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UN MONDO NUOVO NELL'ITALIA RURALE: MONDEGGI BENE COMUNE

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Articolo ed intervista a cura di Raúl Zibechi per "Des Informémonos" (Messico)

# LE MALETESTE #

9 lug 2022

Raúl Zibechi

09 Luglio 2022


Autogestire il racconto della propria esperienza. Raúl Zibechi voleva realizzare, per i molti lettori di Desinformémonos, sparsi non solo in Messico ma in buona parte del mondo che legge la lingua castigliana, un’intervista che riuscisse ad andare in profondità nel racconto di Mondeggi Bene Comune. Così ha posto sette domande al collettivo che ha dato vita alla Fattoria Senza Padroni e alle molte straordinarie realtà che sono ad essa connesse (l’ultima nata è la prima Università della Terra in Italia): da cosa pensano di aver costruito dopo nove anni del loro resistere creando mondi nuovi a come prendono le decisioni. Ne è venuto fuori un ampio racconto senza mediazioni, come vuole la prassi di un’esperienza comunitaria che ha fatto dell’autonomia un modo di vivere e perfino di comunicare con il mondo intero.

Mondeggi Bene Comune. Una tenuta agricola abbandonata per anni e anni dai proprietari, a pochi chilometri da Firenze, occupata da decine di giovani che l’hanno sottratta al degrado e poi hanno cominciato a produrre, trasformandola in “fattoria senza padroni”, formando una grande e articolata comunità in autogestione. Non si sono accontentati, però, dei 200 ettari occupati, hanno cominciato a tessere reti di mutuo appoggio con i contadini dei dintorni e con settori urbani che ne condividono gli obiettivi e le modalità di gestire il lavoro.

Oggi Mondeggi Bene Comune conta su 170 ettari di terra coltivata, in gran parte a vite e olivo, diversi piccoli orti e una produzione di grani antichi e zafferano. Poi ci sono l’apicoltura, la produzione di ortaggi e vedure, il pane e la birra artigianale. Centinaia di persone si prendono cura di oltre 4mila ulivi con metodi ecologici, sviluppano relazioni di scambio e solidarietà tra chi partecipa all’associazione “Amici di Mondeggi”, che è nata con l’intento di aprirsi ulteriormente alle realtà associative locali. L’ampia intervista che segue è stata concordata con il collettivo di Mondeggi. Abbiamo inviato (Zibechi vive a Montevideo, ndr) 7 domande spiegando che la nostra voleva essere una intervista capace di andare in profondità per essere poi pubblicata su Desinformémonos, un mezzo di comunicazione che a Mondeggi conoscono bene perché, tra le altre cose, il loro spazio rurale ha ospitato lo scorso anno delle zapatiste venute in Europa con la Gira por la Vida. Qui trovate le loro risposte, che hanno impiegato qualche settimana per arrivare, perché, nel miglior stile dei lavori collettivi, dovevano essere approvate in assemblea. Naturalmente, hanno cambiato l’ordine delle domande e modificato altri dettagli, come è prassi che faccia un collettivo autonomo.

