Contributo al dibattito: "Il tempo della rivolta". La fine della storia e l'ora delle rivolte, i conflitti inaspettati e la costruzione di alternative al potere.
# LE MALETESTE #
5 mag 2021
(...) "Ho ascoltato con attenzione le parole di Donatella perché mi aiutano a capire meglio alcune cose della nostra esperienza a Riace che nemmeno io ho capito fino in fondo, o di cui quasi non mi sono accorto. Non ho cercato consapevolmente di essere un Disobbediente. Ero un sindaco che rappresentava un piccolo governo locale, quindi le istituzioni. La mia è stata una scelta spontanea.
Prima di diventare sindaco mi ero spesso interrogato sul perché i nostri ideali di sinistra non diventano mai un concreto processo politico. In un’area fortemente marginale come quella in cui vivo, sicuramente uno dei problemi che affrontiamo è quello dell’efficacia del linguaggio della sinistra. La sinistra pensa di avere la verità in mano eppure questa «verità» non riesce mai a rientrare in un’idea di governo, anche locale. Quando ho deciso di candidarmi a sindaco i primi che non mi credevano erano i miei familiari, che mi ripetevano «Ma chi te lo fa fare?», perché già guardare oltre la propria sfera individuale era strano.
L’area in cui vivo è stata storicamente caratterizzata dal latifondismo agrario e ancora oggi è profondamente condizionata dalla criminalità organizzata, eppure il mio contesto di riferimento è stato determinante nell’influenzare la ricerca di un processo politico in grado di far diventare concreti, anche una volta arrivato al potere, ideali della sinistra come quello dell’uguaglianza sociale. Come sindaco ero diventato parte dello stato ma nello stesso tempo era per me l’occasione per dimostrare che quei valori valgono anche una volta arrivati al governo. E per farlo disobbedire è stata una necessità.
Ciò che ha segnato la mia storia giudiziaria è stato il Decreto Minniti-Orlando che ha ridotto da tre a due le possibilità di poter ricorrere riguardo alle decisioni per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. In quel momento è scoppiata a Riace la rivolta delle donne nigeriane che non avevano una terza possibilità di ricorso. A quel punto ero con le spalle al muro: o stavo dalla parte dell’umanità e disobbedivo, oppure stavo con lo stato. Il Decreto Minniti-Orlando è stato l’anticamera dei Decreti sicurezza di Matteo Salvini poi superati dal secondo governo Conte: alla fine è sempre relativo essere o meno nella legalità tanto che oggi nemmeno i Decreti sicurezza sono più legali.
Becky Moses, donna nigeriana che viveva felicemente a Riace, a causa di quel Decreto è stata costretta a lasciare il nostro comune per andare vivere nella baraccopoli di San ferdinando e lì, in quell’inferno dei vivi, ha perso la vita. Di fronte a fatti del genere io semplicemente ho scelto istintivamente di seguire la strada dell’umanità, di un ideale di giustizia molto più importante della cosiddetta legalità. Questa parola ha fatto smarrire i propri valori alla sinistra perché è stata pronunciata anche quando significava mantenere i privilegi.
Soprattutto quando hai una responsabilità di governo come nel mio caso, se ci sono leggi ingiuste in modo così evidente devi scegliere se stare dalla parte del potere anche contro i valori umani o stare con l’umanità. Il mio percorso come sindaco è stato legato al popolo, sono stato dalla parte del popolo senza fare differenze tra i cittadini: chi abita un luogo sta nello spazio pubblico e nessun essere umano può avere priorità rispetto a un altro. Lo slogan «prima gli italiani» è inaccettabile perché è discriminatorio, costruisce società legate a un privilegio inaccettabile.".
da jacobinitalia, it, 26 gen. 2021