# LE MALETESTE #
18 giu 2022
Linea d’Ombra è un’associazione detta “Organizzazione di Volontariato”, nata a Trieste nel 2019. Il suo fine è raccogliere fondi per sostenere le popolazioni migranti lungo la rotta balcanica e ovunque potrà esserci bisogno.
Linea d’Ombra è un’associazione detta “Organizzazione di Volontariato”, nata a Trieste nel 2019. Il suo fine è raccogliere fondi per sostenere le popolazioni migranti lungo la rotta balcanica e ovunque potrà esserci bisogno. I migranti si addensano a migliaia nel nord della Bosnia, al confine con l’Unione Europea, in campi mal gestiti e nelle strade, in condizioni di vita inaccettabili. Sul confine la polizia croata, assistita e finanziata da Frontex e dall’UE, cerca di bloccare il passaggio dei profughi, riuscendoci solo in parte: è impossibile fermare le migrazioni, sono parte integrante della natura umana. È però importante sapere che ciò avviene, illegalmente e con mezzi violenti. Si parte dal furto di telefoni, soldi, vestiti e persino delle scarpe, per arrivare alla tortura vera e propria, fisica e psicologica. Linea d’Ombra ODV si impegna in questo contesto, con denaro raccolto mediante donazioni, per rendere meno insopportabili le condizioni di vita dei profughi, per denunciare le situazioni inaccettabili nei campi e il disumano comportamento delle polizie di confine. A questo scopo stiamo creando una rete di persone e associazioni solidali. In oltre 18 viaggi, abbiamo raccolto più di 60000€, portati in Bosnia come aiuti diretti e sostegni a realtà autonome locali. Abbiamo realizzato un documentario e svariati reportage. Abbiamo pubblicato su Pressenza e Melting Pot il resoconto di ogni viaggio, e sollecitato la stampa nazionale ad affrontare la questione.
Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi «C’era una fontanella, sa? Oltre alla statua della principessa Sissi qui c’era anche una fontanella. Gliel’hanno chiusa con la scusa della pandemia di Covid. Arrivano a volte dieci persone, a volte nessuno, a volte cinquanta. Sono affamati, assetati, spaventati. Hanno bevuto dalle pozzanghere. Vagato per i boschi. Spesso non dormono da giorni. Hanno scarpe rotte, segni di torture e piedi sempre feriti. Sono afgani, siriani, iracheni, kurdi, qualche yemenita». «Facciamo un gesto semplice. Scendiamo in strada, gli domandiamo chi sei, come ti chiami. Non sempre rispondono, a volte non hanno voglia di parlare. Si vergognano. Lavo i loro piedi, medico le ferite, metto le garze, do calze pulite». Perché lo fate? «Guardi, non ho fatto mai volontariato in vita mia. E non mi piace supplire allo Stato che dovrebbe assisterli. Arrivano qui stremati se sopravvivono al Game. Lo chiamano così il viaggio in cui puoi farcela e vincere, o essere un fallito e tornare indietro. O morire. In Bulgaria gli aizzano i cani d’assalto. In Croazia li rinchiudono nei container per due o tre giorni, tra i loro escrementi. Spesso li torturano, poi li rimbalzano indietro». Gli tolgono i vestiti, le scarpe. Quindicenni ricacciati con le scosse elettriche. Li inseguono nei boschi con i droni, con gli strumenti che rilevano il calore. «Li trovano e li bastonano». «Una mattina Trieste ha iniziato la giornata con il cadavere di un ventunenne al molo 6. Dove attraccano i mercantili, era afgano, è stato schiacciato tra due container. È morto stritolato. A Natale una ragazzina di dodici anni che tentava di arrivare qui è affogata in due metri d’acqua mentre attraversava un fiume in Croazia. Impossibile risalire al suo nome. Di là dal confine la polizia quando li trova in gruppo li accerchia. Ne prende uno e lo massacra di botte. Quelli che ce la fanno hanno addosso i segni di torture anche psicologiche profonde, sono ragazzi minacciati di morte, hanno visto amici cadere e sparire. Se scendi in strada, se li vedi, come puoi tornare a casa tua?». Le rotte balcaniche principali sono due. Una va dalla Grecia in Macedonia e in Serbia settentrionale passando da nord. Ora è la meno usata. Vanno in Bosnia, attraversano il fiume o camminano lungo i ponti della ferrovia. Oppure passano da sotto, verso il mare. Dalla Grecia verso l’Albania e poi in Montenegro e da lì in Bosnia.
«Fino al 18 dicembre del 2021, arrivati in Italia venivano respinti senza foglio d’espulsione, senza nulla. La polizia li prendeva e li sbatteva indietro. Impossibile appellarsi a una norma se non hai un documento che attesti l’espulsione. L’Italia li rispediva di fatto alla Croazia gonfiata di soldi europei per proteggere i nostri confini. Dopo un ricorso vinto dall’avvocata Caterina Bove le deportazioni che non lasciano traccia dovrebbero essere impedite». Come si comporta con voi la polizia? «Ci lasciano fare, fanno finta di non vederci finché gli togliamo le castagne dal fuoco. Gli immigrati della rotta balcanica sono qui di passaggio, Vogliono salire sul treno per Milano, per Torino Val di Susa. Vogliono andare in Francia, in Germania». Alla stazione con lei chi c’è? «All’inizio e per tanto tempo siamo stati solo io e Andrea, Trieste è una città fascista. Ci ignora quando non è ostile. C’era un centro di primo soccorso. Hanno chiuso anche quello. Chi non parte subito va a dormire in una struttura fatiscente del vecchio porto austriaco. Scavalcano la recinzione e si rifugiano lì dentro. Ogni tanto ci sono degli sgomberi». «Io che non avevo mai usato facebook in vita mia, ho dovuto cercare aiuto con i social durante l’ondata della prima rotta balcanica, chiedevo: dove sono le organizzazioni umanitarie? Sono arrivate persone piano piano. Abbiamo dovuto formare un’organizzazione di volontariato (lineadombra.org una volta al mese va in Bosnia, porta ai migranti vestiti, calze, scarpe ndr). A volte siamo ormai una quindicina davanti alla stazione di Trieste, Ricercatori universitari. Studenti. Persone che vengono da fuori».