In questi nove anni cosa ha costruito Mondeggi? Quante persone ci vivono? Cosa producono e in quanti ettari di terra lo fanno? In questi 9 anni il progetto “Mondeggi Bene Comune” ha dato vita ad un processo evolutivo di autogestione agricola che lo ha portato a diventare una comunità diffusa vissuta e attraversata oggi da centinaia di persone che ogni giorno contribuiscono alla crescita e allo sviluppo di questo percorso partito dal basso, in cui ogni individuo mette a disposizione della collettività la propria esperienza e le proprie competenze attraverso la pratica quotidiana e la libera trasmissione e condivisione del sapere, sia per quanto riguarda le produzioni agricole che per le attività con funzione sociale. Ovviamente coesistono diversi livelli di coinvolgimento e partecipazione. Un altro contributo importante per la crescita del progetto è stato il lavoro svolto nel tempo di collaborazione e cura delle relazioni con varie realtà e spazi (in città quanto in campagna) che ha portato Mondeggi a costruire reti di resistenza, solidarietà e mutuo appoggio con le quali siamo fortemente connesse, e che ogni giorno aiutano a rafforzare la posizione della comunità sul territorio, facendone un riferimento per molte persone sempre più alienate dal sistema e alla ricerca di alternative e stili di vita più a misura d’uomo, ma anche per ritrovare un minimo comun denominatore tra le varie e diverse forme di lotta e resistenza anticapitaliste in difesa dell’ambiente, del lavoro e delle questioni di genere su tutti i territori che da un livello locale si sono estese sino ad un livello regionale e nazionale; tutte queste istanze hanno dato inizio ad un percorso di “intersezionalità” delle lotte che il 7-8 maggio 2022 sono confluite a Mondeggi su nostro invito per un’iniziativa intitolata “UniTerra – coltiviamo saperi liberi per un’ecologia contadina”. In questo evento abbiamo lanciato la proposta di costruire a Mondeggi una Università della Terra, un progetto che mira alla condivisione dal basso dei saperi contadini e agroecologici in un’ottica di critica radicale della produzione e trasmissione dei saperi per come avviene nei contesti istituzionali. Il progetto di UniTerra è solo l’ultimo esempio di come Mondeggi negli anni è diventata uno snodo importante di percorsi politici che hanno intrecciato movimenti e coscienze critiche di ampio respiro. Guardando in avanti, Mondeggi ospiterà ad ottobre l’incontro nazionale di Genuino Clandestino, costruito in collaborazione con gli operai della fabbrica occupata GKN (1) e coi movimenti ecologisti toscani. Altra nota degna di attenzione riguarda l’aspetto educativo e pedagogico, portato avanti attraverso un lavoro costante e paziente da alcuni membri della comunità con la collaborazione e la partecipazione attiva di famiglie e scuole presenti su tutto il territorio, dentro e fuori i confini del comune di appartenenza. Ma veniamo ora alla parte che riguarda la quotidianità: come vengono gestiti 200 ettari di territorio a vocazione agricola sul quale sorgono sette casolari ed una villa storica, di proprietà della Città Metropolitana di Firenze e abbandonati dalla medesima? Per rispondere a questa domanda occorre prima spiegare quali e come sono costituite le varie parti che nell’insieme compongono il grande laboratorio progettuale “Mondeggi Bene Comune”: 1. IL PRESIDIO. Costituisce il ramo abitativo, il quale è distribuito e si occupa della gestione quotidiana di tre delle sette case coloniche presenti all’interno della tenuta (le uniche tre ancora abitabili), oltre ad essere la componente del progetto che interpreta ed incarna maggiormente le istanze di ritorno alla terra e di agroecologia sui quali si fonda l’intera comunità. 2. MO.T.A (Mondeggi Terreni Autogestiti) e MO.V.A (Mondeggi Vigneti Autogestiti). Costituiscono tutta la componente di cittadinanza attiva presente sul territorio circostante che non abita a Mondeggi ma che la vive e si prende cura della terra quotidianamente: sono i custodi degli orti sociali, delle particelle di ulivi e dei filari di vigna (2). La loro azione di volontariato si è di fatto ibridata con le pratiche più proprie del movimento, come le assemblee autogestite, dando così vita a una formula di coesistenza colorata e funzionale. 3. LA FATTORIA SENZA PADRONI. Si intende quella componente specifica legata al concetto di autoproduzione e autosufficienza, derivanti dalle attività agricole, al fine di abbattere tutte le filiere. Vale a dire tutti i costi legati al reperimento e alla produzione delle materie prime occorrenti per la trasformazione dei propri prodotti. 4. IL BENE COMUNE: La tenuta è un luogo attraversato e attraversabile, aperto ad ogni genere di proposta da parte della cittadinanza attiva e dalle realtà politiche e sociali a noi affini. Perciò la Fattoria fornisce ospitalità e supporto materiale ad iniziative che non trovano spazi agibili, gratuiti, autogestiti: ospitiamo momenti legati alla formazione; giornate di intrattenimento e laboratori di ogni genere. Tutto ciò con frequenze variabili a seconda dei periodi dell’anno, e legate alle stagionalità del lavoro nei campi. Considerato che si è partiti decisamente da zero, senza alcun mezzo tecnico né soldi, si può dire che in questi otto anni di presidio a livello agricolo Mondeggi Bene Comune, riusciamo a gestire oggi circa 60 ettari dei 200 complessivi. La nostra è un’agricoltura che si avvale di una meccanizzazione ridotta al minimo, che massimizza la multifunzionalità e l’importanza della biodiversità negli agro-ecosistemi. Tale multifunzionalità si esprime nella ricerca di sinergie tra le diverse attività agricole: la coltivazione di seminativi, alberi da frutto, ortaggi, piante aromatiche e zafferano; la gestione di olivete e vigne; l’allevamento di galline ovaiole e maiali, l’apicoltura, il vivaio. La filiera delle autoproduzioni si concretizza nelle attività di panificazione, birrificazione e vinificazione. Forse più significativa delle altre, la storia dell’oliveta co-gestita è esempio della modalità di coinvolgimento e comunicazione, dentro e fuori la Fattoria senza Padroni: le piante, circa 10.000 in tutto, dal 2009 completamente abbandonate e parzialmente invase da edera e rovi, sono state progressivamente parcellizzate e prese in custodia nella loro quasi totalità, grazie a un lento ed enorme lavoro di potatura e pulizia. Questo è stato portato avanti da centinaia di persone del territorio e non, anche grazie a numerose giornate di lavoro collettivo. Da qui è nato il progetto Mo.T.A. (Mondeggi Terreni Autogestiti). Così, analogamente è nato il progetto Mo.V.A. (Mondeggi Vigne Autogestite), grazie al quale sono gestite una parte delle vigne, circa 5 dei 10 ettari che curiamo. La restante parte delle autoproduzioni è organizzata in comparti di lavoro autonomi e ovviamente autogestiti, che convergono al momento del mercato di piazza a formare un unico banco che rappresenta l’intero lavoro della Fattoria.

