top of page

La rivolta dei Fasci dei Lavoratori in Sicilia, 20 gennaio 1893

farvo 3.jpg

# LE MALETESTE #

9 set 2022

Appartenevano a una delle società di mutuo soccorso che costituivano il Movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori contro il latifondo e la redistribuzione della terra

Il 20 Gennaio del 1893, conosciuto anche come il giorno della strage di Caltavuturo, comune in prossimità di Palermo, undici contadini furono uccisi a colpi di fucile dalle truppe militari della caserma di quella zona.

Appartenevano a una delle società di mutuo soccorso che costituivano il Movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, un movimento che si batteva per contrastare il sistema del latifondo agrario e si ribellava a una monarchia che aveva ridotto i siciliani in stato di miseria.



Abolire la mezzadria e il terratico


Le principali rivendicazioni dei Fasci dei Lavoratori, che sorsero ufficialmente in Sicilia nel 1891 a Catania, erano la concessione delle terre da parte dei grandi proprietari feudali e l’abolizione della mezzadria e del terratico. Queste ultime erano i patti che, a quei tempi, regolavano il rapporto lavorativo e retributivo tra il proprietario terriero e il contadino. Tali contratti prevedevano un sostanziale sfruttamento del lavoratore perché costretto ad accontentarsi di percentuali minime dei raccolti dal proprio lavoro, duro e sfiancante.

La mezzadria, infatti, consisteva nella concessione al contadino di un terzo dei raccolti. Come se ciò non bastasse, il mezzadro era tenuto a cedere al proprietario una parte della sua quota in cambio di protezione.

Il terratico era ulteriormente svantaggioso perché il contingente obbligatorio da parte del contadino consisteva in una quota fissa, in denaro o in natura, indipendentemente dall’esito del raccolto. Non più proporzionale dunque al raccolto che gli era stato consegnato.



20 gennaio 1893: una strage per soffocare nel sangue la questione siciliana.


In questo contesto, il desiderio di riscatto sociale crebbe.

Contadini e minatori si organizzarono all’interno dei Fasci siciliani dei Lavoratori, avviando proteste e occupazioni di terre in diversi comuni dell’isola. C’erano Fasci siciliani dei lavoratori in quasi tutte le provincie della Sicilia.

La mattina del 20 Gennaio, 500 contadini decisero di occupare, a Caltavuturo, presso il Gorgo di Sant’Antonio, le terre possedute dal demanio comunale. Questi appezzamenti erano stati oggetto dell’ennesima promessa di redistribuzione della terra non mantenuta.

A seguito di una sassaiola ingaggiata contro l’esercito regio, il Governo rispose con una dura repressione, uccidendo 11 contadini e lasciandone altri 40 feriti. Tutti gli altri manifestanti furono inseguiti dai soldati fino a quando riuscirono a seminarli.

Il massacro ebbe un effetto catalizzatore. Si diffusero nei mesi successivi manifestazioni e proteste fortemente conflittuali in diverse parti della Sicilia e si andava inasprendo lo scontro sociale. L’apice fu raggiunto nell’autunno del 1893 quando il movimento organizzò un’insurrezione in tutta l’isola, con durissimi momenti di tensione. La repressione portata avanti dal Governo Crispi vide susseguirsi numerose esecuzioni di contadini e operai.



Soria della rivolta


Il 1 maggio 1891 Giuseppe De Felice Giuffrida istituì formalmente a Catania i primi Fasci Siciliani. I singoli lavoratori potevano aderire ai Fasci indipendentemente dalle associazioni operaie. I lavoratori locali stabilirono un secondo Fasci a Messina.

Poi, il 29 giugno 1892, gli attivisti socialisti Carlo Della Valle e Alfredo Casati organizzarono i lavoratori a Palermo, con l'obiettivo di creare lì una voce unificata per la classe lavoratrice. I membri elessero Rosario Garibaldi Bosco a presiedere il comitato direttivo dell'organizzazione.


Molte società di mutuo soccorso si sciolsero e si unirono in questa organizzazione, che all'inizio di settembre contava circa 7.500 membri.

Bosco credeva che l'unificazione dei Fasci in tutta la Sicilia potesse essere il seme di un movimento socialista davvero popolare.

Alla fine del 1892, c'erano Fasci in tutti i capoluoghi regionali della Sicilia.

