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JEFF HALPER. L’indifferenza di Israele e l’importanza di testimoniare

📌 LE MALETESTE 📌

4 gen 2025

Intervista L'attivista politico e accademico, dalla prospettiva di ebreo statunitense, non ha mai smesso di alzare la voce contro la strage di palestinesi a Gaza - BEATRICE CASSINA

di Beatrice Cassina

4 gennaio 2025


«Rooted in the West Bank» è un film che segue la lotta dei contadini palestinesi per la sopravvivenza sotto le politiche del governo israeliano di prosciugamento e seppellimento della loro fertile valle di Baka’a, sotto l’espansione dell’insediamento di Kiryat Arba, le demolizioni delle loro fattorie, pozzi, bacini idrici, sistemi di irrigazione e case, da parte dell’Idf e l’estrema violenza dei coloni sanzionata dal governo.

Queste sono famiglie con cui l’Icahd (Israeli Committee Against house demolition), ha lavorato negli ultimi 26 anni, con la loro storia umana e politica condivisa, raccontata dai registi Bruno Sorrentino e Uri Fruchtmann. La fermezza, in azione nel programma Witness di Al (bloccato dalla visione in Israele dal governo israeliano) è visibile su https://www.youtube.com/watch?v=xhXIYns7ZeM»

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Oggi, di nuovo e dopo i sempre e soliti troppi anni di silenzio compiacente, se non vantaggiosamente negazionista, il mondo potrebbe essere finalmente svegliato da un lungo e insopportabile letargo indifferente, per rendersi finalmente conto di quello che sta realmente succedendo in Palestina.

Un referente, il referente a cui continuiamo a chiedere delucidazioni di come e perché questo stia continuando a succedere in Palestina – mentre il mondo è stato comunque invaso, e continua ad esserlo, da manifestazioni per la fine degli attacchi israeliani sul territorio palestinese, è Jeff Halper.


Ebreo-americano, già professore di antropologia e quindi tra i creatori nel 1997 di Icahd, continua a raccontare la sua storia, sempre per aiutare il popolo palestinese ad avere finalmente giustizia.

Lo stesso Halper, dice con aria quasi incredula: «Nessuno avrebbe immaginato che Israele sarebbe stato capace di fare quello che ha fatto e continua a fare. Io stesso sicuramente no. Questo è un vero genocidio». Adesso questo termine, tanto criticato e osteggiato da tanti politici e informazione nel mondo, sembra aver avuto una lettura concretamente obiettiva.


Del resto, basta realizzare che da ottobre 2023, le vittime palestinesi sono ormai non meno di 45mila (sempre calcoli approssimativi), gli orfani più di 20mila, 17mila bambini uccisi e almeno 10mila bambini feriti.


I raid israeliani sono riusciti a colpire anche bambini in coda per il pane (il pane!) nel campo profughi di Nuseirat. Proprio così diceva anche il sito dell’Ansa – «Gaza, bambini in fila per il pane e altri sotto le tende degli sfollati uccisi dai raid israeliani».

E intanto l’Onu ci avvisa che ci sono 75mila presone senza accesso ad acqua e cibo. E di fatto si parla di morte imminente per il 96% dei bambini a Gaza e, il 70% di loro hanno espresso il desiderio di morire.


La stessa Amnesty International ha parlato di genocidio a Gaza, mentre la sede israeliana respinge il rapporto. Così si sono dimessi il presidente e due membri palestinesi dalla sede israeliana. Pare che l’unica risposta di Tel Aviv sia stata: «solo bugie di fanatici».

I raid sono avvenuti a poche ore dall’appello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha chiesto a larghissima maggioranza un cessate il fuoco immediato e incondizionato nella Striscia. Una richiesta simbolica, respinta sia da Israele che dagli Stati Uniti.


«Del resto», spiega Halper, «anche se all’assemblea al palazzo dell’Onu in tanti sono usciti mentre Netanyahu si accingeva a parlare, non importa niente a nessuno del popolo palestinese. Almeno fino a che Stati Uniti, Europa, (anche se non tutti i paesi saranno d’accordo) e Nato sono con Israele, non si risolverà niente. In più l’India ha un ottimo rapporto con Israele, anche perché gli vende un sacco di armi, e Modi è per un nazionalismo Indù. Modi e Netanyahu si amano davvero, e Israele ha un’ottima relazione militare anche con la Cina. Detto questo, non ci sono molte speranze. E anche tutte le nazioni che hanno un buon rapporto con la Gran Bretagna non possono aiutare più di tanto perché non si schierano apertamente contro Israele. Solo il Sud Africa si sta realmente opponendo a Israele, gli altri paesi restano in una specie di neutralità. Questo è il vero problema con i tanti governi. Non fanno quello che dovrebbero fare, e in questo senso Israele, a cui non importa niente dell’opinione altrui, vince.


