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Carceri punitive, il metodo bastone e carota non funziona: caro Nordio bisogna chiudere l’acquario

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Ci sono in Italia galere dove alla restrizione della libertà si aggiungono una serie di pene accessorie fatte di sopraffazione, violenze, soprusi, botte, tante botte. Non sono tutte, anzi non si avvicinano neanche alla maggioranza, ma esistono.
di MICHELE MIRAVALLE

# LE MALETESTE #

27 nov 2022

C’è una mappa che non si trova su Google né sul sito del Ministero della Giustizia, ma è nota a chiunque si occupi di carcere in Italia. È la geografia delle carceri punitive. Perché gli oltre 190 istituti penitenziari del Paese non sono tutti uguali. E non è solo questione di denominazione normativa (casa circondariale, casa di reclusione, casa di lavoro o colonia agricola), ma di confini invisibili, informali.

 

Ci sono galere dove alla restrizione della libertà si aggiungono una serie di pene accessorie fatte di sopraffazione, violenze, soprusi, botte, tante botte. Non sono tutte, anzi non si avvicinano neanche alla maggioranza, ma esistono. C’è addirittura chi ne riconosce una funzione, perché – (s)ragiona – il sistema per funzionare ha bisogno di sticks and carrots, bastoni e carote. Per chi se lo merita, c’è la speranza di finire in carceri perbene, gli altri, l’umanità in eccesso, finisce invece nelle carceri permale. È la riedizione applicata all’esecuzione penale dell’anacronistica strategia dei premi e sanzioni, usata dai pedagogisti conservatori o dagli addestratori di animali da circo.

 

 

L’inchiesta della procura della Repubblica di Ivrea ha reso – finalmente – di dominio pubblico il fatto che Ivrea è uno dei punti di quella mappa delle carceri punitive. La procura eporediese ha infatti iscritto nel registro degli indagati 45 persone tra appartenenti alla polizia penitenziaria, i direttori che si sono succeduti alla guida di quel carcere, alcuni medici, nonché (ed è la prima volta in un’inchiesta per tortura, triste primato) anche alcuni funzionari giuridico pedagogici, cioè gli educatori, coloro che più di tutti dovrebbero mettere in pratica il principio rieducativo della pena previsto dalla Costituzione. Con Ivrea si aggiunge così una voce all’elenco delle indagini e dei processi per tortura nelle carceri in Italia, una quindicina in tutto dal 2017, anno in cui il reato di tortura è stato inserito nel codice penale. Nell’elenco ci sono il processo per la “mattanza della settimana santa” di Santa Maria Capua a Vetere (120 indagati, 85 capi d’imputazione), ma anche quello che riguarda un altro carcere piemontese, Torino: anche in quel caso è stata imputata tutta la catena di comando dell’istituto, dagli agenti in sezione, al direttore, al comandante della polizia penitenziaria.

 

C’è però un particolare non irrilevante: Ivrea era già in quell’elenco. Tra il 2015 e il 2016 proprio a Ivrea sarebbero avvenuti almeno tre violentissimi pestaggi a danni di persone detenute, descritti in esposti dell’allora garante comunale delle persone private della libertà e dell’associazione Antigone. L’iniziale indagine della Procura fu lenta e farraginosa, tanto da spingere la procura generale presso la Corte d’Appello di Torino ad avocare l’inchiesta. In quei primi tre procedimenti sono 25 le persone indagate tra agenti e medici compiacenti che attestavano che ecchimosi e ferite delle persone detenute fossero causati da cadute e “scivolamenti” e non da violenti pestaggi. Quell’inchiesta fece ovviamente clamore, ma, incredibilmente, non trasformò per nulla quel carcere. La nuova inchiesta riguarda fatti avvenuti con le stesse brutali modalità e negli stessi luoghi, ma in anni successivi, fino all’ultimo episodio dell’agosto scorso, denunciato da Antigone. Il copione si ripete, identico a se stesso.

 

Ad Ivrea il luogo dove i detenuti vengono portati per essere menati si chiama l’“acquario”. Non immaginatevi una segreta buia in qualche sotterraneo: quella stanza è lì, sotto gli occhi di tutti, accanto all’infermeria, con le pareti trasparenti, proprio come gli acquari, in attesa del prossimo “ospite”. Sono luoghi come l’acquario che rendono indegne le carceri italiane e infangano il lavoro onesto dei tanti operatori penitenziari che ci provano, nonostante tutto. Sarebbe un inaspettato regalo alla nazione se il neo ministro Carlo Nordio chiudesse gli “acquari” sparsi nel Paese. In tanti potrebbero disegnare la mappa di dove si trovano.

 


MICHELE MIRAVALLE*

*Ricercatore in Sociologia del diritto, Università di Torino, coordinatore Osservatorio sulle condizioni detentive, associazione Antigone

da: ilriformista.it - 25 nov. 2022

 



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