Come commercializzate i prodotti della Fattoria Senza Padroni? La premessa è che nonostante l’impegno e la cura nel realizzare le autoproduzioni, queste sono di fatto illegali. Dunque, noi accettiamo ogni giorno di portare avanti pratiche da intendersi come forma di resistenza a logiche speculative di produzione e di mercato. Possiamo permetterci questo atteggiamento solo grazie a una fitta rete, locale e nazionale, di mutuo appoggio e solidarietà fra pari. Questa catena di relazioni si concretizza nel percorso chiamato Genuino Clandestino, che nasce nel 2010 come “campagna di comunicazione” per denunciare un insieme di norme ingiuste, che, equiparando i cibi contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li ha resi di fatto fuorilegge. Per questo, il movimento rivendica fin dalle sue origini la libera trasformazione dei cibi contadini e la loro libera vendita tramite garanzia relazionale, restituendo così un diritto espropriato dal sistema neoliberista. Genuino Clandestino si riunisce due volte all’anno, una in primavera e una in autunno, senza avere una sede o un territorio di riferimento: il luogo del raduno è stabilito collettivamente secondo principi di necessità, mutualità e promozione di nuove reti e nuovi nodi. Nel 2017 questa campagna prende corpo anche a Firenze, dove nasce il collettivo “Comunità di Resistenza Contadina – Jerome Laronze”, il cui nome è dedicato a un allevatore francese, finito con l’essere ucciso dai gendarmi poiché si ostinava a non assoggettarsi ad ingiusti disciplinari. Si accennava al fatto che, due pomeriggi ogni settimana, portiamo i prodotti freschi delle nostre campagne alla città di Firenze, in cui numerose sono ormai le figure di co-produttori e co-produttrici, ovvero coloro che acquistando il cibo da noi prodotto, sostengono attivamente le fattorie e le scelte di vita che abbiamo compiuto. Spesso incontriamo anche gruppi auto-organizzati che acquistano collettivamente, e distribuiscono a chi non riesce fisicamente ad essere al mercato. Il collettivo politico contadino Jerome Laronz ci consente, attraverso un ulteriore percorso assembleare e momenti di mercato, di sperimentare un modello comunitario ed economicamente volto all’autonomia alimentare, riducendo le distanze tra chi produce, chi scambia e chi reperisce il cibo; non solo: sono poste in primo piano le relazioni sociali, sono promosse e diffuse nuove pratiche, convivialità, e momenti socio-culturali. Anche a Mondeggi disponiamo poi di un punto di esposizione e distribuzione dei nostri prodotti, per chi già ci conosce o si trova a passare per qualche evento o iniziativa. Infine, ma non ultima per importanza, è bene ricordare che una buona parte dei prodotti freschi (dall’orto, dal frutteto, il pane) occorrono ogni giorno per sfamare presidianti e ospiti della fattoria.

