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Demonizzata o esaltata. La disobbedienza civile per il clima è in cerca di un posto nel mondo. Intervista a Gail Bradbrook, fondatrice di Extinction Rebellion

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La tendenza di oggi la definirei “ritardamento climatico”. Si parla troppo della responsabilità individuale, si punta il dito contro le azioni degli attivisti climatici. Alcuni media passano il loro tempo a creare storie che distolgono l’attenzione dalle questioni cruciali, che diseducano il pubblico e che omettono le soluzioni comuni per superare i problemi

# LE MALETESTE #

8 set 2022

di Fabrizio Fasanella


Esistono le proteste più morbide e le proteste più estreme. Si possono condividere o meno, ma vanno trattate con serietà (anche dai media) perché il tema su cui si fondano riguarda il 100 per cento della popolazione mondiale. Ne abbiamo parlato con Gail Bradbrook, fondatrice di Extinction Rebellion, in Italia per i Sustainability Days

Una protesta degli attivisti di Xr in occasione del G20 di Roma nel 2021 (LaPresse) Intransigenti, anti-sistema, non violenti.

Più estremi, più teatrali, molto diversi rispetto ai Fridays for Future. Le ragazze e i ragazzi, le donne e gli uomini del movimento internazionale ecologista e non gerarchico Extinction Rebellion (Xr), nato in Inghilterra nel 2018 e presente in più di 70 Paesi, sono tutti sulla stessa lunghezza d’onda e sono mossi da quel senso d’urgenza che vorrebbero instillare nella mente dei politici, delle multinazionali, dei giornalisti. Si incollano ai braccioli delle sedie dei parlamentari britannici; si sdraiano in mezzo al Po in secca vestiti da sirene; fermano treni che trasportano carbone; bloccano le entrate dei palazzi del potere; si fanno trascinare via dalla polizia e tornano in piazza ancora più decisi. Che vi piacciano o meno, che sbaglino nei modi o meno, gli attivisti di Extinction Rebellion esistono e stanno avendo un impatto. E, soprattutto, sono mossi da una causa che riguarda tutti: la lotta alla crisi climatica causata dalle attività antropiche. Gli attivisti di Xr non vanno poi confusi con quelli di Ultima Generazione, che quest’estate si sono distinti per le azioni dimostrative nei musei (ricorderete i due attivisti che si sono incollati alla Primavera di Botticelli) o nel bel mezzo del Grande raccordo anulare a Roma. Ultima Generazione è sì nata come una campagna interna a Extinction Rebellion, ma attualmente opera come organizzazione indipendente. (...) Tra le prime in Europa, e forse nel mondo, a puntare sulla disobbedienza civile contro l’inazione climatica figura l’inglese Gail Bradbrook, 50 anni, una delle attiviste ambientali più note a livello internazionale. Fa sentire la sua voce dal 2010 e ha co-fondato Extinction Rebellion nel 2018, mettendoci sempre la faccia: rischia fino a 10 anni di carcere. Grazie alle sue proteste contro il governo britannico, è stata inserita nella lista delle “30 inspiring women” di Woman’s Hour Power e delle “top 50 influencer” del Regno Unito di GQ. In questi giorni è in Italia, più precisamente in Alto Adige, in qualità di speaker dei Sustainability Days 2022 che si chiuderanno il 9 settembre, e abbiamo colto l’occasione per parlare con lei di attivismo ambientale ed emergenza climatica. Spesso i media mainstream si limitano a pubblicare una news con un video delle vostre azioni dimostrative, senza andare al nocciolo della questione, senza intervistarvi, senza approfondire i veri motivi delle vostre proteste. Pensi che ci sia bisogno di maggior complicità tra Extinction Rebellion e gli organi di informazione? «I media, specialmente in Inghilterra, non parlano come si dovrebbe della crisi climatica ed ecologica. Alcuni singoli giornalisti sono stati fantastici, si sono approcciati a Extinction Rebellion in modo giusto e ci hanno sostenuto, ma la maggior parte dei media fa parte di una politica economica che è “anti-vita”, che supporta la distruzione della vita sulla Terra. Non fraintendermi: i media non stanno più perseguendo la via della negazione climatica, ma questa esiste ancora. La tendenza di oggi la definirei “ritardamento climatico”. Si parla troppo della responsabilità individuale, si punta il dito contro le azioni degli attivisti climatici. Alcuni media passano il loro tempo a creare storie che distolgono l’attenzione dalle questioni cruciali, che diseducano il pubblico e che omettono le soluzioni comuni per superare i problemi. Ci sono troppi interessi dietro». Perché Extinction Rebellion è un movimento diverso da tutti gli altri? «Extinction Rebellion è una sorta di ecologia di diversi movimenti. Un gruppo di ricerca indipendente chiamato Social Change Lab ha detto che Extinction Rebellion ha 100 volte meno soldi rispetto alle più grandi associazioni non governative. Ciononostante, Onalytica ci nomina sistematicamente come movimento più influente per quanto riguarda la crisi climatica. Abbiamo oggettivamente avuto un grande impatto. Tra le ragioni del nostro successo c’è un modello basato sulla decentralizzazione: tutti possono fare azioni di protesta in nome di Extinction Rebellion, basta che rispettino i nostri 10 valori fondamentali»

Quali sono? «Siamo un movimento sociale non violento, crediamo nelle culture rigenerative, ci sosteniamo a vicenda e siamo consci dell’impatto delle nostre azioni. Inoltre, nel nostro dibattito non c’è spazio solo per le proposte concrete e le discussioni: sono benvenuti anche coloro che vogliono manifestare la loro ansia, il loro dolore, la loro tristezza. Tutte emozioni dovute allo stato del nostro Pianeta. Abbiamo iniziato nel 2018 e siamo ancora qui: sembra un miracolo a volte».

