Dall’inizio dell’anno è l’ottavo suicidio negli istituti di pena della Campania e il 36esimo in quelli di tutta Italia. L'ultimo, il 16 ottobre scorso
# LE MALETESTE #
20 ott 2021
Il garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello, e quello napoletano Pietro Ioia, alla notizia dell’ennesimo suicidio in carcere commentano:
«La frequenza delle morti per suicidio nelle carceri non provoca sussulti, sgomenti, indignazione. Non sviluppa campagne di prevenzione e di sensibilità sul tema delle carceri». L’indifferenza dei più rende questa strage silenziosa senza che ci si preoccupi di indagare le cause di così tanti suicidi, per prevenirli.
Ancora un suicidio in carcere, il 16 ottobre 2021. La strage silenziosa che si sta consumando dietro le sbarre continua.
Slavizan Jovanovic si è impiccato domenica sera nel carcere di Secondigliano.
Dall’inizio dell’anno è l’ottavo suicidio negli istituti di pena della Campania e il 36esimo in quelli di tutta Italia.
Numeri di fronte ai quali la politica non si indigna e resta inerte. Jovanovic, rumeno di 34 anni, era arrivato nel penitenziario di Secondigliano quasi un anno fa; proveniva dal carcere di Torino.
In cella c’era finito per il reato di rapina e come la maggior parte dei detenuti suicidi in cella, anche Jovanovic non aveva molti anni di reclusione da scontare, il suo fine pena sarebbe arrivato nel 2024.
Aveva già provato a togliersi la vita un mese fa, tagliandosi le vene. Domenica sera ha scelto di stringersi un cappio intorno al collo.
Non contestava il fatto di stare in carcere ma il fatto di essere stato trasferito a così tanti chilometri dai suoi familiari, il che rendeva impossibile avere un minimo contatto con i suoi affetti. I parenti del 34enne vivono infatti in Germania e finché Jovanovic era recluso a Torino riuscivano anche ad andarlo a trovare.
Il viaggio fino a Secondigliano, invece, era assolutamente al di fuori delle loro possibilità economiche.
E così, nella solitudine più totale, Jovanovic ha deciso di compiere il gesto estremo e disperato.
Il personale e la direzione del penitenziario di Secondigliano avevano colto il suo malessere e avevano garantito al detenuto l’assistenza di uno psicologo. Ma non è bastato.
La storia di questo ennesimo suicidio in cella riaccende i riflettori sul problema della territorialità della pena e del numero eccessivo di detenuti che, pur non avendo alle spalle reati particolarmente gravi, si trovano a scontare la condanna in strutture penitenziarie eccessivamente distanti dalle loro città di origine, impendendo la frequenza di colloqui con i familiari e accentuando la solitudine della reclusione fino a renderla una sorta di pena aggiuntiva.
«La violenza endemica del carcere ormai coinvolge tutti – denunciano i garanti -, comprese le paure e le insicurezze dei cittadini e il cinismo e la pavidità della politica, che considera il carcere necessario per tutti i “diversi” della società. Come garanti – aggiungono Ciambriello e Ioia – crediamo che sia necessario andare oltre la punizione del carcere come antidoto all’insicurezza dei cittadini, non strumentalizzando le vittime come fa la politica e applicando la Costituzione che prevede la rieducazione del condannato e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo».
Da Viviana Lanza - ilriformista.it, 20 ott. 2021