Chiarito che esiste una rete che vi appoggia e che alcune persone partecipano alle attività nella tenuta, quanti amici/alleati partecipano alle riunioni e alle assemblee che convocate? Innanzitutto, delle più di 200 figure di custodi che si occupano a vario titolo del terreno, una parte di questi partecipa attivamente nell’elaborazione politica, sociale e nella comunicazione verso l’esterno. Anche in questo caso, tutte le nostre decisioni si basano sulla cultura assembleare che è propria del movimento, nel nostro paese, fin dalle lotte del ’68. Dunque a vari livelli di partecipazione corrispondono varie assemblee, che si intrecciano fino apparentemente a confondersi: istallazioni artistiche, gruppi di salute, custodie popolari degli orti e cura dei centri estivi per bambini: confluisce tutto nell’assemblea generale del progetto, l’assemblea del comitato. Essa si riunisce almeno una volta al mese, o, nei periodi di emergenza o necessità, anche molto più frequentemente. In secondo luogo le abitanti del presidio contadino si riuniscono settimanalmente nell’assemblea “di casa”, che ha compiti di gestione e organizzazione del quotidiano, oltre che affrontare necessità logistiche e curare la relazione con viandanti e ospiti settimanali di passaggio, il cui numero è superiore a una cinquantina di persone all’anno. Se allarghiamo poi lo sguardo al di fuori della Fattoria, se dunque analizziamo meglio il contesto in cui l’occupazione rurale di Mondeggi cerca e connette alleanze, siamo all’incrocio di due storie: da un lato si è accennato alla rete di Genuino Clandestino che incarna le istanze contadine agroecologiche. Dall’altro, la nostra esperienza si colloca nello scenario delle lotte territoriali, a livello cittadino e regionale, a fianco di coloro che portano avanti istanze più legate al mondo delle vertenze locali: dai legami di amicizia con la neonata Assemblea Ecologista Toscana, alle storiche relazioni con i movimenti di Lotta per la Casa; le vertenze operaie come quella GKN, o quella del sindacato pakistano del tessile di Prato (di cui andremo ospitando l’assemblea regionale il prossimo 2-3 luglio). Facciamo anche parte della Rete Nazionale per i Beni Comuni Emergenti, la quale è composta da altre assemblee, altri collettivi che gestiscono in diverse città strutture, parchi, servizi legati a luoghi “orfani”, e spesso occupati – come è del resto classificata la stessa Mondeggi. È interessante notare come molte delle presidianti e dei presidianti provengono, come formazione, dalle facoltà e dai collettivi universitari di Firenze, quello di agraria in particolare, con i quali esistono ancora relazioni vive nonostante i cambi generazionali. Da sottolineare anche che in città esiste oggi un nutrito gruppo ultras di calcio popolare, il Centro Storico Lebowski, con le quali abbiamo creato legami, non solo perché partecipiamo a reciproci eventi, ma soprattutto vista la convergenza di fase fra due autogestioni che, essendosi ben radicate sul territorio, arrivano inevitabilmente ad affrontare dibattiti interni fra snaturamento e legalità, argomento su cui torneremo. È importante citare come poi, sul fronte cittadino e regionale dell’opposizione alle grandi opere antiecologiche, intratteniamo contatti di mutualismo e solidarietà reciproca: lotte contro inceneritori, allargamento dell’aeroporto locale, preservazione di aree verdi cittadine, nuove basi militari sul territorio regionale. Queste alcune delle vertenze che abbiamo sostenuto, e sempre sosterremo. Per quanto riguarda i legami locali, bisogna anche sottolineare l’attività di preparazione e distribuzione dei pasti che regolarmente organizziamo, sia durante gli eventi nella nostra Fattoria che fuori, nelle piazze, nei centri sociali, perfino in altre città. Un accenno, per concludere la sintesi, va fatto anche ai contatti internazionali, alcuni più duraturi, altri occasionali, che Mondeggi ha saputo instaurare in questi nove anni di autogestione. Scambi con il movemento Sem Terra e la Via Campesina; con i contadini honduregni, con le già citate zapatiste; con le Zone A Defendre e il movimento Reclaim The Fields. Abbiamo poi ospitato campi di Sevizio Civile Internazionale, così come comitive di studenti e studentesse da diversi paesi, fra cui ultimamente, gli Stati Uniti.

