# LE MALETESTE #
30 giu 2022
A partire dal 19 maggio, ogni giorno e per diverse settimane, centinaia, spesso migliaia di persone a piedi e in bicicletta provenienti da tanti paesi della Bassa si recarono a lavorare gratuitamente presso lo scavo del canale, nonostante il divieto delle autorità e le botte della polizia
LO SCIOPERO ALLA ROVESCIA DEL CORMOR (1950) Siamo nel Secondo dopoguerra, nella Bassa friulana, una striscia di terra alluvionale tra le province di Pordenone, Udine e Gorizia. I tentativi di bonifica fascisti sono rimasti incompiuti; la zona è agricola, non industrializzata, incredibilmente povera e pronta a un’emigrazione colossale. Il Piano del lavoro della Cgil (1950), che dovrebbe rilanciare l’economia, non viene applicato. È in questa situazione di povertà estrema che comincia l’agitazione contadina. In particolare, nella Bassa friulana la situazione era davvero critica: il sistema produttivo si basava su un’agricoltura mezzadrile e sulla Saici [Società agricola industriale per la produzione di cellulosa, ndr] di Torviscosa; migliaia erano i disoccupati. Nella zona occidentale, c’erano molte aree paludose da bonificare, tanti campi inutilizzabili, epidemie e povertà dilaganti. La dittatura fascista e la guerra avevano lasciato in eredità problemi socio-ambientali insoluti e, di fronte a una ricostruzione che procedeva stentata, si ripresentava lo spettro dell’emigrazione, una costante in Friuli fino agli anni Settanta. Il Piano della Camera del Lavoro friulana venne presentato pubblicamente durante la festa del Primo maggio 1950 a Cervignano (Udine) quando, preso atto della contrarietà del Governo guidato da Alcide De Gasperi a finanziare l’opera, partì una straordinaria mobilitazione popolare: comizi che riempirono le piazze di centinaia di persone, sindacalisti ex-partigiani che percorsero in lungo e in largo le strade della Bassa per organizzare i giovani, i comitati di agitazione, le assemblee dei braccianti.
Quale forma di lotta e di ribellione sociale venne scelto lo sciopero alla rovescia, con il quale i protagonisti si impegnavano a realizzare l’opera lavorando senza paga per rispondere alla mancanza dell’intervento governativo. A partire dal 19 maggio, ogni giorno e per diverse settimane, centinaia, spesso migliaia di persone a piedi e in bicicletta provenienti da tanti paesi della Bassa si recarono a lavorare gratuitamente presso lo scavo del canale, nonostante il divieto delle autorità e le botte della polizia. A questa lotta presero parte tutti: i contadini e le contadine, i braccianti, i ragazzini. Le donne in particolare, oltre a cucinare per i lavoratori, cominciarono presto a sostituirli, quando questi venivano arrestati. Ma chi teneva le fila dell’organizzazione delle lotte?
"Il Piano del lavoro venne discusso al Secondo congresso della Cgil nell’ottobre del ‘49 e presentato ufficialmente in occasione di una conferenza economica nazionale nel febbraio del 1950. Nell’aprile dello stesso anno fu un friulano, Mauro Scoccimarro, a svolgere la relazione sul Piano del lavoro al Comitato centrale del Partito comunista. Il Pci e la Cgil lavorarono in sinergia per la propaganda, l’organizzazione e il sostegno alle iniziative di lotta.
Si formò una rete di solidarietà che coinvolse sindaci, alcuni parroci, esercenti e fornai; non solo politici ma anche intellettuali, pittori e scrittori iniziarono a esprimere il loro appoggio alla protesta, talvolta recandosi nei luoghi della lotta. Il ruolo delle donne, poi, fu decisivo. Furono protagoniste accanto agli uomini, in maniera quasi paritaria: non solo organizzavano la mensa dei lavoratori allestita a San Gervasio, ma molte lavoravano alla costruzione del canale e affrontavano senza paura la polizia. Il 29 maggio organizzarono una grande manifestazione di appoggio alla lotta alla quale parteciparono centinaia di donne e bambini e che venne dispersa con l’uso dei lacrimogeni. «Torneremo ogni giorno fino a quando ci lascerete lavorare in pace», dissero alle autorità.".
La scelta dello sciopero alla rovescia forse fu particolarmente azzeccata perché attecchiva bene anche in un certo habitus di quei territori; tuttavia è anche vero che fu una scommessa, una pratica inedita, e forse proprio per questo così efficace. Anni dopo, Danilo Dolci – che peraltro era nato non troppo lontano dalla Bassa, a Sežana, sul Carso sloveno – proporrà lo sciopero alla rovescia come metodo di lotta nonviolenta (attiva, non attendista) contro la povertà e la disoccupazione delle campagne della Sicilia. La lezione di Danilo Dolci è ancora studiata, Gli «scioperi al rovescio» o «scioperi all’italiana» in quegli anni rappresentarono una forma di lotta contro la disoccupazione che fu adottata in diverse zone d’Italia, in Veneto, Abruzzo, Piemonte e molti altri luoghi. Più o meno nello stesso periodo, nell’altopiano del Cansiglio, tra Pordenone e Belluno, ci fu uno sciopero al rovescio per la realizzazione di una strada. Lo sciopero alla rovescia guidato da Danilo Dolci nelle campagne di Partinico alcuni anni dopo è indubbiamente tra i più conosciuti e studiati come esempi di metodi di lotta nonviolenta per il lavoro, soprattutto per l’eco che ha avuto il processo che ne seguì. Quello del Cormôr, nonostante la grande partecipazione popolare, ciclicamente rischia di cadere nell’oblio.