Sotto quali aspetti pensi che Extinction Rebellion debba ancora migliorare? «Abbiamo alcuni principi più concreti, altri più aspirazionali. Ad esempio, rammentiamo l’importanza della disobbedienza civile e dell’azione non violenta: sedersi in mezzo alle strade, rifiutare di spostarsi, occupare spazi. Su questo siamo molto bravi. Ma su altre cose dobbiamo migliorare, ad esempio quando diciamo di credere nella riflessione e nell’educazione. In generale dobbiamo concentrarci di più su una serie di aspetti culturali. Un’altra cosa importante è che dobbiamo puntare ad incrementare i nostri fondi. La maggior parte dei fondi arriva da volontari, e a volte facciamo piccoli rimborsi ai partecipanti. Nessuno è assunto a Extinction Rebellion: è molto costoso».

Qual è il vostro rapporto con i Fridays for Future e altri movimenti simili? «Nel Regno Unito e in altri Paesi abbiamo una sorta di “team relazionale” che lavora a contatto con altri gruppi appartenenti ad altri movimenti. Abbiamo un buon rapporto che può sempre migliorare. Con i Fridays for Future lavoriamo a livello locale, ma in generale vorrei ci fosse più sinergia su più livelli tra organizzazioni climatiche. Ne stanno nascendo di nuove e dobbiamo farci trovare pronti».

Pensi che sui social e sugli altri mezzi di comunicazione si dia troppa rilevanza alla responsabilità individuale? «Sì. Come già accennato in precedenza, c’è troppo interesse attorno alla responsabilità individuale. Il rischio è di tenere le persone in costante allerta, con la paura del giudizio, quando in realtà siamo tutti cittadini ed esseri umani. È il sistema che vuole tenerci nelle sue mani, facendoci credere che il problema nasca da noi. Le aziende pubblicitarie spenderanno miliardi e miliardi di dollari per farci comprare cose che, in realtà, non vogliamo e di cui non abbiamo bisogno. Il sistema ci dà la colpa come consumatori individuali, e non è giusto. Ciò non significa che non debba avvenire un cambiamento da parte nostra: dobbiamo fare del nostro meglio. Il cambiamento è possibile, e lotterò per questo fino al mio ultimo respiro».

Cosa ne pensi dell’approccio “morbido” dell’attivista 19enne Bella Lack, che insiste sui concetti di ottimismo e di coinvolgimento emotivo? «Ho avuto il piacere di leggere il suo libro “The Children of the Anthropocene” (Penguin Books), e sono d’accordo con lei. L’ottimismo è una parola, diciamo così, divertente: la gente spesso usa il termine “speranza”, ma la speranza deriva da un’azione: non è un’emozione. Un’emozione che qualcuno prova stando seduto a casa, sperando che le cose migliorino senza fare nulla. Ma questa non è la chiave di lettura che ho dato al suo libro».

Provoco: l’attivismo ambientale rischia di ridurre, o di nascondere, l’importanza della complessità dietro il tema della crisi climatica? «Quella climatica è un’emergenza, e noi dobbiamo farlo capire alle persone. Il nostro obiettivo non consiste nel renderla più appetibile, più chiara. Dobbiamo chiedere alle persone di agire come meglio credono, puntando sul cambiamento personale ed esigendo azioni politiche. In generale, non penso che l’attivismo climatico sia basato su analisi superficiali. È superficiale il modo in cui i media ci descrivono. C’è più un focus su quello che facciamo, piuttosto che sulle problematiche di cui ci occupiamo».

Le vostre azioni sono spesso indirizzate al sistema bancario. Tu, nello specifico, nel marzo 2021 hai rotto il vetro di una banca nella cittadina di Stroud. «Una delle ragioni per cui mi sono attivata contro Barclays, nell’ambito della “Xr Money Rebellion”, è stata quella di porre l’attenzione sul sistema economico. Un sistema economico che, tramite fondi diretti alle industrie fossili, danneggia il pianeta. Abbiamo insistito sulla mancanza di una regolamentazione a livello globale, sulla necessità di una riforma globale. Ho avuto una conversazione in via confidenziale con l’ex vice presidente di una banca molto importante. Come sapete, durante l’Xr Money Rebellion abbiamo rotto la finestra di una banca. Ecco, lui mi ha detto che alcuni dipendenti della banca erano d’accordo con noi attivisti, e che hanno trovato nelle nostre azioni un pretesto per apportare dei cambiamenti nel loro organico interno. È come se la banca volesse tutto ciò: ho le prove e le userò davanti ai giudici».

Parlaci del momento più felice e del momento più triste del tuo percorso nel campo dell’attivismo ambientale. «La “ribellione” dell’aprile 2019 (la prima vera protesta di Xr dopo una serie di piccole azioni di disobbedienza civile, ndr) ha visto moltissime persone unirsi a noi per la prima volta: sembrava un miracolo. Eravamo il cambiamento, avevamo una visione comune su come sarebbe dovuta cambiare la società. Eravamo contenti, vivaci, c’era un senso di comunità, connessione. È stato magico. E tutte le nostre richieste sono state accolte, anche se non soddisfatte del tutto. Ad esempio, il parlamento ha dichiarato lo stato di emergenza climatica, ma al tempo stesso non ha agito. C’è la tendenza a minimizzare le nostre azioni, i nostri obiettivi. Ed è doloroso vedere i governi fare esattamente l’opposto di ciò che servirebbe per fronteggiare questa crisi: questo è sempre il momento più triste».



da: linkiesta.it, 8 sett. 2022

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