I Fasci locali talvolta possedevano edifici in cui si riunivano regolarmente, operando secondo la loro stessa costituzione. Queste costituzioni, come quella di Catania, tendevano a sottolineare l'inclusione dei lavoratori indipendentemente dal sesso o dall'età.


Una delle sue caratteristiche più rivoluzionarie fu quello di riservare alla figura della donna un ruolo preminente. Proprio le donne ebbero, in particolare a Piana degli Albanesi, funzioni di primo piano e si assisteva per la prima volta nell’isola ad un  tentativo organizzato di richiedere un’emancipazione del ruolo femminile oltre ad una più generale rivendicazione di lavoro e di diritti.






Al di là delle aree urbane della Sicilia, anche i contadini rurali stavano lottando per mantenersi. Negli ultimi decenni, il governo italiano ha privatizzato la terra in Sicilia che in precedenza era stata a disposizione dei contadini per l'agricoltura. In questo processo, gli amministratori italiani non risarcirono i contadini per la terra sequestrata e iniziarono a far pagare loro l'affitto. Allora i contadini si organizzarono per pagare l'affitto in modo cooperativo.


All'alba del 20 gennaio 1893, centinaia di contadini iniziarono a lavorare i terreni di proprietà del Comune di Caltavuturo, terreni che ritenevano di loro diritto.

Quando vennero avvicinati dai soldati, i contadini fischiarono e li schernirono.

Dopo che i soldati se ne furono andati, i contadini si trasferirono in municipio per fare pressioni direttamente sul sindaco. Rifiutato l'incontro da parte del sindaco, i contadini tornarono indietro verso l'appezzamento di terreno di proprietà comunale, ma la polizia municipale aveva bloccato la strada.

Quando i contadini si trovarono di fronte a questo blocco, alcuni dei manifestanti cominciarono a lanciare pietre contro le truppe. I funzionari spararono sulla folla, uccidendo undici contadini e ferendone quaranta.


Dopo questo evento, tra il gennaio e l'aprile del 1893, i capi dei fasci si recarono nelle zone rurali per diffondere le idee socialiste, che sembravano prendere sempre più campo dopo la strage di Caltavaturo.

Successivamente, i contadini di tutta la campagna siciliana si unirono in fasci propri. Durante le riunioni settimanali dei Fasci rurali, contadini e minatori discutevano dell'attualità, dei loro principi e diritti, e si istruivano sulle tattiche nonviolente, come gli scioperi.

Nel maggio 1893 si potevano contare novanta Fasci in tutta la Sicilia.

Per unificare queste associazioni disparate, Gabribaldi Bosco organizzò un convegno regionale il 21-22 maggio 1893 a Palermo, a cui parteciparono circa cinquecento lavoratori, in rappresentanza della maggior parte dei Fasci siciliani.

Furono ondividuate come rivendicazioni centrali: salari più alti, affitti e tasse più bassi e la ridistribuzione della terra comune sottratta.


I partecipanti a questo convegno elessero un Comitato Centrale di nove membri: Giacomo Montalto di Trapani, Nicola Petrina di Messina, Giuseppe De Felice Giuffrida di Catania, Luigi Leone di Siracusa, Antonio Licata di Girgenti, Agostino Piano di Caltanissetta, Rosario Garibaldi, Bernardino Verro di Corleone, e Gabribaldi Bosco e Nicola Barbato di Palermo.


I Fasci di Corleone, fondati il ​​9 aprile 1893, tennero una conferenza dei contadini il 30 luglio 1893. I partecipanti redassero il primo contratto agrario italiano: "Patti di Corleone", che poi presentarono ai proprietari terrieri nel tentativo di formalizzare e migliorare i diritti dei contadini.

Ad agosto, i braccianti contadini iniziarono uno sciopero per chiedere ai proprietari terrieri di riconoscere i "Patti di Corleone".

Alcuni proprietari terrieri riconobbero il contratto, su pressione dei funzionari statali intervenuti a settembre. Altri chiesero al primo ministro italiano Giolitti di chiudere tutte le scuole siciliane per impedire la diffusione del dissenso; fu rifiutato. Alcuni contadini continuarono a scioperare fino a novembre.

