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GKN: CONTINUIAMO AD ESSERE CLASSE DIRIGENTE

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Abbiamo salvato la fabbrica per il territorio, con il territorio. E per il territorio, con il territorio, la rimetteremo in movimento. Ci vediamo il 26 marzo

# LE MALETESTE #

31 gen 2022

COLLETTIVO DI FABBRICA GKN - 1 febbraio 2022

Noi proviamo a immaginare come potrebbe essere.

E’ una giornata di fine marzo. Potrebbe essere grigia e temporalesca o forse con un bel tepore primaverile.

Ci sono vicoli stretti, viali e piazze, di solito affollati dallo struscio turistico. Ci sono pullman che hanno appena parcheggiato e macchine che si sono messe in moto presto, mosse solo e soltanto dalla voglia di esserci.

L’ultima volta che abbiamo riempito queste strade era il 18 settembre. Mancavano pochi giorni ai nostri licenziamenti. Ma già allora vi avevamo detto che eravate lì non per noi, ma con noi. Non per i nostri problemi, ma con i vostri problemi.

Ora, che le lettere di licenziamento non ci sono più, ora che siamo solo dei banali, banalissimi, cassaintegrati, proprio ora ci siamo chiesti: che persone saremmo se non tornassimo a mobilitarci?

E non smobilitiamo per diverse ragioni. Primo perché non c’è fabbrica salva in un paese che non è salvo. E perché la vertenza non è conclusa.

Perchè nella singola fabbrica abbiamo ottenuto l'accordo sindacale migliore possibile nel contesto dato. Ma è il contesto che va cambiato.

Perché tante vertenze sono state bollite a fuoco lento, dall'ammortizzatore, dalla reindustrializzazione lenta, dall'attesa, dal calo di interesse. E noi continuiamo ostinatamente a dire: questa volta no.

Il 18 settembre volevamo fare iniziare prima l’autunno. E l’autunno c’è stato, con scuole in mobilitazione, scioperi generali, cortei a Roma. C’è stato ma non è bastato. E' stato sufficiente ad aprire spiragli di cambiamento, non a realizzarlo.

Poi è arrivato il letargo invernale con la quarta ondata di Covid e il “bla bla” tossico e nocivo ci ha di nuovo sovrastati.

E ora c’è questo corteo che avanza in piena primavera. Con le sue imperfezioni, dubbi, debolezze. Con quel tarlo che ti mangia vivo: è andata sempre così, andrà sempre così, non cambierà mai niente.

E c’è uno striscione basso con scritto "Collettivo di fabbrica " e il nome di una fabbrica che non esiste più o che forse esisterà per sempre.

E dietro arranca uno striscione che inizia a mostrare l’usura del tempo. 4 pali e una scritta bianca su sfondo rosso. Forse è un proposito, un auspicio o un obiettivo: Insorgiamo.

E se tendi l’orecchio il silenzio è già rotto da tamburi e cori. E poi il solito uso e abuso di fumogeni. Che viziaccio.

E c’è l’ansia della prestazione, la tensione del momento, la paura di non partire, e poi magari di non arrivare da nessuna parte. Ma si sta così abbracciati, così stretti che passa. Passa tutto. Perché il domani arriva sempre. Se migliore o peggiore lo decidiamo oggi. E non è poco avere il privilegio di poter contribuire a determinarlo.

E poi, c’è un magma di rivendicazioni, richieste, aspirazioni. C’è chi forse voleva solo una legge antidelocalizzazioni vera. Ed è venuto a reclamarla. Ci sono alcune delle aziende in crisi. Ci sono lavoratori e lavoratrici della sanità, del pubblico impiego, dei trasporti, della logistica, ma anche dello spettacolo, dell'informazione, dell'arte.

C’è chi non arriva in fondo al mese. C’è chi è precario da una vita. Ci sono reti ambientaliste, studenti, chi sostiene che lo sciopero generale e generalizzato sia un percorso che non si può arrestare. C’è chi reclama diritti civili, chi sociali. C’è che non si vede più nessun confine tra questi obiettivi.

Sono mille aspirazioni che prendono la consapevolezza che senza un cambiamento complessivo dei rapporti di forza siamo solo pura testimonianza.

E arrivati in fondo, al concentramento finale, la prima basilare esigenza è di fare un minuto di silenzio.

Un enorme minuto di silenzio. Per ripulirsi la testa. Per fare uscire narrazioni tossiche, parole nocive, luoghi comuni, concetti martellanti e ripetitivi. Un minuto di silenzio come a cercare un punto zero di un nuovo inizio.

Un punto zero che ufficializzi questo: non siamo lì per qualche emergenza particolare, per qualche ricorrenza particolare. Siamo lì per una unica grande urgenza di cambiamento, in un giorno qualsiasi e per tutti i giorni in cui ci siamo fatti vincere dalla passività.

