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3 mar 2023
Le giornate rosse di Viareggio sono un evento che nella storia della Versilia non ha eguali. I moti scoppiarono in maniera del tutto spontanea. Costituzione della Libera Repubblica Viareggina. + VIDEO
2 maggio 1920 – Viareggio. A margine di una partita di calcio scoppiano dei disordini fra i tifosi locali e quelli della Lucchese. Natale De Carli, carabiniere, spara e uccide Augusto Morganti, il guardalinee del Viareggio.
Scoppia un’insurrezione e per tre giorni la città è in mano agli insorti che assaltano le caserme costringendo i carabinieri alla fuga.
Il deputato socialista Luigi Salvatori e i dirigenti sindacali mediano. L’intervento dell’esercito ripristina l’ordine con l’arresto di decine di sovversivi.
La sommossa del 2, 3 e 4 maggio
La mattina del 2 maggio fu tranquilla. Presso il teatro Politeama di Viareggio si svolse un raduno sindacale per l’inaugurazione dei labari di alcune leghe. (7) Al campo sportivo di Villa Rigutti, nel pomeriggio era attesa una partita di calcio tra lo Sporting Club Viareggio e l’Unione Sportiva Lucchese. Si trattava di un incontro atteso con non poche preoccupazioni, a causa degli incidenti avvenuti durante la precedente gara svoltasi a Lucca e si temevano delle “rappresaglie” da parte dei più accesi sostenitori viareggini.
Si verificarono infatti degli scontri ed al termine della partita la folla assediò i giocatori lucchesi negli spogliatoi. Il Commissario di pubblica sicurezza Martorelli chiese rinforzi alla vicina caserma dei Carabinieri i quali, una volta giunti sul posto sotto la guida del maresciallo Taddei, furono accolti con grida ostili e qualche sassata.
La tragedia fu inevitabile dato che il carabiniere Natale De Carli sparò un colpo di rivoltella che fulminò il tenente dei bersaglieri in congedo Augusto Morganti, il quale quel giorno ricopriva il ruolo di guardialinee. La folla si scagliò contro i carabinieri i quali a stento riuscirono a raggiungere la caserma.
La folla si diresse dunque al Tiro a Segno, prelevando tutte le armi disponibili, mentre altri dimostranti assalirono la Caserma della piazza del Mercato, dove il presidio del 32° artiglieria si lasciò disarmare senza opporre resistenza. In possesso delle armi, tutti i dimostranti si recarono alla Caserma dei Carabinieri, reclamando la consegna di De Carli.
Intervenne l’on. Scalabrello, deputato socialista veronese, il quale era presente in città e annunciò che presso la Camera del Lavoro si sarebbe svolta una riunione per decidere sul da farsi per coordinare le azioni della protesta. Nel frattempo i dimostranti armati percorsero le vie di Viareggio, interrompendo il traffico ferroviario e chiedendo l’interruzione di tutti gli esercizi commerciali.
I rivoltosi bloccarono l’accesso alla città ai rinforzi inviati dal Prefetto.
Col calar della sera la città era ormai nelle mani dei dimostranti, che simbolicamente proclamarono la Libera Repubblica Viareggina.
Da Montramito, località a tre chilometri da Viareggio sulla strada per Lucca, dove si erano ritirati i militari, il questore inviò al prefetto la seguente comunicazione: “I camion sono stati accolti a sassate, gli accessi per ferrovia sbarrati, gli altri sono difesi da facinorosi decisi a far uso delle armi essendo in possesso di alcuni moschetti, di rivoltelle, di bombe a mano. Per evitare spargimenti di sangue inevitabili, ho soprasseduto, tanto più il cav. Sartori col quale ho parlato al telefono della cabina elettrica di Montramito, dove mi trovo con tutta la forza, mi assicura che le condizioni sono migliorate, pur rimanendo lo stato di ribellione pel quale non vuol permettere l’ingresso in città né ai soldati né ai carabinieri. Col Procuratore del Re stiamo parlamentando per entrare in Viareggio onde procedere anche per lui. C’è stato un tentativo d’incendio alla caserma dei Carabinieri” (9)
Ebbero luogo delle trattative tra il Commissario Regio e i dirigenti della Camera del Lavoro, guidati dall’onorevole Luigi Salvatori del PSI, le quali permisero al Questore e al Procuratore del Re di entrare in città verso le ore 23.