Come ha reagito lo Stato all’occupazione? Nell’immediato la reazione è stata cieca e repressiva, concretizzata in un processo per occupazione abusiva a carico di 17 imputati, poi tutti assolti per mancanza di prove. Negli anni successivi, sono stati emessi tre bandi di vendita, ciascuno dei quali vedeva calare vistosamente il valore di base d’asta, passando dagli iniziali 25 agli ultimi 8,5 milioni di euro: nessuno di questi bandi ha avuto esito. Alla tentata repressione però non è conseguita azione di sgombero o altro: c’è sempre stata agibilità totale, nei confini da noi scelti. Alla luce di questi avvenimenti, la domanda dal nostro punto di vista va rovesciata. L’occupazione della tenuta è una conseguenza di per sé all’atteggiamento di indifferenza dello stato nei confronti della cittadinanza attiva (oltre che del bene in sé): quindi, è questa cittadinanza ad aver reagito all’indifferenza e all’incuria dello stato. Ricordiamoci che prima dell’occupazione del giugno 2014, infatti, più volte sono state ignorate aperture al dialogo dal basso. L’obiettivo di evitare la svendita sembra ormai esser stato raggiunto. Per Mondeggi si apre ora una fase ben più critica, legata ai processi internazionali tramite i quali l’Unione europea ha scelto di ristrutturare il proprio sistema economico, dopo l’emergenza covid-19. Il riferimento è quello ai fondi del PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza), che ammontano a miliardi di euro per la sola Italia, di cui ben 52 milioni sono stati destinati proprio alla ristrutturazione della tenuta di Mondeggi. Questa è la vera ragione della mancata vendita della tenuta. Le dichiarazioni in merito da parte dell’amministrazione provinciale vorrebbero far intendere che, da questo momento, ci sia apertura al dialogo con la nostra realtà, nell’ottica di una co-progettazione della “Mondeggi del futuro” ; nei fatti, gli incontri che abbiamo avuto prima con i tecnici incaricati della scrittura di un primo progetto preliminare, poi con i rappresentanti politici dell’amministrazione, non hanno portato ad oggi alcuna garanzia concreta. Oggi questa situazione è oggetto di dibattiti continui nella comunità, è l’ordine del giorno di molte delle nostre assemblee. Se un primo traguardo è stato finalmente l’aver aperto un dialogo con le alte cariche del governo provinciale, oggi non ne possiamo vedere l’esito e tantomeno è facile scrivere di questi temi. Quello che si può dire è che non sembra che l’amministrazione abbia intenzioni di sgomberarci con la forza, anche perché non sarebbe facile, considerato il sostegno che siamo in grado di sviluppare – come dimostrano queste stesse righe. Ma d’altra parte sentiamo che il rischio di compromissione dell’esperienza è concreto. Negli anni questo luogo, questa comunità, da presidio contro la vendita del patrimonio pubblico è diventata molto di più: un laboratorio politico permanente di autogestione e autoproduzione, dove si vive almeno in parte differentemente dallo stile di vita che impone la società capitalista. La nostra paura più grande è che la ristrutturazione della tenuta possa distruggere tutto questo. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.