Ecco, ci state chiedendo la piattaforma del 26 marzo, ci state chiedendo cosa succederà, chi indice, se sarà un corteo o cosa.

Non riteniamo di poter rispondere da soli a queste domande. Eppure proveremo a rispondere a tutto, a tempo debito. Ma innanzitutto e senza paura, se ce lo chiedete, vi diciamo che ce lo immaginiamo così.

Ma tutto questo avverrà solo come enorme processo di convergenza e responsabilizzazione collettiva. O non avverrà affatto.

#insorgiamo

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COLLETTIVO DI FABBRICA GKN - 30 dicembre 2021

Andrà infine come andrà. Ma noi almeno abbiamo visto. Abbiamo visto una fabbrica autogestirsi per mesi. E se avessimo avuto la produzione, avremmo potuto autogestire anche quella.

Abbiamo visto che le gerarchie esistenti non rispondevano in verità ad alcuna funzionalità, se non quella del “dividi e comanda”. Abbiamo dichiarato inutili tali gerarchie non dal punto di vista dei nostri ideali, ma anche alla luce dei loro stessi presunti obiettivi: dinamismo, efficienza, produttività ecc.

E abbiamo visto, liberati da questi vincoli, i rapporti tra le persone migliorare, farsi più vivi, in una sola parola: farsi più umani.

Abbiamo visto la fabbrica produrre fino alle 6 di mattina di un venerdì di luglio. La abbiamo vista provare a rosicchiare ogni secondo del nostro tempo, delle nostre pause, del nostro riposo. E di colpo l’abbiamo vista fermarsi, immobile, maestosa. Ed è calato un silenzio e un sordo ronzio che sembrava dirti: rifletti attentamente su come vuoi impegnare questo tempo, questa tua vita, che cosa vuoi produrre e per chi.

Abbiamo visto quanto la lotta dipenda anche dalla persona che sei e come lottando definisci la persona che sei. Abbiamo visto che quando si lotta appiccicati, ognuno deve prendersi cura dell’altro. E come la cura reciproca sia elemento imprescindibile del provare a stare tutti i giorni in piedi, tutti i giorni uniti. L'individualismo è un lusso che noi non possiamo più permetterci.

Abbiamo visto la fabbrica fondersi con il territorio e che, no, non è vero, che le fabbriche e i luoghi di lavoro devono essere chiusi, lontano dagli occhi, isolati, separati tra loro.

Abbiamo visto che ogni giorno poteva essere l’ultimo e proprio per questo ogni giorno era chiamato a provare ad essere storia. Abbiamo quindi visto bandiere di brigate partigiane sventolare di fronte a striscioni di fabbrica. Abbiamo visto e sentito la Martinella suonare.

Abbiamo visto una comunità insorgere, solidarizzare, autorganizzarsi. Abbiamo visto gli studenti in fabbrica e picchetti operai di fronte alle scuole con gli studenti. Abbiamo visto una testuggine indefinita, eppure compatta, attraversare i viali di Firenze e dietro ancora un mare di solidarietà chiuso solo da un cartello: “Firenze città ribelle e mai doma”.

Abbiamo visto la potenza di quelli che nella società stanno in basso. Abbiamo visto la complicità impotente di quelli che stanno in alto.

Abbiamo visto che possiamo riappropriarci delle nostre parole, solidarietà, comunità, lotta. E che possiamo appropriarci anche delle loro: produzione, valore, piano industriale, eccellenza.

Abbiamo detto cosa andava fatto, anche quando era o sembrava impossibile. Abbiamo fatto tutto il possibile di quanto avevamo detto.

Abbiamo visto i pullman partire all’alba per arrivare a Roma, non una ma due volte, per reclamare una piazza unica, un'unica lotta: unica per tutte le vertenze, i precari, i disoccupati, i movimenti ambientalisti. Abbiamo visto che per insorgere era necessario convergere. E che non era possibile convergere senza insorgere.

Abbiamo visto scioperi generali considerati impossibili, scioperi generali considerati utopici, scioperi generali parziali, scioperi generali tardivi, scioperi generali insufficienti. Ma noi avevamo già visto tutto e per questo abbiamo detto che lo sciopero generale e generalizzato è necessario e che è un percorso, non un singolo atto.

Abbiamo visto e abbiamo guardato: guardato negli occhi un Governo, un fondo finanziario, i loro avvocati e, senza mai abbassare lo sguardo, abbiamo detto: noi siamo classe dirigente.

E abbiamo visto che c’è anche chi purtroppo ha ormai gli occhi completamente chiusi, chiusi dal pensiero debole, dall’autoreferenzialità, dalla testimonialità, dal minoritarismo, dall’opportunismo. Talmente chiusi da non riuscire più a vedere quello che noi abbiamo visto.

