top of page

Luigi Ciotti intervistato da "Novara Oggi", 27 ago. 2021

CARCERE LE VALLETTE TORINO INTERNO.jpg

A tutti auguro il coraggio di avere più coraggio. La voglia di assumersi la propria responsabilità di essere umani, che è quella di liberare chi ancora non è libero, di far crescere insieme la fiducia e l’impegno per la giustizia, i diritti e la dignità di ognuno.

# LE MALETESTE #

29 ago 2021

«Oggi abbiamo dell’amore un’idea riduttiva, quando non addirittura pericolosa. Da un lato l’amore come somma di generici “buoni sentimenti”, una benevolenza superficiale che non si trasforma in impegno concreto per e insieme all’altro. Questa forma di amore rischia di farci sentire sempre “a posto con la coscienza”, mentre avremmo bisogno di coscienze in subbuglio di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. Dall’altro lato l’amore come appagamento e come possesso: amore dell’io per l’io che vede nell’altro uno strumento al servizio della propria gratificazione. Questo amore può facilmente trasformarsi nel suo contrario, arrivando a giustificare forme di violenza (quante volte ancora sentiamo dire che un uomo ha ucciso una donna “perché l’amava troppo”?) . L’amore non basta perché per essere davvero in comunione con gli altri – vicini e lontani, conosciuti o anonimi, affini o diversi – serve il sentimento di giustizia. Cioè quel sentire sulla propria pelle le ferite patite da chiunque: ogni offesa, umiliazione, cancellazione dei diritti e delle speranze. E la voglia di curarle, quelle ferite, di occuparsene, di fare in modo che non siano inferte di nuovo».


(…) « L’uomo è una creatura fragile, piena di limiti e contraddizioni. Riconoscerlo è il primo grande passo, soprattutto per chi ha l’ambizione di dare una mano agli altri, a quelli che sono o sembrano più fragili ancora. Bisogna sempre partire dalla consapevolezza che, se l’altro vive un momento di difficoltà e io sono in condizione di tendergli la mano, non significa che io sia “migliore” di lui, che io sia in grado di “salvarlo” dai suoi problemi, e meno che mai da sé stesso. La relazione può apparire asimmetrica, ma questo non significa accettare che si trasformi in un “rapporto di forza” dove c’è chi viene aiutato e chi lo aiuta da l l’alto del suo piedistallo di certezze, competenze o quant ’altro. Una relazione è autentica solo se mette in gioco entrambe le parti. Solo se entrambe accettano di imparare qualcosa, di confrontarsi coi propri limiti e appunto con le reciproche fragilità, per cambiare e crescere insieme».


(...) «A tutti auguro il coraggio di avere più coraggio. La voglia di assumersi la propria responsabilità di essere umani, che è quella di liberare chi ancora non è libero, di far crescere insieme la fiducia e l’impegno per la giustizia, i diritti e la dignità di ognuno. Di costruire insieme un mondo che ha per motore la speranza e non la paura » . Sarà ospite del Festival Teatro sull’Acqua di Arona, nelle sue pagine ci sono storie di persone arrivate dal Lago Maggiore, da Novara, è già stato ospite in questi luoghi. Ha dei ricordi in particolare? «Mi vengono in mente gli incontri con il senatore Carlo Torelli, originario di Arona e a lungo anche sindaco della città. Fu tra i politici che per primi e con maggiore lungimiranza affrontarono il tema della dipendenza da droghe. Ricordo le riunioni che volle fare con chi, come noi, se ne occupava a livello concreto, sulla strada. La legge del 1975 che pose fine alla criminalizzazione delle persone tossicodipendenti, puntando sulla prevenzione e sulla cura, fu in gran parte frutto dei suoi studi e del suo lavoro. E poi mi viene in mente un amico mancato troppo giovane. Si chiamava Piero Alberganti e anche lui era un figlio di questo stupendo lago. Arrivò al Gruppo Abele con il servizio civile e poi rimase per tanti anni a lavorare con noi, si sposò con Maria ed ebbero il piccolo Simone. Piero era un ragazzo stupendo, di cuore, e a cuore aveva soprattutto il tema del lavoro. Fu tra i fondatori di una cooperativa che dava opportunità ai giovani usciti dal carcere o da problemi di droga. Purtroppo proprio un incidente sul lavoro ce lo ha portato via… La cooperativa si è allora voluta chiamare Piero&Gianni, in memoria sua e di un altro amico scomparso».


«Io spero come sempre, attraverso il racconto delle esperienze che ho condiviso con tanti altri, di alimentare soprattutto delle domande, dei dubbi in chi mi ascolta. Perché chi pensa di aver già capito tutto non è mai d’aiuto al cambiamento... Solo chi non smette mai di interrogarsi, di sentirsi piccolo e bisognoso di confronto, cerca negli altri la sponda per un cammino comune di conoscenza e impegno»

bottom of page