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EDDI MARCUCCI parla in un'intervista del febbraio 2022

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È importante ricordare che il fascismo si trovò in un certo senso la sorveglianza speciale già pronta, concepita dallo stato liberale

# LE MALETESTE #

9 feb 2022

Senza lanciarci in interpretazioni delle carte giudiziarie con cui è stata richiesta la sorveglianza speciale per me e altr*, credo risulti abbastanza evidente che da parte dell’autorità giudiziaria non ci sia stata una vera percezione del contesto geopolitico, anzi ha cercato di squalificarlo completamente, di ridurlo a ciò che era rilevante per la Procura.

Quando si nomina la Siria o il Kurdistan le carte sono superficiali, imprecise: solo da una prospettiva eurocentrica e orientalista il Rojava poteva apparire come l’«ennesimo pasticcio mediorientale», in cui bande armate contrapposte si fronteggiavano per una qualche volontà di dominio.

In realtà lo scenario che si stava delineando in quell’area ha iniziato ben presto a emergere, malgrado la poca finezza di analisi dei media mainstream, nella sua unicità: c’era una mobilitazione che prendeva parola con forza e avanzava un’alternativa democratica tanto allo Stato Islamico quanto alla Siria del dittatore Assad.

Dietro a questa miopia di fondo vedo l’idea squisitamente europea che la giustizia sia meramente una procedura da applicare in un modo supposto neutrale. Detto questo, il fattore dirimente per la criminalizzazione che è seguita è ciò che hai fatto prima di un’esperienza come quella del Rojava, e cosa farai al ritorno.


Non tutte le persone italiane che sono andate a combattere al fianco della popolazione curda si sono viste presentare una richiesta di sorveglianza speciale. Ciò che accomuna me e gli altri cinque per cui questo è avvenuto è il nostro coinvolgimento in una serie di conflitti sociali – coinvolgimento che pure uno stato sedicente democratico dovrebbe essere in grado di gestire diversamente.


La privazione di libertà a cui sono sottoposta è in antitesi con tutti i principi costituzionali che dovrebbero garantire quella libertà di pensiero e di dissenso che, in una tipica visione eurocentrica, attribuisce una superiorità del nostro modello di società rispetto ad altri. Sembra essere sfuggita la continuità essenziale fra misure di «sicurezza» che si può vedere applicate pur senza aver commesso alcun crimine e l’ordinamento del regime fascista – non a caso ci sono sentenze sia della Corte Costituzionale che della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che vanno in questa direzione, la mia su questo punto non è certo una voce che grida nel deserto.



È importante ricordare che il fascismo si trovò in un certo senso la sorveglianza speciale già pronta, concepita dallo stato liberale. Stiamo parlando di elementi che hanno a che fare con la storia della formazione dello stato moderno, al netto della forma di stato o di quella di governo (che si tratti di stato totalitario, liberale o repubblicano).


Per noi, come per molte altre persone, la dinamica è anche abbastanza manifesta. Penso al caso di Dana Lauriola, alla quale sono state rifiutate le misure alternative al carcere anche per «la sua scelta di risiedere a Bussoleno» dove, scrive il tribunale, «potrebbe proseguire la propria attività di proselitismo e di militanza ideologica»: è evidente che anche qui, un caso in cui la misura non è preventiva ma penale, a venire attenzionata non sia la condotta della persona, ma la persona stessa, non per quel che fa ma perché – la militanza politica fa parte di chi è, di come vive.

C’è una mentalità punitiva, che non ha nulla a che fare con la giustizia nella società, ma è molto legata alla sanzione di chi lotta e mette in discussione una sua certa visione e organizzazione. Infatti, in contesti come quello del movimento No-Tav, gli arresti riguardano sia persone con lunghe storie di militanza alle spalle e che svolgono ruoli importanti nella comunità, sia individui che sono magari a una delle loro primissime manifestazioni. L’idea è quella di dimostrare che una partecipazione anche episodica sia già di troppo, che per incappare in misure repressive e di criminalizzazione dimostrare la propria adesione in una singola occasione sia sufficiente.