Ebbe luogo l’incontro in Municipio. I dimostranti posero delle condizioni per consentire il “ritorno alla normalità”:
1- Cacciare tutti i militari della Stazione dei Carabinieri
2- Non far giungere altre truppe a Viareggio
3- Impunità per i civili ed i militari implicati nei torbidi del pomeriggio.
Né il questore né il maggiore dei Carabinieri avevano il potere di decidere riguardo le ultime due richieste, le quali furono respinte di conseguenza. Garantirono però che sarebbe stata avviata un’indagine dettagliata sull’accaduto e che non sarebbero stati richiesti ulteriori sforzi, se non si fossero verificati altri incidenti. Durante le trattative, il prefetto aveva informato telefonicamente il Comando di Divisione Militare di Livorno, chiedendo l’invio di almeno 200 soldati a Viareggio; verso le 23 partì, infatti, un contingente di 100 uomini da Livorno, cui si unirono altri 100 soldati del Presidio Militare di Pisa, al comando dei colonnelli Poppi e Rodda. Il Comando di Divisione Militare di Livorno informò il Comando di Corpo di Armata di Firenze alle ore 0:15 del 3 maggio, ma per difficoltà nelle comunicazioni telefoniche, la notizia giunse solo verso le 8:00.
La notte non fu priva di tensioni. Il Prefetto, che non aveva ricevuto notizie, intorno alle ore 4:30, inviò il seguente messaggio al Comando della Caserma dei Carabinieri di Lucca: “Poiché da circa quattro ore a Viareggio la prefettura non riceve notizie né telefoniche né telegrafiche, tutte le ipotesi sono ammissibili. Prego codesto comando procurare averne per radiotelegramma comunicandomele telefono” (10).
Nel frattempo in Municipio era stato raggiunto un accordo che, momentaneamente, riportò la calma in città. Si concesse alle truppe pisane e livornesi di entrare a Viareggio, purché si accantonassero nelle caserme.
Il Prefetto telegrafò dunque alla Divisione Generale di Pubblica Sicurezza a Roma: “Questore reduce Viareggio conferma tornata calma d aver discusso con on. Scalabrello, con segretario Camera del Lavoro e rappresentante leghe bianche richieste seguenti: allontanamento tutto presidio carabinieri sostituendo con truppa; nessun arresto né rappresaglie contro cittadini e militari per quanto è accaduto dopo fatto; cioè non aver impedito esportazioni d’armi dalla caserma; sciopero generale fino a quando non saranno effettuati questi desideri: pagamento giornate sciopero per passarle in parte alla vedova Morganti. Questore ha dimostrato impossibilità sopprimere Carabinieri, ha ammesso cambio attuali con modalità regolamentari. Quanto ad arresti ha dichiarato che saranno effettuati se riceverà nuove denunce. Arrivato sul posto Comandante Legione dei Carabinieri con altro colonnello” (11).
Nonostante le previsioni ottimistiche, avvennero degli incidenti che fecero temere il precipitare della situazione. Con l’intervento dell’onorevole Salvatori si evitò un nuovo assalto alla Caserma dei Carabinieri; verso le 10 un camion proveniente da Lucca, con a bordo una decina di carabinieri, fu circondato da dei dimostranti e dato alle fiamme, dopo che gli occupanti erano stati disarmati.
A causa del frammentato modo in cui giungevano le notizie, il Comando di Corpo d’Armata di Firenze ordinò al generale Nobili di recarsi a Viareggio per seguire di persona gli avvenimenti e prendere il comando delle truppe, se gli eventi fossero precipitati. Alle 14 i camion giunsero in città ma furono assaliti dalla folla; i soldati furono disarmati.