Lorena Fornasir, che lavorava come psicologa clinica alla Asl di Pordenone, era giudice onorario per le adozioni al Tribunale di Trieste. Era. Perché l’anno scorso un sostituto procuratore di Trieste – un collega – ha accusato lei e suo marito per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Una nota della questura che dava allora la notizia precisava: “l’attività investigativa è stata condotta dalla Digos di Trieste, supportata dal Servizio per il Contrasto all’estremismo e al terrorismo esterno”. Il fatto: avevano ospitato in casa per una notte una famiglia iraniana con due bambini piccoli. Il fascicolo era stato mandato alla procura di Bologna, non potendo Lorena Fornasir essere giudicata nello stesso tribunale in cui prestava servizio. Il giudice per le indagini preliminari di Bologna ha disposto l’archiviazione su richiesta del pm perché non esistevano “elementi in grado di consentire la sostenibilità dibattimentale dell’accusa”. Lorena Fornasir, che nel frattempo era sospesa dalla funzione, ha mollato. Lorena Fornasir è figlia di partigiani. Di sua madre, Maria Antonietta Moro, di cui ha poi pubblicato i diari, dice: «Borghese, cattolica, antifascista, mi ha lasciato un’eredità sottile. Aveva studiato in Convitto. Sapeva di medicina. Fin da giovanissima aderì al movimento partigiano antifascista. Lavorando in ospedale, il suo fine era salvare prigionieri feriti e in attesa di venir giustiziati. Si segnava orari, luoghi degli spostamenti dei carcerati: incessantemente chiedeva e interrogava i fascisti feriti, per poi annotare tutto e redigere un lucido piano di assistenza a 360 gradi, prodigandosi a far evadere i condannati a morte. Per ottenere questo, arrivava anche a drogare i gerarchi fascisti e, così facendo, ha salvato molte persone. In Slovenia fino all’8 settembre aveva il nome di battaglia di Natasha. Poi fu fatta passare nelle file partigiane italiane con il nome di Anna. Lì conobbe mio padre. Nome di battaglia: Ario. Era il comandante della Ippolito Nievo B a Gorizia».
«Quando curo i piedi di questi ragazzi, dal basso posso guardare i loro occhi. Si vergognano molto a farsi curare i piedi, mi dicono “scusa mamma, scusa mamma”. Mi prendono le garze per pulirsi da soli. Loro mi riconoscono come persona e io li riconosco. Con un gesto semplice si crea una grande intimità con uno sconosciuto. La loro energia è una sorgente. È un dono reciproco che ci facciamo. Vedendo loro, come possiamo sopportare le nostre vite?»
Come aiutare LINEA D'OMBRA OdV? Ai nostri donatori chiediamo la pazienza di leggere queste poche righe. Se abbiamo potuto accogliere centinaia di migranti in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica, e contribuire alla sopravvivenza di coloro che restano bloccati in Bosnia in attesa di partire, lo dobbiamo alla solidarietà della rete di sostenitori che andata via via crescendo, una piccola comunità che sentiamo come parte integrante del nostro collettivo. Tuttavia la struttura della nostra associazione resta quella originale di un gruppo di cura, che cammina sulle gambe di un ridotto numero di attivisti, con una gestione amministrativa e burocratica al minimo indispensabile per legge. Superare un determinato limite di bilancio comporterebbe un diverso assetto, e – almeno per il momento – preferiamo concentrare le nostre energie sulla cura in strada e avere in cassa non più di quello che prevediamo di spendere effettivamente entro pochi mesi.
Pertanto chi vuole aiutare i migranti della rotta balcanica può:
Trasformare la propria donazione inviando una carta regalo di buoni Decathlon al gruppo facebook WWMIH, che da tempo ci supporta;
Sostenere le organizzazioni attive in Bosnia e lungo la rotta con le quali collaboriamo e delle quali conosciamo il modo di operare: Udruzenje Solidarnost, No Name Kitchen, Blindspots, Border Violence Monitoring Network, Progetto 20K, World Travelers Community.
Quando avremo nuovamente bisogno di aiuto non mancheremo di fare appello ai sostenitori, ma nel frattempo vi chiediamo di non interrompere il legame con noi, scrivendo o venendo a trovarci a Trieste in Piazza Libertà, perché nell’incontro possa rafforzarsi la comunità solidale che si oppone alla violenza delle frontiere. Linea d’Ombra vive di donazioni volontarie e non riceve nessun finanziamento pubblico, per mantenersi indipendente. Accettiamo anche donazioni tramite bonifico bancario intestato ad Associazione LINEA D’OMBRA ODV, Banca Etica, IBAN IT05V0501802200000017121492. Per aiutarci nell’invio della ricevuta, utile per detrazione fiscale, inviateci copia del bonifico alla mail lineadombra.odv@gmail.com. Le donazioni serviranno ad aiutare i migranti in difficoltà bloccati in Bosnia e in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica. Grazie per il tuo supporto.