Di fronte a questa strategia però il movimento ha trovato ogni volta le sue strategie di autodifesa. La rabbia che esplode di fronte a queste prevaricazioni, come il sentimento che si produce quando si ha la sensazione che si sia superato un limite invalicabile, è sempre stata trasformata in motore per agire, di fronte a ogni ostacolo si sono trovate nuovi modi di agire che lo superassero.


D - Visto che hai citato espressamente il movimento No-Tav di cui fai parte, credo sia interessante soffermarci un attimo sul fatto che, nell’ordinanza che dispone la tua sorveglianza speciale, la tua presunta «pericolosità» è sostenuta mettendo insieme l’impegno in Rojava con l’esperienza appunto in Val Susa e con la tua militanza nel movimento femminista Non Una di Meno. (…) Vorrei chiederti in proposito se ritieni che una di queste esperienze abbia svolto un ruolo preminente rispetto alle altre – se ad esempio credi che puntare i riflettori anche sulla militanza femminista e quella internazionalista sia meramente strumentale rispetto all’attenzione sproporzionata che la procura torinese ha prestato nell’ultimo decennio al movimento valsusino, o se siamo davvero al punto in cui anche la riappropriazione dello spazio pubblico largamente pacifica svolta da Non Una di Meno viene percepita come problematica dalle autorità.


EM: Credo si tratti chiaramente della seconda ipotesi. La tua domanda ci permette anche di comprendere come il potere giudiziario, che non è che una componente di quello statuale, si articola a sua volta in modalità anche disomogenee sul territorio. Una procura come quella di Torino si distingue per un interventismo «politico» maggiore di molte altre – e il tribunale tende ad assecondarla. In tribunale per quel che ho osservato io il corpo collettivo è sempre minaccioso, cattivo. L’essere tante persone insieme è sempre un’aggravante, quella collettiva è una situazione che diventa attaccabile dallo Stato, nelle sue varie componenti, in quanto tale.


Il rischio di non riuscire a tornare indietro rispetto a una certa mentalità «forcaiola» esiste. Penso al dibattito sul Ddl Zan. Salto tutte le considerazioni ovvie su come questa vicenda ci parli di una classe politica insulsa e crudele e parlo del dibattito pubblico che era molto positivo e favorevole. Io di questo sono contenta, però mi è mancata, a parte poche eccezioni di esperienze di lotta come Non Una di Meno, qualche considerazione sui limiti dell’approccio punitivo a un problema strutturale come quello della violenza maschile e di genere. Se vogliamo mettere in discussione una società patriarcale non possiamo accontentarci degli strumenti dello Stato. Penso al movimento per l’aborto in Argentina: una lotta forte perché si articola su tanti livelli, usando tutti gli strumenti a disposizione, ma soprattutto trovandone di nuovi, autonomi e collettivi che innescano processi diversi nella società, cambiandola.


(...) Oggi tanto l’ideologia neoliberale quanto quella della destra reazionaria si basano su una nozione di colpa – da un lato interiorizzata («è colpa tua se sei povera, significa che non ti sei impegnata abbastanza»), dall’altro esternalizzata verso bersagli di comodo («è colpa dei migranti che ti rubano il lavoro»). Che si tratti di guardare allo specchio o alla finestra, è comunque la colpa quella di cui si va alla ricerca. A queste ideologie per prosperare non occorre neppure un’adesione attiva, ma una mera acquiescenza – appunto, per tornare alla questione centrale, un’assenza di conflitto, di critica. Per chi prova a opporsi attivamente, del resto, le autorità si scomodano volentieri. Di qui la necessità di immaginare modelli diversi, non punitivi di giustizia, de-naturalizzando quelli esistenti. È questo quello che tento di fare nel mio piccolo.

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*MARIA EDGARDA 'Eddi' MARCUCCI, attivista, nel 2017 è andata in Siria per unirsi alle milizie curde e combattere lo Stato Islamico. È sottoposta al provvedimento della Sorveglianza Speciale, condannata a Torino, per due anni.


intervista a cura di FRANCO PALAZZI, da: Jacobinitalia.it, 7 feb. 2022

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