L’onorevole Salvatori protestò energicamente, dato che non erano stati rispettati i patti, essendo giunte altre truppe a Viareggio. Il generale Castellazzi, che aveva lasciato i suoi uomini nella vicina località di Torre del Lago, era in macchina con i suoi ufficiali con l’intenzione di arrivare a Viareggio. Furono bloccati dalla folla dei dimostranti che reclamavano la consegna delle armi. Castellazzi scongiurò l’intervento dell’onorevole Salvatori, il quale si fece consegnare le armi, accompagnando gli ufficiali alla Caserma dei Carabinieri. La folla, preso possesso dell’automobile del generale la bruciò insieme ad un camion li vicino, dopo aver disarmato altri dieci soldati.
Verso sera fu intravista avvicinarsi una nave da guerra e si diffuse la voce di uno sbarco di Guardie Regie al Balipedio. Fu l’onorevole Salvatori a placare i dimostranti, che avevano già sparato alcuni colpi di moschetto verso la nave, spiegando che non era previsto alcuno sbarco di truppe, ma che stava giungendo il generale Nobili, proveniente da Livorno a bordo di un mas.
Ma la delicata situazione in cui si trovava Viareggio fu testimoniata quando alle ore 2 del 4 maggio, l’onorevole Salvatori fu vittima di un agguato mentre accompagnava Castellazzi al molo dove lo attendeva un mas, per partire alla volta di Livorno. Questo aggravò la tesa situazione a causa delle continue voci che si diffusero in città.
Le autorità politiche locali cercarono di trovare una soluzione che riportasse la situazione alla normalità evitando ulteriori violenze e repressioni da parte di Nitti, che a quel tempo era Presidente del Consiglio. Furono fatte però anche molte pressioni perché l’ordine fosse rapidamente stabilito, come possiamo verificare nei seguenti messaggi: “Li 3/5/1920, ore 23:30. Prefetto di Lucca. Ricevo suo telegramma 1009. Deve essere ben chiaro che se i carabinieri che hanno preso parte all’incidente sono allontanati è solo per disposizione del regolamento e non per atto di debolezza che sarebbe da parte delle autorità vera colpa. Nessun atteggiamento in simili occasioni. E’ veramente criminoso quanto accade a Viareggio. Autori degli incendi delle automobili e del disarmo dei soldati devono essere ricercati attivamente, arrestati, processati. Non è possibile tollerare la violenza delittuosa che imperversa. Comunichi queste disposizioni ai suoi dipendenti e agisca con vigore e fermezza. Le truppe devono fare il loro dovere e non si può venire a patti in materia come questa. Attendo da V.S. che si ripari con una condotta chiara a quanto accaduto. NITTI”
A questo dispaccio fa seguito un’altra dichiarazione di Nitti: “Li, 3/5/1920, ore 23:40. Prefetto Lucca. Ho disposto che una regia nave si trovi domani mattina avanti Viareggio dove ancorerà senza far scendere soldati. Se avvenimenti aggravassero potrà rapidamente rimettere ordine in accordo con le forze di terra. Comunichi queste notizie ai suoi dipendenti. Le rinnovo mie disposizioni. Nelle perquisizioni veda se si trova denaro e cerchi di far indagare rapidamente l’origine del denaro di cui i rivoluzionari dispongono, origine che non è certamente italiana. Su questo punto indagini siano eseguite con cura e raccomandi ciò anche a rigoroso sequestro di armi ed esplodenti. La provincia di Lucca deve rapidamente rientrare nell’ordine. NITTI” (12).
