# LE MALETESTE #
28 nov 2022
C’è un richiamo che riporta alle prime Camere del Lavoro romagnole dell’Ottocento e all’Iww, il sindacalismo rivoluzionario americano che propugnava l’azione diretta e l’abolizione del lavoro salariato
L'ultimo lavoratore bracciante entrato è marocchino. Si chiama S. Con lui siamo arrivati a 19 lavoratori. Del Mali e del Senegal, del Gambia e del Marocco. Proprio oggi mi ha chiamato una squadra di una decina di lavoratori siciliani, anche loro braccianti che vengono a raccogliere per qualche mese nella piana, avessimo avuto più appartamenti li avremmo inseriti senza problemi alle stesse condizioni degli altri. Si perché questo Ostello non è per gli immigrati, o per i rifugiati, è per i lavoratori mobili.
FRANCESCO PIOBBICHI, dalla sua pagina facebook, 26 nov. 2022
Dal ghetto al «Dambe So», una casa per la dignità dei braccianti di Rosarno
Al via il progetto di Mediterranean Hope
Parte dei costi sarà sostenuta dalla vendita degli agrumi della filiera di Etika
L’hanno chiamata Dambe So, termine della lingua bambara parlata in diverse zone dell’Africa. È «La casa della dignità», ideata, progettata e messa in atto per sperimentare la «deghettizzazione» dei braccianti che popolano gli insediamenti informali della Piana di Gioia Tauro (RC).
Gli artefici sono gli operatori e i volontari di Mediterranean Hope – Fcei (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia). Dal mese di febbraio il centro ospita 10 braccianti provenienti dalle baraccopoli di Rosarno e San Ferdinando, e «si pone come modello di sperimentazione per un’alternativa alla logica dei campi di accoglienza basata sul principio della sostenibilità e dell’economia circolare».
Francesco Piobbichi, conosciuto da tutti come «Piobbico», si è trasferito in Calabria da tre anni. Perugino di Umbertide, già animatore delle Brigate di solidarietà attiva, si è messo in testa un’idea rivoluzionaria e dirompente: liberare il tempo dei braccianti e fare in modo che i raccoglitori acquisiscano piena coscienza della propria condizione.
L’ostello sociale di san Ferdinando, che in maniera più strutturata partirà dalla prossima stagione di raccolta agrumicola, ospita dal febbraio scorso 10 braccianti ed arriverà ad ospitarne un massimo di 20 dal prossimo settembre.
«I lavoratori migranti contribuiranno alle spese della struttura con una piccola quota. Parte dei costi sarà sostenuta dalla vendita delle arance della filiera di Etika, altro progetto sociale ed ecocompatibile che Mediterranean Hope e Sos Rosarno hanno costruito in Italia e in Europa in questi anni. Una rete di acquisto tra le chiese e il mondo associativo che garantisce un prezzo equo per chi lavora e contribuisce all’accoglienza dei lavoratori».
Piobbichi dice che in questa sperimentazione c’è un richiamo che riporta alle prime Camere del Lavoro romagnole dell’Ottocento e all’Iww, il sindacalismo rivoluzionario americano che propugnava l’azione diretta e l’abolizione del lavoro salariato per il raggiungimento di una democrazia industriale dove la gestione dei luoghi di lavoro fosse trasparente e in mano alla stessa classe lavoratrice. E che fosse capace non solo di proporre, ma anche di prefigurare, praticandolo, un diverso modello sociale.
«Vogliamo attualizzare le antiche società di mutuo soccorso – spiega – dimensione mutualistica, diritti del lavoro e forme basilari di welfare, insieme. In questi anni abbiamo lavorato per costruire un esempio concreto e dare alla politica un segnale: è possibile «smontare» i ghetti e uscire dalla logica dell’emergenza. L’ostello è un esempio in questa direzione. La responsabilità sociale delle imprese permette inoltre una sostenibilità economica. Il progetto non pesa sulla fiscalità generale dello Stato ma redistribuisce i profitti all’interno della filiera. Ma quel che più conta è ridare la dignità ai lavoratori. Lavoratori che, contribuendo alle spese, avranno lavoro e casa come elementi di integrazione, in un luogo non separato dal resto del Paese».