Ma ciò che abbiamo visto è un fatto. Per chiunque vorrà vederlo. Per chiunque vorrà capire.

Quanto abbiamo visto non capita di vederlo tutti i giorni e a volte nemmeno in tutta una vita. Eppure non abbiamo visto ancora nulla. Perché abbiamo anche visto quanto manca ancora. Quanto siamo ancora lontani da quel che vorremmo, da quel che dovremmo essere, da quel che andrebbe fatto. Abbiamo visto quanto ancora siamo inadeguati, piccoli, deboli, divisi, fragili. Abbiamo visto quanta fatica ancora dovremo fare e chiedere. E quanto ancora dovremo tutti i giorni guardarci attorno e negli occhi per capire se siamo ancora in piedi.

E vi abbiamo visto in questi giorni scrutarci, guardarci e chiedere: quindi, è finita? Avete vinto? Smobilitate?

E per l’ennesima volta abbiamo visto che cercate una risposta, quando noi siamo prima di tutto una domanda: no per per noi non è finita, e per voi? Noi no, e voi? Voi smobilitate? Dove volete arrivare, dove ci portate di bello? Stupiteci. Portateci ancora in piazze piene ubriache di dignità. Dopo quello che abbiamo visto, non abbiamo più voglia di stare soli.

#insorgiamo

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COLLETTIVO DI FABBRICA GKN - 23 dicembre 2021

Documento approvato dall’assemblea dei lavoratori Gkn #insorgiamo

1. E’ stato annunciato sui giornali il passaggio di proprietà da Gkn Firenze da Melrose a Francesco Borgomeo. E’ un accordo tra privati i cui termini probabilmente non saranno nemmeno mai conosciuti fino in fondo. Noi non possiamo che prendere atto di questo passaggio, su cui non c’era nulla da concordare con noi e nulla, per il momento, è stato concordato. I termini di questo passaggio dovrebbero essere spiegati non sui giornali, ma con una comunicazione dettagliata in sede istituzionale.

2. I licenziamenti in Gkn sono stati sconfitti non una ma due volte. Avevamo detto che se sfondavano qua, avrebbero sfondato dappertutto. Qua non hanno sfondato. E questo è quanto portiamo in dote a chiunque voglia trarne coraggio, lezione, bilanci, metodo. Il rischio ora è di essere in un nuovo calcolo. Entriamo in una fase di attesa, dove non si rischia la morte improvvisa ma per lenta agonia. Chi ci acquista non ha un proprio piano industriale ma lo fa per venderci a un terzo soggetto industriale. E veniamo acquistati non per tornare a fare semiassi, ma per una reindustrializzazione che potrebbe comprendere lo svuotamento totale del capannone e una produzione completamente diversa. Un’operazione complessa la cui riuscita è tutta da verificare.

E’ la fase dove rischiamo di fare la fine della rana bollita di Chomsky. La rana immersa in un pentolino d’acqua fredda prova sollievo quando accendi il fuoco perché avverte un certo tepore. Man mano che l’acqua sale di temperatura la rana si abitua al calore. Quando infine avverte pericolo di morte, l’acqua calda le ha tolto ogni forza e non riesce più a saltare fuori dalla pentola.

3. Non si smobilita, quindi. La mobilitazione forse cambierà nei tempi e nei modi. Ma non smette, per tre ragioni fondamentali: primo, perchè niente è stato ottenuto. Non c’è stato alcun accordo. In secondo luogo, perché anche se accordo sarà, l’assemblea dei lavoratori e il territorio rimangono a guardia e supervisione di ogni passaggio della reindustrializzazione. E infine non smobilitiamo perché siamo arrivati qua assieme e continuiamo assieme. La solidarietà che abbiamo ricevuto non muore, si trasforma e si mette a disposizione. Vi siete fatti un favore unendovi alla lotta. Ci dobbiamo tutti il favore di continuare. Il nostro “Insorgiamo” continua così come continuerà il tour toccando nuove città. E lanciamo subito un nuovo “tenetevi liberi” per marzo. Lo lanciamo a tutti i solidali, a chi era in piazza il 18 settembre, alle vertenze in crisi, ai precari, agli studenti, alle reti di lotta ambientalista. Si continua a convergere e a insorgere.

4. Per quanto ci riguarda il passaggio di proprietà avviene in piena continuità occupazionale e di diritti. Manteniamo stessi posti di lavoro e stessa accordistica. E avviene in continuità di salute dello stabilimento visto che l’abbiamo preservato e curato. Così è, così dovrà essere. Qualsiasi soggetto industriale arrivi, lo deve fare mantenendo diritti e posti di lavoro. Non saremo mai terreno di operazioni opache o di ricatti.