Il comportamento del Prefetto di Lucca Lualdi, fu però negativamente valutato e Nitti lo sospese dal suo incarico: “Ministero dell’Interno. Dispaccio telegrafico cifr. Ore 12:50, n.9660 del 4 maggio 1920. Prefetto di Lucca. Data l’incapacità dimostrata da V.S ceda immediatamente tutti i poteri al generale Nobili. L’ordine deve essere subito ristabilito. NITTI”
Furono in seguito informati i Prefetti delle province vicine: “Telegramma cifrato 4 maggio 1920, ore 13. Prefetti Pisa, Livorno, Massa. n.9663. Ho collocato in aspettativa il prefetto di Lucca per incapacità dimostrata nei fatti di Viareggio e ho disposto tutti i poteri passino generale Nobili. L’ordine deve essere ristabilito. Sono sicuro che in codesta provincia tutto procederà in ordine. NITTI”
Qualche ora dopo, Nitti inviò la seguente comunicazione a tutte le Prefetture: “Telegramma cifrato il 4 maggio 1920, ore 18, 20. Prefetti Regno meno Lucca. n.9688. Riservato alla persona: dolorosi fatti di Viareggio, sono la conseguenza dell’errore commesso dal Prefetto di non reprimere immediatamente movimento di rivolta: ho provveduto subito per quanto riguarda Prefetto ma fatti simili non devono più accadere. Debolezza iniziale lascia divampare più facilmente la rivolta. Meglio agire subito. Per non perdere ogni prestigio autorità governative occorre si decidano a frenare sistemi violenze. Richiamo tutte precedenti disposizioni. Ma una sola disposizione comprende tutto ed è mantenere sicurezza dello Stato. Dove vi è pericolo effettivo non occorrono esitazioni e dove non è vero pericolo regolarsi con garbo e oculatezza, ma sempre mantenendo alto prestigio dello Stato. NITTI”
Le mobilitazioni si stavano ormai affievolendo e la mattina del 4 maggio, giunsero a Viareggio delegazioni di partiti, sindacati e associazioni per partecipare ai funerali di Morganti, previsti per le ore 16. Inoltre incombeva la minaccia che se entro la giornata non fossero cessate le agitazioni, la città sarebbe stata occupata con la forza dalle truppe; alcuni dispacci inviati dal Prefetto confermano la fondatezza di tali voci: “Questore Grazioli. Ordine disarmo pubblico in tutta la provincia. Richiesta nave da guerra Spezia che non potrà tardare. Tutto pronto per avanzata Carabinieri con mitragliatrici fino a Massarosa. Ugualmente per autoblindati con batteria campagna. Attendo generale Marincola inviato comandare truppe esterne” (13)
Alle ore 16 ebbero luogo i funerali di Morganti, ai quali si presentò una folla imponente; subito dopo il feretro sfilarono una delegazione del PSI, anarchici, repubblicani, del PPI, associazioni e gruppi cattolici e l’Unione del Lavoro. Si tenne poi un comizio davanti al Municipio al quale prese per primo la parola l’onorevole Luigi Salvatori, che comunicò alla folla la decisione del Consiglio delle Leghe, tenutosi presso la Camera del Lavoro, di cessare lo sciopero generale ed ogni forma di agitazione, considerando il carattere cittadino dei moti e, soprattutto, i provvedimenti energici che le autorità stavano per adottare, contro i quali la popolazione viareggina niente avrebbe potuto fare.
Ma ci tenne a sottolineare i fatti straordinari che si erano verificati a Viareggio, la città famosa in tutto il mondo per il suo Carnevale. Volle mettere in risalto il valore della rivolta ed incitò la folla a prepararsi per quella che molti speravano si manifestasse come la rivoluzione totale.
Dopo l’intervento di Salvatori seguirono quelli di Petrocchini e Strizzi per la Camera del Lavoro di Pisa, Fontanini e Baccelli per quella di Viareggio ed i rappresentanti dei ferrovieri di Livorno, della Camera del Lavoro di La Spezia e dei gruppi anarchici pisani (14) .
Il ritorno alla “normalità”
Quando le truppe occuparono Viareggio, furono introdotte nuove misure di sicurezza; furono vietati i comizi, cortei, pubblici assembramenti ed attivamente ricercate le armi rimaste in possesso dei cittadini. Fu avviata un’operazione che mirava a intercettare i capi della rivolta, senza però ottenere risultati (15).