Molto soddisfatto anche Ibrahim Diabate, operatore sociale, poeta, già bracciante agricolo. «Crediamo che in questo progetto ci siano grandi prospettive di crescita – spiega Diabate – . Ci stanno pervenendo numerose richieste di posti disponibili, anche da fuori della Piana. I ragazzi qui vivono bene, quindi tutti hanno voglia di venire. Grazie alla rete che abbiamo messo in piedi, questo è un modello riproducibile. Ci sono migliaia di case abbandonate nel territorio. Basta avere la volontà politica. Soprattutto, è importante che una volta per tutte i lavoratori della terra siano considerati esseri umani, persone, non strumenti da lavoro. Noi a costo zero abbiamo fatto tutto questo. Alle istituzioni, che spendono milioni di euro delle casse pubbliche in progetti che spesso non producono nulla e finiscono per peggiorare la situazione, chiediamo una cosa semplice: ma davvero è così difficile seguire questa strada?».
da: ilmanifesto.it 21 mag. 2022
"In questo buio, che per me ha un nome: Capitalismo, il Dambe So e SOS Rosarno spezzano le logiche del sistema dominante, ne mostrano le crepe e costruiscono un modello di possibile e reale alternativa; ma hanno bisogno di noi, della solidarietà diretta.
Il riscatto sociale non credo che verrà solo dai pacchi alimentari o da una logica assistenzialista che non libera dallo sfruttamento, ma rischia di contribuire a perpetuarlo. Cosa si può fare allora?
SOS Rosarno dà lavoro e quindi rende possibile il riscatto dei migranti e del territorio, dando risposte a piccoli produttori che rischiano costantemente di scomparire a causa dei meccanismi infernali del Libero Mercato, nel quale le condizioni le dettano, senza possibilità di contrattazione, i padroni del cibo e quindi delle nostre vite.
SOS Rosarno supporta anche progetti locali come il Dambe So, la Casa della dignità e tanti altri, nazionali e internazionali, grazie alla quota sociale proveniente della vendita delle arance ad un prezzo equo e trasparente.
Non è un invito solo a fare ordini, è un invito a costruire reti, a curare relazioni, a prendere consapevolezza della forza che abbiamo di aiutare a cambiare ciò che non va. Se c’è chi ha in mente di fare una vacanza in Calabria, al Dambe So nell’appartamento dove ho alloggiato ci sono due camere, un bagno, una cucina, arredate, anche per i visitatori estivi. Il mare è a due passi e anche nelle giornate più calde di notte arriva una brezza fresca, la zona è silenziosa e si possono raggiungere spiagge mozzafiato. Quando finirà la stagione estiva dei pomodori, i migranti ritorneranno qui sulla piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi e tra le centinaia e centinaia di lavoratori alcuni di loro rientreranno qui al Dambe so, anche in questi due appartamenti, che ora sono liberi e in uno dei quali sono stata accolta.
Dal libro degli ospiti leggo che prima di me sono state qui anche due gasiste di Genova e due persone di una bottega del Commercio Equo di Saronno. Gli ospiti lasciano un’offerta e così il progetto si autosostiene insieme con l’affitto per i lavoratori di 90 euro al mese e il contributo di SOS Rosarno con la vendita delle arance “libere dal lavoro schiavo”.
Tutto questo per una dignità riconquistata e un lavoro liberato.
ALBERTA CARDINALI, GAS Montimar di Senigallia – Rete GAS Marche
Pubblicato il 5 ago. 2022 alle 08:12
“I primi mesi di sperimentazione – conclude Francesco Piobbichi, coordinatore del progetto di MH a Rosarno – hanno dimostrato che l’intuizione che abbiamo avuto ha basi solide per continuare. La cosa più importante è che i lavoratori braccianti che hanno attraversato l’ostello hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno, perfezionare i percorsi di emersione dall’irregolarità con la sanatoria e dimostrare a tutti che è possibile uscire dal sistema dei “ghetti”. Ora vogliamo mettere a sistema quanto fatto, allargando la platea delle persone che potranno usufruire dell’ostello, generando un processo di mutualità e reti di economia circolare che rendano gestibile e autonomo economicamente questo progetto”.
Un’altra vacanza è possibile.
È a pieno regime l’ostello sociale Dambe so, “La casa della dignità”, nella Piana di Gioia Tauro.