5. Tuttavia il passaggio di proprietà non avviene in continuità produttiva. Gkn Firenze viene comprata ed “estratta” dal gruppo Gkn e dalla filiera produttiva. Diventa una società a sé stante senza volumi e senza missione industriale. I macchinari rimangono qua ma cessano probabilmente di avere una funzione. In un modo o nell’altro quindi Gkn Firenze viene smantellata. Certo, viene smantellata sotto la promessa di impiantare un’altra produzione. E probabilmente una produzione che non c’entra nulla con i semiassi. Così forse salveremo 500 posti di lavoro ma un altro pezzo dell’automotive se ne va. E non è questione di essere affezionati all’automotive. Il problema è un altro. Qua c’era una storia industriale di decenni che veniva dalla Fiat. E questa storia viene chiusa non per una decisione collettiva o per un piano sociale. Ma perché un fondo finanziario ha deciso, di concerto con Stellantis probabilmente, che qua non si dovevano più produrre semiassi. Noi non ne usciamo sconfitti, ma c’è poco da cantar vittoria: rimangono migliaia di posti di lavoro a rischio in tutto l’automotive e lo Stato esce da questa vicenda come un semplice passacarte.

6. Proprio per questo la nostra proposta di Ppms, di Polo Pubblico per la Mobilità Sostenibile, rimane in campo. E confermiamo l’attività del gruppo di competenza contro le delocalizzazioni. Rimane cioè in piedi la collaborazione con ricercatori e ingegneri solidali. Rimane la legge antidelocalizzazioni da promuovere, insieme ai giuslavoristi progressisti.

7. I macchinari, come abbiamo detto, rimangono qua. Ma senza volumi e probabilmente con un accordo di non vendita alla concorrenza, rimangono magari per essere girati a Melrose più avanti. In un modo o nell’altro, quindi, il fondo li porterà via da qua. Per quanto ci riguarda invece il principio non cambia. E’ quello che ci ha sempre guidato: macchina entra, macchina esce. Per ogni macchinario che esce, ci deve essere chiarezza su quali macchinari arrivano. Altrimenti, come già detto, da qua non esce uno spillo.

8. I licenziamenti sono sconfitti e c’è una prospettiva di ripartenza. E’ vero. Ma la prospettiva si colloca nel futuro ed è tutta da verificare. A breve invece i passaggi concreti coincidono parzialmente con la volontà di Melrose: l’eventuale ammortizzatore interviene a sollevare un privato dai nostri stipendi, cessa la produzione di semiassi a Firenze, Gkn Firenze è una società che si avvia al termine. Se quindi la prospettiva futura non si verificasse, rimarrebbe solo la chiusura e la delocalizzazione. Per questo il percorso verso la reindustrializzazione deve essere sancito da un accordo chiaro, dettagliato, granitico nei tempi e nelle certezze.

9. Abbiamo chiesto che lo Stato intervenisse da subito nel capitale di Gkn Firenze a garantire tale percorso. Ci è stato risposto a più voci che non ci sono le condizioni di un intervento pubblico. Ma in verità l’intervento pubblico c’è e ci sarà. C’è perché Invitalia e il Mise di fatto danno benedizione e garanzie a parole che si tratta di un’operazione credibile e seria. E ci sarà perché l’eventuale ammortizzatore e i corsi di formazione saranno probabilmente fatti con soldi pubblici. L’intervento pubblico c’è, quindi, ma si limita a monitorare dalla finestra. E di questi tipi di monitoraggi abbiamo già apprezzato la mancanza di efficacia.

10. Per tutte queste ragioni deve essere convocato un incontro in sede istituzionale e chiediamo un accordo che sancisca: rientro dei lavoratori degli appalti all’interno del percorso di continuità occupazionale, continuità dei diritti e dei posti di lavoro anche con il futuro soggetto reindustrializzatore, presentazione di un piano industriale certo e dettagliato, tempistiche certe con un termine entro il quale l’assenza di progressi chiari preveda l’intervento dello Stato e il passaggio al nostro piano industriale, piano di formazione concordato e chiaramente finalizzato, accensione di un ammortizzatore sociale che preveda l’integrazione economica e principi chiari di rotazione, incontri di verifica costanti del piano, prepensionamenti o pensionamenti o uscite volontarie devono avvenire con una previsione di saldo occupazionale, l’analisi e la presa in considerazione di tutta l’elaborazione del nostro gruppo di competenza solidale e quindi l’analisi con pari dignità anche delle proposte di reindustrializzazione elaborate dai lavoratori e dai soggetti solidali territoriali.

“Insorgiamo” non smobilita. Tenetevi liberi a marzo.

Abbiamo salvato la fabbrica per il territorio, con il territorio. E per il territorio, con il territorio, la rimetteremo in movimento.

Continuiamo a farci il favore della lotta. Continuiamo a essere classe dirigente.

Non crediamo alle favole o ai supereroi. Crediamo che le nostre debolezze possano scrivere la storia.

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