Maria Oliverio, detta "Ciccilla", brigantessa calabrese tra le più pugnaci, nelle pagine di un romanzo appena uscito
# LE MALETESTE #
20 dic 2021
"A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri!" Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. "A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l'anima! A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno! E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue! Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! ammazza! Addosso ai cappelli!"
Che fra i briganti meridionali in lotta, nell’Italia postunitaria, contro le truppe del nuovo regno, vi fossero delle donne è noto. Meno noto è che una di esse assurgesse al rango di capobanda. Si tratta della calabrese MARIA OLIVERIO, detta “Ciccilla”, ribelle tra le più pugnaci, dominatrice dei luoghi montuosi e dei boschi della sua regione.
Se ne possiedono i dati sintetici dei rapporti di polizia e degli atti giudiziari. Alle molte lacune rimedia ora Giuseppe Catozzella, autore di romanzi e articoli che hanno avuto solidi riconoscimenti in tutto il mondo. Lo fa integrando la scarna documentazione con un’autobiografia immaginaria della brigantessa (Italiana, Mondadori, 2021), dall’infanzia colma di episodi infelici al giorno tragico della sua cattura. I fatti salienti sono reali, il resto della storia è invenzione pura e felice.
Siamo chiaramente in presenza di un romanzo popolare, lontano dal Gattopardo, ma scritto con stile. È eccellente l’uso che Catozzella fa del dialetto, frequente ma mai fastidioso. Ogni scena è vivida, ogni ambiente credibile. Le personalità sono convincenti, ben delineate. E soprattutto emerge, con qualche ridondanza, la bellezza naturale della Sila, cui Ciccilla appartiene, aggiungendovi la bellezza d’anima sua propria.
Forse la vera Ciccilla non era così, ma quella ridisegnata da Catozzella è destinata a rimanere nel ricordo dei lettori, mi auguro numerosi.
SINOPSI
Italiana. Una donna italiana. Maria Oliverio, altrimenti conosciuta come Ciccilla, nasce a Casole, nella Sila calabrese, da famiglia poverissima. Dalle strade del paese si sale sulla montagna che è selvaggia, a volte oscura, a volte generosa come una madre. Quelle strade, quei sentieri li imbocca ragazzina quando la sorella maggiore Teresa, tornata a vivere in famiglia, le toglie il letto e il tetto. E quelli sono i sentieri che Maria prende per combattere al fianco di Pietro, brigante e ribelle, diventando presto la prima e unica donna a guidare una banda contro la ferocia dell'esercito regio. Se da una parte Teresa trama contro di lei una incomprensibile tela di odio, dall'altra Pietro la guida dentro l'amore senza risparmiarle la violenza che talora ai maschi piace incidere sul corpo delle donne. Ciccilla passa la giovinezza nei boschi, apprende la grammatica della libertà, legge la natura, impara a conoscere la montagna, a distinguere il giusto dall'ingiusto, e non teme di battersi, sia quando sono in gioco i sentimenti, sia quando è in gioco l'orizzonte ben più ampio di una nuova umanità. Il volo del nibbio, la muta complicità di una lupa, la maestà ferita di un larice, tutto le insegna che si può ricominciare ogni volta daccapo, per conquistarsi un futuro come donna, come rivoluzionaria, come italiana di una nazione che ancora non esiste ma che forse sta nascendo con lei.
Giuseppe Catozzella ricostruisce le vicende di Maria Oliverio in un romanzo vivo, mescola documenti e leggenda, rovescia la sua immaginazione nella nostra, disegna dramma famigliare e dramma storico ed evoca l'epica grandezza di una guerra quasi ignorata, una guerra civile combattuta in un mulinare di passione, sangue e speranza, come nella tradizione dei poemi cavallereschi, del melodramma e del cinema americano.
MARIA OLIVERIO - Ultimi dati conosciuti
La sua cattura nel febbraio 1864 fu preceduta da uno scontro a fuoco che durò due giorni, seppure Maria avesse una ferita mal medicata al braccio che teneva stretto al collo.
Processata a Catanzaro dal Tribunale di Guerra della Calabria Ultra fu condannata a morte. Fu l'unica brigantessa italiana alla quale venne data una tale pena, ma il re Vittorio Emanuele II le concesse la grazia dietro precisa richiesta del generale Giuseppe Sirtori e del Giudice della Corte d'Appello di Catanzaro, Nicola Parisio, (zio di uno dei suoi facoltosi sequestrati) commutando la pena di morte in ergastolo ("lavori forzati a vita") forse scontato presso il Forte di Fenestrelle, in Val Chisone, dove, secondo alcune mere ipotesi prive di prove, forse, si spense quindici anni dopo.
In effetti non esistono documentazioni certe che ci possano far risalire alla vera, successiva storia della sua vita o ai dati relativi alla sua data di morte o luogo di sepoltura.