanese (relatrice speciale delle Nazioni unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967), Leila el Houssi (docente di Storia e istituzioni dell’Africa presso la facoltà di Scienze politiche, Sociologia e Comunicazione), la giornalista e scrittrice Paola Caridi e, per Amnesty International, la coordinatrice delle campagne Tina Marinari.
*portavoce Amnesty International – Italia
da: ilmanifesto.it - 3 marzo 2023
________________
In Israele pena di morte per terrorismo. Amnesty: «Apartheid»
28 febbraio 2023
Itamar Ben Gvir lo aveva promesso appena nominato ministro della sicurezza nazionale, due mesi fa: tra le priorità del suo dicastero ci sarebbe stata la reintroduzione della pena di morte in Israele per i palestinesi accusati di terrorismo. Domenica la promessa si è concretizzata nel primo passo della futura legge: il comitato ministeriale sulla legislazione ha approvato un disegno di legge che istituisce la pena capitale per i terroristi.
Via libera del governo Netanyahu, dunque, nonostante il parere contrario (e in teoria vincolante) della procuratrice generale Gali Baharav-Miara che ha definito la proposta «incostituzionale» (a maggior ragione, dice, nella parte che fa riferimento ai Territori occupati, essendo appunto illegalmente occupati).
A presentare il disegno di legge è stato Otzma Yehudit, il partito di ultradestra Potere ebraico, che dettaglia il concetto di «terrorista»: chiunque «intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano quando l’atto è compiuto per motivi razzisti o di odio e con l’obiettivo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella propria patria».
Definizione ampia e che non indica i palestinesi come primo obiettivo (tra l’altro, il 20% dei cittadini israeliani è palestinese) da cui la necessità di Ben Gvir e del premier Netanyahu di dare qualche dettaglio in più, indicando nell’uccisione di due coloni israeliani vicino Nablus la molla finale della proposta di legge. La stessa stampa israeliana, a partire dal Jerusalem Post, indica come assai improbabile che a essere condannato a morte possa essere un ebreo che assassina un palestinese.
A livello internazionale le reazioni non sono certo di giubilo. Già qualche giorno fa Amnesty aveva condannato la proposta sia per la crudeltà della pena di morte sia perché la legge «è il tentativo di creare una distinzione su base etnico-nazionalista e questo la rende una legge di apartheid». Condanna anche dagli esperti Onu: «Passo profondamente regressivo» che «tra l’altro si applicherà alle minoranze e a chi vive da 55 sotto occupazione».
CHIARA CRUCIATI
da: ilmanifesto.it - 28 febbraio 2023