Giovani, associazioni, gruppi di acquisto solidale, esponenti delle chiese protestanti da tutta Italia e anche “semplici cittadini” si stanno alternando in questo “condominio solidale”, per vedere da vicino la realtà del territorio calabrese.
Quasi cinquanta persone, nei tre mesi estivi, che a rotazione trascorreranno alcuni giorni negli appartamenti disponibili all’interno della struttura.
Proprio nei giorni scorsi, tra gli ospiti di Dambe so un gruppo di giovani della Comunità delle Piagge di Firenze.
Per realizzare questa esperienza di “turismo solidale” una rete di volontarie e volontari locali si è attivata intorno a Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che ha promosso l’iniziativa dell’ostello autogestito dove, dallo scorso febbraio, abitano diversi lavoratori braccianti.
Antonella Belfiore Tommaso, di San Ferdinando, pensionata ed ex insegnante, è entrata in contatto con la realtà delle persone immigrate e impiegate in agricoltura nella zona quando c’è stata la rivolta di Rosarno, nel 2010. Da allora si è attivata per le persone che vivono e lavorano in questa zona. In questi anni, insieme ad un gruppo di cittadini, è stata sempre a fianco delle persone migranti, a partire dalle attività di insegnamento della lingua italiana presso l’hospitality school (una scuola nata nel 2018 a pochi passi dal ghetto formale di Rosarno, gestita principalmente da associazioni e Ong, ndr).
Dal lavoro di formazione ed insegnamento, all’incontro con Giuseppe Pugliese e Sos Rosarno, e alla collaborazione con il progetto “Luci su Rosarno”. Da febbraio, è anche volontaria presso l’ostello sociale: “Per me è un’esperienza esaltante e coinvolgente dal punto di vista emotivo, mi sento molto realizzata nel fare qualcosa di utile. Penso che i migranti abbiano bisogno di un contatto diretto e famigliare, un’attenzione e un sorriso che “fuori” non hanno, persone che nei posti di lavoro ricevono solo ordini e qui ricevono invece almeno un po’ di attenzione”.
Allo stesso tempo l’ostello, grazie all’”interazione coi turisti estremamente positiva” sta diventando anche un “luogo di socialità”. La prospettiva, secondo la volontaria, è quella di poter “integrare questo luogo, in uno spirito di promozione del territorio”.
E il territorio, la popolazione, come reagisce? “Qualche conoscente mi ha chiesto se non ho paura, c’è una certa reticenza”, afferma la volontaria. Anche in occasione di alcune iniziative pubbliche, la sua percezione è che il territorio abbia reagito “guardandoci da lontano”. Tra queste iniziative alcune giornate di pulizia delle spiagge, durante le quali sono state raccolte “anche 60 buste di immondizia”.
Quanto ai ghetti formali, per Belfiore Tommaso, “quello non è il modo di poter gestire” l’accoglienza dei lavoratori. Un modello che miri all’integrazione, all’inclusione, alla partecipazione, sarebbe auspicabile: come già accade “a San Ferdinando per la comunità marocchina”, ad esempio, radicata da anni.
Angela Chiodo è un’altra volontaria, ha 29 anni ed è dottoranda di ricerca in diritto penitenziario.
Il progetto dell’ostello rappresenta per lei una sfida e un’occasione, la dimostrazione che esiste del “materiale da costruire, in una convergenza di vedute e un’unione di intenti” che fanno ben sperare. Insieme ad altre persone, ha partecipato nei giorni scorsi all’inaugurazione del Giardino della memoria, spazio per ricordare cittadini e cittadine impegnate per i diritti e il lavoro nella Piana di Gioia Tauro.
Miriam Bovi, volontaria di Mediterranean Hope e ricercatrice in filosofia politica e sociologia, si occupa da giugno, tra le altre cose, di un corso di kick-boxing, che si svolge tre sere a settimana nel piazzale e nel tratto di strada di fronte all’ostello, a pochi passi dalla spiaggia: “L’aspetto relazionale è fondamentale per uscire dall’isolamento. Attraverso lo sport, si possono abbattere le barriere e i pregiudizi, accedendo a una dimensione partecipativa e paritaria con semplicità e spontaneità. Basta qualche guantone e un po’ di fantasia. Pratico e insegno questo sport da diversi anni e, anche qui, insieme ai lavoratori braccianti, i turisti e le turiste solidali, gli operatori e le operatrici e i volontari e le volontarie, siamo riusciti a riunire le diverse esperienze personali.
