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JOYCE LUSSU
(8 mag. 1912 - 4 nov. 1998)

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# LE MALETESTE #

11 ago 2022

Joyce muore a Roma il 4 novembre 1998, all’età di 86 anni, ribelle come aveva vissuto, con una sigaretta postale tra le mani al posto del rosario

JOYCE LUSSU (Firenze, 8 maggio 1912 - Roma, 4 novembre 1998)

Joyce Salvadori Lussu nasce a Firenze l’8 maggio 1912. Terzogenita, dopo la sorella Gladys e il fratello Max, cresce nel capoluogo fiorentino a stretto contatto con i genitori: Guglielmo Salvadori e Giacinta Galletti, intellettuali antifascisti, figli di famiglie marchigiane con origini inglesi. Frequenta per poco tempo la scuola elementare e la sua istruzione avviene in gran parte dentro una casa «abitata più dai libri che dai mobili» Nel 1924, dodicenne, in seguito alle percosse subite dal padre ad opera degli squadristi fiorentini, lascia l’Italia insieme alla famiglia. Raggiungono la Svizzera, dove Joyce e Max frequentano una scuola gestita da intellettuali pacifisti. Studiando da privatista e lavorando Joyce si iscrive alla facoltà di Filosofia di Heidelberg, in Germania; ma nel 1933 l’avvento del nazismo le impedisce moralmente di proseguire gli studi. Ritorna in Svizzera dai suoi genitori ed entra in contatto con l’organizzazione antifascista Giustizia e Libertà. Partecipando all’attività clandestina incontra per la prima volta l’antifascista sardo Emilio Lussu, leggendario capitano della Prima guerra mondiale. Dopo quel primo incontro avvenuto a Ginevra, i due si ritroveranno solo nel 1939. Tra il 1934 e il 1939 Joyce vive in Africa. Di quegli anni racconterà solo con brevi accenni, evocando la natura africana nelle sue poesie – pubblicate nel volume Liriche, edito con il patrocinio e la recensione di Benedetto Croce – alcune oggi incluse nella raccolta Inventario delle cose certe. Solo recentemente, le ricerche della storica Elisa Signori hanno permesso di comprendere quel periodo così poco descritto dalla Lussu.




Al suo ritorno in Europa, con Emilio Lussu va a vivere a Parigi, la capitale in cui si è concentrato l’antifascismo italiano. Quando nel giugno del 1940 la città subisce l’occupazione tedesca, l’antifascismo si riorganizza nel Sud della Francia. A Marsiglia, Joyce ed Emilio organizzano partenze clandestine; Joyce impara a falsificare documenti d’identità per coloro che devono lasciare l’Europa. Questo impegno conduce la coppia in Portogallo per alcuni mesi. Joyce studia il portoghese, a Lisbona; successivamente, convocati dal War Office inglese, raggiungono insieme l’Inghilterra nel tentativo di avviare un piano insurrezionale per liberare l’Italia dal giogo della dittatura e dall’alleanza nazi-fascista. Vicino a Londra frequenta dei campi di addestramento. Joyce torna in Italia dopo il 25 luglio del 1943. Con l’armistizio dell’8 settembre comincia la lotta partigiana: mentre Roma è occupata dall’esercito nazista, Joyce compie per il CLN una missione di collegamento con il Sud, per l’espletamento della quale riceverà la medaglia d’argento, ma solo nel 1966. La sua esperienza nell’antifascismo e nella guerra partigiana la si può leggere nei testi fortemente autobiografici che Joyce ha scritto Fronti e frontiere (1944), L’uomo che voleva nascere donna (1976), Lotte, ricordi e altro (1992). Nell’estate del 1944 è madre. Giovanni Lussu nasce in una Roma libera, nel grande fermento della ricostruzione. In settembre Emilio conduce moglie e figlio ad Armungia, il villaggio sardo nel quale è nato. Joyce vuole conoscere autonomamente l’isola e la sua gente; incontra i contadini-pastori, gli stessi uomini che erano stati anche soldati della Brigata Sassari sull’Altipiano di Asiago. Ascolta i loro racconti, quelli delle loro donne e si lega fortemente e per sempre alla Sardegna. Nel 1982 pubblica la raccolta di racconti dedicati alla civiltà sarda L’olivastro e l’innesto. Negli anni del Fronte Popolare, nel 1951, è insieme a lavoratrici provenienti da ogni parte dell’isola a Cagliari, per il Primo Congresso delle associazioni differenziate. Invece, pur essendo stata partecipe della fondazione dell’Unione Donne Italiane, nel 1953 se ne distacca perché arriva a considerarla un serbatoio elettorale subalterno, voluto dai partiti di sinistra che, a suo avviso, avrebbero dovuto lavorare di più sull’integrazione e la partecipazione femminile nella politica.




Negli anni che seguono viaggia per l’Europa a seguito del Movimento mondiale per la Pace. A Stoccolma incontra il poeta turco Nazim Hikmet del quale diviene amica e traduttrice, rendendo le sue poesie note in Italia. All’amicizia e al lavoro con Hikmet (nel 1991 scrive Il Turco in Italia ovvero l’italiana in Turchia), seguiranno traduzioni di poeti allora sconosciuti che raggiunge in Africa, Portogallo, nel Nord ed Est Europa, in Kurdistan. In Tradurre poesia (1967) Joyce spiega come, permettendo alle parole di viaggiare, sentisse di portare avanti anche i valori della Resistenza. In Italia si immerge nel fermento studentesco del ’68 e nutre attraverso quei giovani speranze di cambiamento. Tra gli anni Settanta e Ottanta scrive i saggi Padre padrone padreterno (1976) e L’acqua del 2000 (1977). Si occupa di storia locale insieme ad un gruppo di studiosi del Piceno pubblicando due volumi per le scuole de La storia del Fermano. Studia e scrive della Sibilla, l’antica abitante dei Monti Sibillini e delle comunità pre-cristiane che li abitavano e le divinatrici della Barbagia. Nel 1982 scrive in merito Il libro Perogno. Da anziana incontra nelle scuole coloro che chiama il suo futuro vivente, rendendo il racconto di quanto aveva visto e vissuto un’occasione per fare riflessioni sul presente. Nel 1996 si racconta alla scrittrice Silvia Ballestra che pubblica le loro conversazioni registrate in Joyce L. Una vita contro. Joyce muore a Roma il 4 novembre 1998, all’età di 86 anni, ribelle come aveva vissuto, con una sigaretta postale tra le mani al posto del rosario.



C'è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede

ancora la marca di fabbrica "Schulze Monaco". C'è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio

di scarpette infantili a Buckenwald erano di un bambino

di tre anni e mezzo chi sa di che colore

erano gli occhi bruciati nei forni ma il suo pianto lo possiamo

immaginare si sa come piangono i bambini anche i suoi piedini li possiamo

immaginare scarpa numero ventiquattro per l'eternità perché i piedini dei bambini

morti non crescono. C'è un paio di scarpette rosse a Buckenwald quasi nuove perché i piedini dei bambini

morti non consumano le suole


JOYCE LUSSU

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