Come prendete le decisioni? E quali sono le principali difficoltà interne che incontrate per quel che riguarda le relazioni umane? Come già accennato, a Mondeggi si intrecciano diversi livelli decisionali, dall’assemblea di Comitato, a quella del presidio, all’organizzazione interna ai gruppi di lavoro che si coordinano in maniera indipendente, ai vari progetti che attraversano questa realtà. Al di fuori delle assemblee, tante decisioni vengono prese in cucina, davanti al caffè, in maniera informale – in particolare per decisioni tecniche che mobilitano competenze specifiche e che non riguardano la direzione politica della comunità. Per quello che riguarda le decisioni in sede assembleare, sin dall’inizio di questa esperienza, abbiamo deciso di avvalerci del metodo del consenso. Il metodo del consenso si sviluppa dal presupposto che tutte le persone dovrebbero avere voce in capitolo sulle decisioni che le riguardano, e si propone di evitare schieramenti e conflitti, tipici del voto di maggioranza. Si creano così le condizioni per cui le esigenze e le perplessità di tuttx vengano ascoltate ed elaborate collettivamente. Altro obiettivo è quello di valorizzare i diversi livelli di esperienza e saggezza senza che lo status (origini, titoli di studio, anzianità nel gruppo) determini il grado di potere. Nella pratica, il metodo del consenso consiste nell’analizzare le possibilità e nell’elaborare e rielaborare una proposta, fino a che non diventa accettabile per tutti. Accettabile, beninteso, non significa che tuttx ne sono entusiastx: possiamo accettare che venga presa una decisione che non ci va veramente a genio, ma che capiamo essere la migliore sintesi per il gruppo, viste le opinioni che sono state espresse. Lo strumento del veto è a disposizione di tutti (ma da usare con estrema parsimonia) per bloccare decisioni ritenute assolutamente inaccettabili. Ovviamente l’applicazione di questo metodo non è di per sé una garanzia di soddisfazione. Per un buon funzionamento, il consenso ha bisogno che le persone condividano un obiettivo comune, un certo grado di fiducia, una buona comprensione del processo decisionale a cui prendono parte; volontà di ascolto e attenzione reciproca, volontà di arrivare alla decisione che è migliore per il gruppo nel suo insieme. Occorre disponibilità di tempo ed energie per esaminare e rielaborare le proposte; non solo, è necessaria una buona facilitazione e gestione logistica dei tempi e dell’ordine del giorno. Spesso, conciliare tutti questi elementi si rivela al di sopra delle nostre possibilità. All’interno del meccanismo consensuale spesso si creano fazioni contrapposte che lottano per prevalere l’una sull’altra, mostrando evidenti dinamiche di potere (persone che, grazie al loro status, hanno più voce in capitolo di altre) e le preoccupazioni e i bisogni di tuttx non vengono sufficientemente ascoltati e presi in considerazione. Il consenso rimane quindi un obiettivo a cui tendere più che una realtà in atto: condizionatx come siamo da un mondo gerarchico e brutale, riadattarsi a modi di stare insieme in maniera paritaria e collaborativa è un percorso lungo, forse generazionale, che richiede costante volontà, attenzione ed impegno. Questo discorso si estende dalle decisioni a tutti gli aspetti del vivere, lavorare e fare politica insieme: decostruire le tendenze all’individualismo, alla prevaricazione, alla competizione, all’iperproduttività e all’iper-valorizzazione del lavoro è un sfida quotidiana. Spesso, sommersi dalla mole di sforzi necessari per gestire i terreni e la miriade di percorsi politici che si intrecciano a Mondeggi facciamo fatica a trovare tempo ed energie per dedicarci collettivamente alla cura delle relazioni. Tra i problemi che abbiamo incontrato in questi anni ci vengono in mente gli inevitabili conflitti interpersonali, i conflitti interni alle coppie, la mancanza di comunicazione, situazioni di stress, burnout, e disagio psichico. I problemi relazionali vengono spesso elaborati a livello personale o tra piccoli gruppi, mentre la consapevolezza che il personale è politico ci invita ad affrontarli come comunità, dotandoci di strumenti quali la comunicazione non violenta, la facilitazione, la mediazione dei conflitti.

Avete ospitato una delegazione zapatista. Vi va di raccontare qualcosa su quella esperienza? Nonostante le difficoltà reciproche causate dalla gestione della pandemia, il passaggio de la Gira Zapatista ha avuto per noi e per Mondeggi un grande significato, non solo simbolico: è stata infatti una spinta, uno stimolo, una motivazione a conoscere e approfondire la storia del movimento zapatista e le sue condizioni di oggi, al fine di costituire un legame vivo con le persone e una comunione di intenti nelle lotte. Infatti, proprio in quella fase del settembre 2021, tutta la Comunità di Resistenza Contadina insieme a Mondeggi stava costruendo la “Marcia per la Terra”, che è stata un momento molto importante per tutte noi, denso di riferimenti politici e culturali. In quel contesto, le nostre istanze agro-ecologiche, contadine, si sono contrapposte dalla piazza agli interessi espressi dai governanti delle potenze mondiali (il cosiddetto “G20”) che, in contemporanea, in alcuni palazzi di una Firenze blindata, proponevano e ratificavano soluzioni intensive e progressi 3.0 per l’agricoltura mondiale. La risposta del movimento è stata dunque abbandonare letteralmente la città, per marciare per chilometri e tornare simbolicamente a riappropriarci della nostra esistenza liberata, nella Fattoria senza Padroni. Degna di nota dunque, è citare l’aspettativa che, crescendo durante tutta la primavera e l’estate 2021, ci ha accompagnate nel costruire il programma politico e di relazioni sul territorio (e on-line con le realtà più lontane). L’immaginario della Gira ha significato per tutti e tutte uno stimolo costante a crescere e collaborare insieme, in un contesto reso complesso dal covid; è altrettanto chiaro che la tappa di Mondeggi sia stata un piccolo tassello di una costellazione molto più ampia. La delegazione di donne che abbiamo ospitato, ha concesso più di un momento di incontro e di scambio di opinioni. Ciò che è avvenuto è possibile raccontarlo come un vero e proprio incontro fra culture resistenti, in cui è prevalso in noi l’ascolto dei racconti, l’osservazione della disciplina zapatista. Se forse c’è una lezione che qui, noi, dobbiamo digerire è quella del rapporto con la temporalità: lottiamo per un’istanza comunitaria sì, ma al contempo sono lotte di cui vogliamo noi stesse godere dei risultati, o piangendo nelle sconfitte la morale è che ne vogliamo vedere la fine. Questo è un orizzonte temporale ristretto, tipico dell’occidente contemporaneo. Le zapatiste incarnano una lotta generazionale, in cui l’individuo ha un altro valore, ha un diverso peso specifico… è lavoro da fare.