Da un lato, la pratica della kick boxing aiuta a canalizzare il carattere individuale di ognuno nella tecnica e nella disciplina e, dall’altro, permette di aumentare l’autostima, creando uno spazio sociale e leggero che svuota la testa da preoccupazioni e frustrazione. Per tutte e tutti. Speriamo di aprire questo tempo e questo spazio anche agli abitanti di San Ferdinando”.
Pape è uno dei lavoratori che vivono all’ostello da febbraio e il suo bilancio è positivo: “Sto bene e in questi mesi abbiamo incontrato i turisti, abbiamo avuto modo di far conoscere il territorio, ci sono state occasioni di confronto e scambio, ci sono stati e ci sono gli allenamenti di boxe, con i braccianti. Abbiamo anche organizzato una cena africana. Siamo contenti…La mia vita è migliorata non solo grazie all’ostello ma già da prima, grazie al lavoro con Sos Rosarno di cui sono socio lavoratore. Mi auguro che a ottobre potranno arrivare altre persone che vorranno stare qui all’ostello”.
da: NEV, nev.it (agenzia di stampa della FCEI) - 2 ago. 2022
Rosarno, comune di circa 14 mila abitanti nella Piana di Gioia Tauro, viene presentato come un importante snodo ferroviario e autostradale, ma anche come il primo Comune d’Italia a costituirsi parte civile in un processo antimafia ottenendo un risarcimento dei danni patrimoniali, ambientali e morali causati dai mafiosi. Fu l’allora Sindaco Giuseppe Lavorato (futuro Deputato PCI 1987) a ottenere questi risultati. Durante i suoi due mandati da sindaco (1994-2003) lavorò per costruire un dialogo tra i braccianti, (organizzati da caporali) che durante la stagione della raccolta delle arance arrivavano numerosi, e i cittadini. Decenni caratterizzati dal forte condizionamento delle cosche della ‘ndrangheta sulla vita sociale ed economica. L’uccisione del Segretario della Sezione del Partito Comunista di Rosarno, Giuseppe Valarioti (11 giugno del 1980) a colpi di lupara, segnò pesantemente tutto il territorio. Il sindaco Lavorato subì spesso intimidazioni, incendio auto e strutture, rifiutò la scorta.
Rosarno nel 2010 è stato il teatro della rivolta dei migranti. Nel 2018 a San Ferdinando viene ucciso il sindacalista della USB Soumayla Sacko. Nel complesso l’aria non è cambiata, racconta un giornalista: “le ‘ndrine continuano a comandare, decidono e condizionano”. Il Comune è commissariato. I lavoratori braccianti che sostengono tutta l’economia della Piana con la loro forza lavoro, non hanno garantiti i diritti minimi per vivere dignitosamente.
In questo contesto ci provano alcune aziende agricole, eroiche, come Sos Rosarno o Equosud e altre. “In mezzo alle difficoltà giace l’opportunità”. Ci provano anche gli operatori di Mediterranean Hope progetto delle Federazioni Chiese Evangeliche con un ostello sociale Dambe So (Casa della Dignità): sei appartamenti dove ci sono attualmente dodici persone, una goccia nel mare in confronto alla tendopoli invivibile poco distante, tuttavia un esempio concreto, percorribile.
Rosarno Film Festival. Fuori dal Ghetto. In piena attesa per il nuovo Governo (14-15-16 ottobre) è l’occasione per ricordare quanta vivacità e ricchezza esista appena ci si allontana dal teatrino della politica. In poco tempo un gruppo di persone si sono unite per organizzare l’evento. Per mesi lo abbiamo chiamato festival sgarrupato, tante idee nessun soldo. Unico concorso cinematografico senza premi in denaro, ma solo prodotti della terra. Unico nell’utilizzare ancora i volantini distribuiti da volontari locandine stampate in casa, appiccicati su spazi liberati. Per mesi WhatsApp ha preso fuoco per il numero di messaggi: manca la prolunga, cerchiamo amplificazione, al Comune chi ci va? Poi tutto magicamente ha funzionato.
