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Vogliamo il pane ma anche le rose
(gennaio - marzo 1912)

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# LE MALETESTE #

5 mag 2022

Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole e alla musica e all’arte

VOGLIAMO IL PANE MA ANCHE LE ROSE Lo sciopero di Lawrence (USA) del 1912 ​ «Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, al sole e alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose ​ ​


LAWRENCE (Massachussets - USA) La produzione tessile ovunque marcia a vele spiegate; la meccanizzazione e la dequalificazione del lavoro permettono ai proprietari delle fabbriche di eliminare lavoratori qualificati e impiegare invece un gran numero di lavoratori immigrati non qualificati, la maggioranza dei quali donne e bambini, anche sotto i 14 anni. Il lavoro nelle industrie ha un ritmo estenuante, ripetitivo e pericoloso, e le condizioni sono maggiormente peggiorate per gli operai nel decennio prima dello sciopero. L'aumento della produzione permette così ai proprietari delle fabbriche di tagliare i salari dei loro dipendenti e licenziare un gran numero di lavoratori. Coloro che mantengono il posto di lavoro guadagnano meno di 9 dollari a settimana per 56 ore di lavoro. ​ I lavoratori a Lawrence vivevano in edifici affollati e appartamenti pericolanti, spesso le famiglie erano costrette a condividere le case. Erano comuni molte malattie mortali, come rachitismo, tubercolosi ed altre malattie respiratorie cosicché il tasso di mortalità infantile era del 50% prima dei 6 anni e oltre un terzo degli operai non arrivava ai 25 anni. ​ ​ Una nuova legge del Massachusetts entrata in vigore il 1º gennaio 1912 riduce il numero massimo di ore di lavoro a settimana per le donne e i bambini da 56 a 54. Ma dieci giorni dopo, l'11 gennaio, le operaie scoprono che, assieme alle ore di lavoro, la legge avrebbe ridotto anche la paga settimanale di 6 dollari, che corrispondeva a diverse forme di pane. Questa, per le famiglie operaie che vivevano sull'orlo della fame e che lavoravano in condizioni di sicurezza e di igiene praticamente inesistenti, costituì la goccia che fece traboccare il vaso.



A questo punto, i lavoratori, per la maggior parte donne, fermarono i telai e si riversarono nelle strade protestando. Il giorno seguente, 12 gennaio, si unirono a loro operai e operaie provenienti da altre fabbriche, e, nel giro di una settimana 25.000 lavoratori entrano in sciopero.


A questo punto, la sezione in lingua italiana dell’associazione del movimento operaio “Industrial Workers of the World (IWW)” decide di inviare da New York a Lawrence il proprio leader Joe Ettor, per coordinare lo sciopero. A pochi giorni di distanza lo raggiunge l’amico Arturo Giovannitti. I due contribuiscono alla costituzione di un comitato di sciopero composto da due rappresentanti per ogni gruppo etnico all'interno delle fabbriche. In questo modo, ogni incontro sindacale veniva tradotto in 25 lingue differenti, per superare le barriere linguistiche e far sì che tutti gli operai potessero partecipare attivamente alla protesta. ​ Le richieste dei sindacalisti nei confronti dei datori di lavoro erano quattro:

  • aumento del 15% dei salari

  • 54 ore settimanali di lavoro (anziché 56)

  • doppia retribuzione per gli straordinari

  • riassunzione di tutti gli scioperanti, senza discriminazioni.

Le lavoratrici e i lavoratori e i sindacalisti stessi si rivelarono molto solidali tra loro, e fecero uno sforzo cosciente per unire tutte le nazionalità: lo sciopero era nato da una diminuzione dei salari, ma si trasformò ben presto in una lotta più ampia, si stava combattendo per ottenere migliori condizioni di vita. Gli scioperanti cantarono, organizzarono spettacoli, balli, dibattiti e sfilate, e proprio durante queste manifestazioni le donne lavoratrici portavano cartelli e urlavano a gran voce “Vogliamo il pane, ma anche le rose”: non rivendicavano solo una paga decente, ma anche la possibilità di godere delle cose buone della vita.





Le/Gli scioperanti di Lawrence inventarono il picchetto in movimento: la polizia aveva intenzione di arrestare alcuni di loro per vagabondaggio, così quest* formarono una catena umana in movimento che manifestò per 24 ore su 24, tutti i giorni, intorno alle fabbriche, così che la milizia non riuscisse ad entrarvi. I poliziotti arrestarono le donne, ma queste si rifiutarono di pagare le multe e, non appena rilasciate, tornarono alle linee di picchetto. ​ Il 29 gennaio, le milizie misero con le spalle al muro un folto gruppo di manifestanti: dopo alcuni spintoni, partì uno sparo e morì Anna LoPizzo, una giovane donna di 34 anni. I testimoni sostennero che il proiettile fosse stato sparato dal poliziotto Oscar Benoit, ma quest'ultimo negò. Allora Arturo Giovannitti e Joseph Ettor vennero arrestati con l’accusa di essere i mandanti dell’omicidio, materialmente compiuto dall’operaio Joseph Caruso, nonostante essi non si trovassero a Lawrence quel giorno. ​ Elizabeth Gurley Flynn, attivista sindacalista dell'IWW, aveva allestito delle mense provvisorie, ma lo sciopero andava avanti da giorni e così furono stipulati degli accordi che prevedevano che molti bambini appartenenti alle famiglie dei lavoratori sarebbero stati mandati da famiglie in altre città che li avrebbero ospitati per tutta la durata della protesta. Questo attirò la pubblicità nazionale e internazionale e iniziarono ad arrivare anche numerose donazioni. I poliziotti risposero attaccando le donne e i loro figli alla stazione ferroviaria, in modo che i bambini non sarebbero potuti partire: li bastonarono e li trascinarono in camion militari.





Nonostante tutto, lo sciopero andò avanti fino al 14 marzo: i lavoratori ottennero un aumento del 25% per i lavoratori meno pagati e del 15% per quelli che erano più retribuiti, l'aumento per le ore di straordinario e la riassunzione degli scioperanti. Nelle strade si festeggiò la vittoria cantando “The International”, l'inno socialista. ​ Ma la lotta non si fermò con la fine dello sciopero: l'IWW mantenne il comitato di sciopero per andare a combattere per la liberazione di Ettor e Giovanitti e Caruso.



da sinistra, in manette: Caruso, Ettor e Giovannitti

I tre rimasero in carcere senza cauzione e furono processati nel settembre 1912. In tutto il Paese e all'estero si tennero dimostrazioni e riunioni di massa in loro sostegno, fu minacciato lo sciopero generale e l'IWW raccolse 60.000 dollari per la loro difesa. Quando vennero arrestati tutti i membri del Comitato di Difesa Ettor-Giovannitti, quindici mila lavoratori il 30 settembre 1912 a Lawrence scioperarono per il giorno intero; lavoratori svedesi e francesi minacciarono il boicottaggio di prodotti di lana provenienti dagli Stati Uniti e moltissimi sostenitori italiani dei due sindacalisti si radunarono davanti al consolato degli Stati Uniti a Roma. I tre imputati furono assolti il 26 novembre 1912.




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