Ovviamente, fino a che non sarà sanzionata. Israele dice che a loro non importa nulla neanche dell’Icj (International Court of Justice) e dell’Icc (International Criminal Court) – entrambe anche impegnate sulla questione palestinese. Almeno fino a che non saranno imposte sanzioni, soprattutto economiche.

Adesso per esempio noi abbiamo una campagna per farlo espellere dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, come era stato già fatto con il Sud Africa. Se qualcosa del genere succedesse, allora sì che avremmo raggiunto un risultato davvero significativo. Ma altrimenti, a chi importa? Hanno i loro commerci, i loro interessi».



Di fatto si parla solo della soluzioni a due stati, su giornali, in televisione, mai di un solo stato.

Infatti, Noi lo chiamiamo «Two States Apartheid», e ho spiegato molte volte il perché non avrebbe nessun senso per il popolo palestinese. Di fatto sembrerebbe giusto. Il parlamento, il governo e i media parlano sempre di due stati, ma non guardano mai i dettagli. Certo che due stati potrebbe funzionare, con due popoli, con uno stato palestinese e tutto il resto. Ma nessuno guarda cosa sarebbe in realtà. Per i palestinesi ci sarebbero solo 4 isole (solo il 10% del territorio Palestinese), senza economia, senza sovranità e comunque sempre controllati da Israele… Ma che razza di stato potrebbe essere? E questa sarebbe la soluzione? Per i palestinesi ci sarebbero solo le aree A e B. quindi sarebbe un settimo dell’area di Gaza. Due milioni e mezzo di persone in un’area più piccola di Milano, ormai senza infrastrutture funzionanti. Senza niente.



E oggi ormai è tutto completamente distrutto.

Nessuno vorrà ricostruire. Chi vorrà mai mettere 50 miliardi di dollari soltanto per ripulire tutto nel corso di almeno cinque anni? Gli Stati Uniti, adesso con Trump, non faranno nulla. Gaza ormai è una terra senza speranza, una waste land, e non ho idea di come le persone possano tornare a vivere lì. E nessuno comunque pare essere interessato più di tanto. Tutti vogliono il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi, ma nessuno sembra realmente interessato ai 2 milioni e mezzo di persone rimaste senza niente.



Quando alle Nazioni Unite molti rappresentanti sono usciti appena è arrivato Netanyahu, sembra non sia servito a niente, vero?

Certo che Israele non è visto bene alle Nazioni Unite. Paesi come la Spagna, Irlanda, Belgio, Norvegia hanno esposto quello che pensano. Ma ancora non si sono spinti a sanzionare realmente Israele. E questo è perché Israele dice che non gli importa niente. Fintanto che non mi butti fuori e non mi dai sanzioni, che importa! E questa è la realtà. E il problema adesso è anche che l’anno prossimo ci saranno molte elezioni in Europa e tutti i partiti di destra avranno sicuramente la meglio… in Francia, Germania, Spagna, Scandinavia, Finlandia, voi italiani, Austria…. e tutte le destre daranno supporto a Israele. Per ora non riesco a immaginare nessuna soluzione.


***


Nato a Boston, Jeff Halper è antropologo, autore, docente e attivista politico israelo-americano che vive in Israele dal 1973. È coordinatore al The People Yes! Network (TPYN) e, dal 1997 direttore dell’Israeli Committee Against House Demolitions (icahd.org/) e co-fondatore di The One Democratic State Campaign. È autore, tra gli altri, di «La guerra contro il popolo» (2015) ed è stato selezionato per il Palestine Book Award per il suo libro del 2021 «Decolonizing Israel, Liberating Palestine». Per le Nazioni Unite ha lavorato per i diritti del popolo palestinese e partecipato al primo tentativo del «Free Gaza Movement» di rompere l’assedio israeliano. Nel 2006 è stato nominato dall’American Friends Service per il premio Nobel per la pace



Fonte: ilmanifesto.it - 4 gennaio 2025

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