Sempre più comunità formarono Fasci, con 162 esistenti in Sicilia nell'ottobre 1893,


Dopo la mobilitazione dei contadini attorno ai “Patti di Corleone”, i Fasci avviarono altrove scioperi e ottennero migliori condizioni di lavoro.

Nell'ottobre 1893, anche i lavoratori delle miniere tennero congressi durante i quali articolarono rivendicazioni, ottenendo un aumento dell'età minima per i minatori a quattordici anni, la riduzione dell'orario di lavoro e un salario minimo.

I ferrovieri di Catania e Palermo ottennero risultati simili.


Giolitti non era disposto ad arrestare i manifestanti o consentire l'uso di armi da fuoco contro di loro. L'élite dei proprietari terrieri era frustrata dalla riluttanza di Giolitti a usare la forza.

Il 24 novembre 1893 il governo Giolitti si dimise e dopo due settimane di interim tornò al potere Francesco Crispi. Verso la fine del mandato di Giolitti, alcune autorità locali iniziarono ad ignorare il suo divieto di usare armi da fuoco contro i manifestanti.

Sebbene i Fasci avessero espresso il loro impegno per la non violenza, l'attivismo durante l'ultima parte del 1893 andò oltre il controllo del Comitato Centrale dei Fasci. Alcuni membri del Fasci usarono la violenza durante le manifestazioni, distruggendo proprietà con incendi dolosi e rappresaglie con pietre contro la repressione della polizia.


A dicembre Crispi represse con la violenza le manifestazioni, provocando 92 morti.

La leadership dei Fasci non si trovò d'accordo su quale approccio adottare se Crispi avesse tentato di sciogliere la loro organizzazione.

Sebbene la maggioranza dei membri avesse riconosciuto lo squilibrio di potere, sostenendo l'uso della nonviolenza, alcuni sostennero un'insurrezione.

Il 3 gennaio 1894, esprimendo timore per la secessione della Sicilia dall'Italia, Crispi dichiarò lo stato d'assedio, inviando nell'isola 40.000 soldati. Agendo in base alla legge marziale, autorizzò l'arresto dei membri del Comitato Centrale dei Fasci e ordinò lo scioglimento di tutti i Fasci.


L'8 gennaio 1894 il generale Morra di Lavriano istituì tribunali militari a Palermo, Messina e Caltanissetta, che accusarono i fasci di cospirazione e sommossa. Circa mille persone furono incarcerate senza processo.

L'amministrazione impose limitazioni alla libertà di stampa e alla libertà di riunione e associazione, ottenendo lo scioglimento di tutti i fasci.





Note aggiuntive:


La resistenza nonviolenta agli arresti continuò dopo lo scioglimento dei Fasci.


Il 30 maggio 1894 gli studenti, esprimendo la loro frustrazione nei confronti del tribunale di Palermo, si riunirono al Teatro Bellini dove cantarono canti di lavoro e marciarono. Il giorno successivo, gli studenti votarono per approvare una risoluzione che respingeva le sentenze del tribunale e decisero di astenersi dal voto per esprimere il proprio dissenso.

Quel giorno, una folla si radunò fuori dal carcere di Palermo, dove le autorità avevano trattenuto molti capi contadini. Il giorno seguente, nel porto di Palermo, una flottiglia di piccole imbarcazioni circondò la nave che trasportava molti dei capi del movimento in una remota prigione. Queste azioni non impedirono però l'incarcerazione dei leader dei fasci.


Il 14 marzo 1896, la nuova amministrazione italiana sotto Rudinì, liberò i capi dei Fasci, ma proibì la reintegrazione dei Fasci.

Sebbene le associazioni non subirono che trasformazioni di facciata, le rivendicazioni e l'educazione che accompagnarono questo movimento dei lavoratori rimasero nella memoria siciliana e furono un precedente per i futuri movimenti sociali.


Il movimento dei Fasci Siciliani è stato un fenomeno unico nella cooperazione che favorì l'incontro tra la classe operaia rurale e urbana (compresi agricoltori, lavoratori industriali, minatori di zolfo e artigiani), nonché per il coinvolgimento di donne e giovani. Ad esempio, 1.000 donne erano membri dei Fasci. Il 30 ottobre 1893 una di queste donne, Catherine Constance, fu arrestata per aver iniziato uno sciopero.

I Fasci si rifiutarono di allinearsi con istituzioni che rimasero fedeli all'élite.

bottom of page