È in questo contesto che nel 2022 nasce il Rosarno Film Festival. Fuori dal Ghetto (14/15/16 ottobre)
"Per mesi lo abbiamo chiamato festival sgarrupato, tante idee nessun soldo. Unico concorso cinematografico senza premi in denaro, ma solo prodotti della terra. Unico nell’utilizzare ancora i volantini distribuiti da volontari locandine stampate in casa, appiccicati su spazi liberati. Per mesi WhatsApp ha preso fuoco per il numero di messaggi: manca la prolunga, cerchiamo amplificazione, al Comune chi ci va? Poi tutto magicamente ha funzionato.
Come dice Ibrahim, Diabate Ghanese, operatore di Mediterranean Hope: “Questo festival ci dà la possibilità di dialogare con il territorio e istituzioni. Essere considerati. Dieci anni fa non era possibile”. Il loro punto di vista non viene mai ascoltato. La giuria per il concorso composta da lavoratori braccianti cerca di sanare questa mancanza.
Il Rosarno Filmfestival Fuori dal Ghetto, rende disponibili i film per chi volesse organizzare una serata. È stato organizzato da Mediterranean Hope- Federazione Chiese Evangeliche e la Rete delle Comunità Solidali in collaborazione con: RiVolti ai Balcani, Comune-info, Altreconomia, Sos Rosarno, FuoriMercato -autogestione in movimento Sea Watch, ResQ, Confronti, Cinema Metropolis Umbertide, Cinema postmodernissimo Perugia, EquoSud, Acmos.
“Questo festival – commenta Francesco Piobbichi – parla di diritti, di cultura e di lavoro, In un territorio come la Calabria dove vanno via ogni anno migliaia di giovani, e che si riempie di altri giovani che emigrano per cercare migliori condizioni di vita e finiscono sfruttati nelle campagne. Bisogna rimettere al centro la dignità del lavoro e il modo in cui produciamo e consumiamo cibo. Attivare la mutualità e liberarci dalla grande distribuzione”. Per un festival “sgarrupato” temi importanti.
da: comune-info.net - 18 ott. 2022
"Sarò molto chiaro e franco, questa esperienza chiamata Dambe so - casa della dignità, che si sostiene grazie ai contributi dei lavoratori braccianti, della quota sociale delle arance di Etika/SOS Rosarno, e durante l'estate dei turisti solidali non è semplicemente una pratica. È un fatto sociale, un elemento concreto che dice alla nostra classe politica, al mondo della filiera agricola, ed a quello sindacale, che è possibile smontare i ghetti.
Noi lo stiamo facendo senza chiedere un euro allo stato, ma mi piacerebbe che lo Stato chiedesse ai padroni della filiera agricola la quota sociale dell'accoglienza per produrre 10 100 Dambe so in ogni territorio. In particolare che la chiedesse alla grande distribuzione fissando un prezzo equo per i prodotti sotto il quale non si può scendere. È una cosa visionaria? Certo che lo è. È una cosa irrealizzabile? No, è fattibile.
Basterebbe applicare qualche centesimo di quota sociale sul prezzo finale delle arance che dovrebbe essere sostenuta dall'intera filiera agricola. Ovviamente il peso principale dovrebbe sostenerlo la grande distribuzione.
Con qualche centesimo al kg si avrebbe un introito che sosterrebbe l'accoglienza degna dei lavoratori braccianti come salario indiretto.
Con fondi gestiti dai comuni che avrebbero così le risorse aggiuntive per gestire il fenomeno con una programmazione adeguata.
Se questo inverno riusciremo ad ampliare questa esperienza sarà questo il punto politico che mi piacerebbe discutere.
Il tema della responsabilità sociale delle imprese agricole nei luoghi di alta concentrazione di lavoratori braccianti, una responsabilità fissata dalla nostra costituzione e mai esercitata a partire da quella grande distribuzione che mai nessuno ha avuto il coraggio di chiamare a rapporto per quello che avviene nelle campagne in Italia.
Dalla logica dell'emergenza ne usciamo con la programmazione, dalla guerra tra poveri con la giustizia sociale.
Noi stiamo dimostrando concretamente che è possibile un'alternativa.
Fuori dai ghetti dentro le case non è più una scritta su un muro, è una pratica reale.
Ci vediamo ad aprile, vi racconterò come è andata. 🙂"
FRANCESCO PIOBBICHI, dalla sua pagina facebook, 26 nov. 2022