top of page

"LA LIBIA NON PUO' ESSERE CONSIDERATA UN PORTO SICURO" - A confermarlo, una recentissima archiviazione decisa da un tribunale italiano

CARCERE LE VALLETTE TORINO INTERNO.jpg

Tra le motivazioni addotte per l'archiviazione, i recenti interventi dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati che ha ribadito le denunce per “detenzioni arbitrarie” e “violazioni dei diritti umani”, nei centri di prigionia ufficiali.

# LE MALETESTE #

30 gen 2022

“Ultimo viaggio per la nave dei centri sociali Mare Jonio: bloccata e sequestrata. Ciao ciao” aveva scritto il leader della Lega Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, commentando sui social il sequestro della nave dopo essere approdata a Lampedusa, il 10 maggio del 2019.





A distanza di un po' di mesi, il 28 gennaio 2022 è arrivata alla stampa la notizia di un’altra archiviazione per le navi di soccorso in mare.

È arrivata dal Tribunale di Agrigento che ha ritenuto di archiviare i procedimenti contro “Mediterranea” per gli interventi del rimorchiatore Mare Jonio.


Su richiesta della procura, che aveva avviato le indagini, il giudice delle indagini preliminari ha disposto l’archiviazione vergando alcune motivazioni che non passeranno inosservate.


Il dispositivo del giudice rivela che nel corso delle indagini a bordo da parte della Capitaneria, è stato confermato che la nave era già nel 2019 “adeguatamente equipaggiata” per quel genere di interventi ed anche il personale di bordo aveva affrontato una formazione specifica. Inoltre, precisa il gip, la legislazione italiana “non prevede” alcuna certificazione Sar (ricerca e soccorso) per i vascelli che anche in maniera sistematica svolgono attività di monitoraggio e soccorso nel Canale di Sicilia.


“Era il 9 maggio 2019 quando la nostra nave Mare Jonio soccorreva, 35 miglia nautiche a nord di Zuara, in zona Sar attribuita alla competenza libica - ricorda una nota di Mediterranea - , 30 persone tra cui due donne incinte, una bambina di 2 anni, la piccola Alima, e diversi minori non accompagnati”.

Il gruppo era a bordo di un barcone “sovraccarico, col motore in avaria e che stava già imbarcando acqua”. Il gommone poteva affondare da un momento all’altro e proprio su questo aspetto il giudice è intervenuto con chiarezza, ribadendo che una barca carica di migranti deve essere considerata in pericolo anche se si trovasse in buone condizioni galleggiabilità perché, come prevedono i codici della navigazione, il pericolo va ritenuto imminente.



"Dopo aver tratto in salvo i naufraghi, il nostro comandante e il capomissione si rifiutarono di obbedire agli ordini del Governo italiano di allora (Salvini, lo ricordiamo, era Ministro dell'Interno), che ci chiedeva di consegnare le persone nelle mani degli aguzzini da cui stavano fuggendo, ovvero la cosiddetta guardia costiera libica”, ancora nella dichiarazione di Mediterranea.


Il gip Micaela Raimondo, accogliendo le richieste dei procuratori Salvatore Vella e Cecilia Baravelli, ha accolto così la tesi degli stessi inquirenti che avevano avviato l’inchiesta.


Già nelle settimane scorse, con motivazioni analoghe, erano state archiviate le accuse alla comandate Carola Rackete (Sea Watch).


Il comandante Massimiliano Napolitano e il capomissione Beppe Caccia si rifiutarono, come chiesto anche dalle autorità italiane, di riconsegnare i migranti alle motovedette libiche.

Una scelta che secondo il giudice costituisce un atto dovuto,

“ritenuto che la Libia non può essere considerata un porto sicuro”, qui ricordando anche i recenti interventi dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati che ha ribadito la denuncia per “detenzioni arbitrarie” e “violazioni dei diritti umani”, nei centri di prigionia ufficiali.



da "Avvenire" e "Il Fatto Quotidiano", 28 gen. 2022

bottom of page