Qual è il messaggio che volete trasmettere ad altre persone che vivono in zone diverse del mondo? Innanzitutto, come cittadini europei che abitano in un paese ricco come l’Italia, siamo consapevoli di essere dei privilegiati, figli e figlie di una cultura, quella del capitalismo estrattivista, che fagocita le risorse del pianeta giorno dopo giorno. Siamo coscienti che ad altre culture ed altri popoli, ciò che abbiamo da raccontare possa risuonare come un discorso proclamato da un pulpito. Quindi, quale messaggio possiamo trasmettere? Non possiamo che testimoniare la nostra stessa esistenza, ostinata, senz’altro contraddittoria ma che si sforza di essere autentica. Agli altri popoli del mondo non possiamo che far giungere il nostro racconto. I contesti sono così molteplici e specifici che la replicabilità di un modello uguale per tutti su scala globale non è certo il nostro orizzonte, quello che ci interessa è la moltiplicazione delle esperienze di comunità rurale sul nostro territorio. Ci sforziamo dunque di esprimere una mentalità diversa da quella che governa ormai l’intera umanità, in forme mutevoli a seconda dei contesti ma sempre tristemente uguali a sé stesse nel produrre sfruttamento, miseria e omologazione. Siamo una convinzione che vuole opporsi al dominio capitalista, tramutandosi in sforzo mutuale. Siamo perciò solidali con chi condivide questo approccio ovunque si trovi, ma anche consapevoli delle diversità che ci sono nel mondo (risorse naturali, sociali, storia e cultura). Se vogliamo misurare la portata dell’esperienza su scala globale, non siamo in grado di essere altro che un lumicino, una microscopica alternativa nel contesto di un occidente ricco e decadente. Questa comunità e le altre ad essa affini, sono tentativi di vivere e convivere in modo più sostenibile, ovvero che non ricada sulle spalle degli altri. A quelli come noi, quello che possiamo trasmettere è un immaginario di un mondo diverso. Non è stata certo la fame a condurci a questa lotta, ma il malessere che questo stile di vita consumista, ci provoca ogni giorno. Così dispendioso, così poco empatico nei confronti degli altri esseri umani, degli animali, delle piante, dei fiumi, dei mari e delle montagne; così artificiale, così addomesticato, così dipendente da tecnologie che comprendiamo sempre meno. Le promesse del capitalismo si sono rivelate illusorie, sono fallite. Forse proprio questo può essere il nostro messaggio: la nostra testimonianza dimostra che vivere da privilegiati non è un modello a cui tendere, dato che tutta la violenza agita dal capitalismo nei secoli ha prodotto una società sull’orlo della disperazione. Per questo scegliamo di vivere diversamente, a questa scelta sono tesi tutti i nostri sforzi in questa lotta. Grazie ad Aldo Zanchetta per il sostegno nel contatto con Mondeggi e nel processo di traduzione. L’intervista che ci ha inviato Raul è stata realizzata esplicitamente per Desinformémonos. Note

  1. Antica fabbrica di automobili Fiat a Campi Bisenzio, Firenze, che ha chiuso e licenziato i 422 dipendenti, i quali si sono però ribellati e hanno occupato gli impianti. L’occupazione è tuttora in corso.

  2. Fa parte dell’alleanza con persone e famiglie della regione, possono coltivare orti, vigne e olivi dentro Mondeggi

  3. Dove fanno il deserto e lo chiamano pace



da: comune-info.net


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