Fino al 14 maggio le autorità militari mantennero il controllo dell’ordine pubblico, quando poi furono restituiti i poteri al Prefetto, anche se in città restarono notevoli contingenti di truppe. Solo il 2 giugno vennero revocate tutte le misure restrittive ed il 1° luglio fu abolito il divieto di libera circolazione degli automezzi in città; provvedimento che aveva suscitato preoccupazioni e proteste negli ambienti politici ed economici viareggini, perché metteva in pericolo l’andamento della stagione estiva. Il 4 agosto le ultime truppe lasciarono Viareggio.
L’inchiesta militare e il processo ai dimostranti
Al generale Pecori-Giraldi fu affidato l’incarico di condurre l’inchiesta sui “fatti di Viareggio” dal Comando d’Armata di Firenze, giungendo alle seguenti conclusioni: “In complesso gli avvenimenti di Viareggio produssero a) grave pregiudizio alla disciplina per il pessimo esempio dato dal contegno fiacco e remissivo degli ufficiali e della truppa. b) perdita di una vettura automobile n.4 autocarri bruciati dalla folla. c) furto di oltre centro tra i fucili e moschetti mod. 1891 (dei quali solo una ventina si sono potuti recuperare) di munizioni e di oggetti di equipaggiamento….scaturisce ben chiaro che da quasi tutte le autorità militari non si seppe in modo razionale e preciso giudicare la situazione…l’impegno (delle truppe) stesso venne condotto senza la necessaria fermezza ed energia; senza chiara valutazione degli scopi da conseguire; anche omettendo di regolarsi in diversi casi secondo le norme…; e trascurando ciò che il buon senso doveva consigliare”
Inoltre valutò negativamente il comportamento del generale Castellazzi, del generale Marincola, dei colonnelli Poppi e Rodda, degli altri ufficiali, evidenziandone le incapacità. Le sanzioni proposte dal generale Pecori-Giraldi furono accolte dalle autorità militari e da una comunicazione inviata al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Badoglio, al Ministero della Guerra (23).
Il Generale Castellazzi fu dispensato dal servizio attivo permanente, il generale Marincola sospeso per sei mesi, i colonnelli Poppi e Rodda deferiti al Tribunale di disciplina.
Tra l’8 e il 12 Maggio furono arrestati dei viareggini che non furono figure di rilievo nel corso delle giornate rosse. Alcuni furono scarcerati per essere risultati totalmente estranei ai fatti, come Giulio Simonini. Margherita Pivot, Marianna Raffaelli, Michele Orlando e Romeo Biagini, furono rilasciati per la minore gravitò dei reati a loro addebitati.
Qualche mese dopo fu arrestato il professor Giuseppe Di Ciolo, anarchico molto noto a Viareggio. Tutti quanti erano stati accusati di aver costituito bande armate a Viareggio, aver effettuato violenze e minacce a pubblici ufficiali e privati cittadini, tentato omicidio, istigazione a delinquere, porto d’armi abusivo. Il 23 Novembre 1920 il Tribunale di Lucca fece cadere le imputazioni più gravi nei loro confronti.
Dal 24 febbraio al 19 marzo ebbe luogo il processo presso la Corte d’Assise di Lucca. Solo cinque dei venti imputati furono condannati a mesi di reclusione per porto d’armi abusivo, resistenza e violenza ai carabinieri e mancata denuncia d’armi, tutti gli altri furono assolti.
Il 23 maggio 1921 ebbe luogo il processo contro Enrico Foschi e Michele Orlandi. L’anarchico Foschi, considerato il capo della rivolta, era latitante fin dal maggio 1920, quando fu emesso il mandato di cattura nei suoi confronti. Orlandi invece, al momento del processo, si trovava in navigazione. Foschi fu condannato a due anni di reclusione. Orlandi per offese al Re venne demandato al Tribunale.
fonti: varie
IL VIDEO A CURA DELLE TECHE RAI, 19 giugno 1968