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maria balzarini roda
(1877 - 1958)

“È Maria Roda, un’anarchica italiana. Ha solo sedici anni ed è appena arrivata in America”. La voce mi elettrizzò e volli vedere l’oratrice. Mi avvicinai alla porta che dava sul palco. Maria Roda era la creatura più meravigliosa che avessi mai veduto". (Emma Goldman)

# LE MALETESTE #

15 set 2022

Figlia di Cesare, Maria eredita dal padre l’idea dell’anarchia. Partecipa, sartina appena quindicenne, alle manifestazioni dell’ottobre 1892 nel milanese e viene arrestata, subendo per questo anche un processo con le imputazioni di avere incitato alla disobbedienza alla legge e all’odio fra le classi sociali in modo pericoloso alla pubblica tranquillità col partecipare a una processione che percorse le vie cantando il noto inno anarchico che ha per ritornelli “Morte al papa e al re – Viva l’Anarchia – Pugnaliamo l’odiato borghese”.


Così la disegna in quei giorni il giornale “La Stampa”: “non aveva che 15 anni; una bellezza originale per fierezza ed energia; capelli neri e ricciuti; occhi scintillanti di vivacità; profilo aggraziato, denti bianchi, figura snella e simpatica. Il gesto vibrato; la parola disinvolta e spregiudicata. Il suo contegno all’udienza era qualcosa di sbalorditivo: fissava i magistrati con sguardo provocante e rispondeva con tono insolente”.


Viene ammirata dalle compagne e dai compagni, ma riconosciuta anche nelle comunità cristiane come una piccola santa per come, alla morte della madre, si era fatta carico sia del lavoro in famiglia che di quello di operaia, al contempo studiando e accompagnando il padre nelle riunioni. Rischia di diventare un esempio per le giovani donne, la repressione non può tollerarlo.


Ad un certo punto Maria si trasferì in Francia.

Lì è di nuovo arrestata insieme ad altri membri di un gruppo anarchico, in seguito all'assassinio del presidente francese Sadi Carnot da parte di uno dei membri del gruppo, Sante Caserio. Maria era andata a scuola con Caserio dove entrambi, tra l’altro, avevano seguito i corsi della poetessa italiana Ada Negri.

Al suo rilascio alla fine emigrò negli Stati Uniti, raggiungendo suo padre e una sorella minore nel 1892, dopo soggiorni in Portogallo e Inghilterra.





Lei e suo padre si unirono al Gruppo Diritto all'Esistenza che comprendeva Maria Barbieri e altri immigrati anarchici italiani e iniziano ad organizzare i lavoratori tessili a Paterson, dove, il 15 aprile 1893, assieme ad altri compagni parla nel Circolo di Studi sociali sulle “condizioni dell’operaio all’estero”.


Dagli Stati Uniti Maria mantiene contatti con le testate “L’Amico del popolo” di Milano e il “Sempre Avanti!” di Livorno e avvia relazioni con la redazione del periodico anarchico “Il Grido degli oppressi” che si pubblica a Chicago/New York; in questo periodo si accompagna sentimentalmente all’anarchico spagnolo, giunto a Paterson anche lui, Pedro Esteve.


Nell’aprile 1894 un articolo di Maria – Che cosa vogliono gli anarchici – appare sul “Grido degli oppressi”: “Gli anarchici in primo luogo, vogliono la scomparsa dell’autorità, della proprietà individuale, della religione, e della famiglia per sostituire all’autorità, l’indipendenza relativa, ossia fino al punto di non nuocere agli altri. Alla proprietà individuale, quella comune, o meglio patrimonio sociale, senza tutori speciali: che maneggiano gli affari altrui. Alla religione, la scienza, il progresso, quella potente arma che sradica i pregiudizi inculcati da quel vento pestifero religioso che da secoli incretinisce ed impedisce al cervello umano la sua marcia trionfale. Alla famiglia attuale che trovasi basata sull’interesse sostituirci quella basata sull’amore reciproco, ove i figli saranno educati e custoditi dall’intera comunità. In secondo luogo gli anarchici vogliono possedere gli attrezzi necessari per lavorare i campi e nelle manifatture, le macchine triplicate, studiare in maniera che i lavori più penosi e pericolosi, siano fatti dalle macchine acciocché il lavoro diventi più piacevole che sia possibile. Inoltre vogliono il libero scambio per non cercare occasione a chicchessia di alzarsi al disopra degli altri […] vogliono un’esistenza migliore, perché nel mondo il posto vi è per tutti, e tutti dobbiamo prendere parte al gran banchetto della vita. […] Per voi odiati spogliatori, ladri e assassini la condanna è scritta, e ad onta delle vostre forche, delle vostre mannaie, del vostro patrio piombo, e delle vostre infami leggi, non c’impedirete di rovesciarvi nel fango donde siete venuti”.





“Veste semplice, di portamento disinvolto, di bell’aspetto, ora è in America”, annotano gli sbirri milanesi che la tengono sott'occhio negli schedari.


Sempre nel 1894, Maria tiene un discorso insieme a Voltairine de Cleyre e all'anarchico inglese Charles Mowbray al Teatro Thalia a Manhattan, all'indomani del rilascio di Emma Goldman dall'isola di Blackwell.* (vedi nota)


Maria vive con Pedro Esteve che insieme all'italiano Pietro Gori aveva fondato La Questione Sociale.

Mentre allevano otto figli e lavorano nelle fabbriche di seta, Maria e Pedro divengono le luci di spicco all'interno del movimento anarchico e operaio a Paterson. Maria e Pedro si recano regolarmente a Tampa e New York City per aiutare le lotte dei lavoratori tessili, sigari e portuali portoricani, messicani, cubani, spagnoli e italiani.


A vent’anni, il 15 settembre 1897, pubblica sulla “Questione sociale” un altro articolo, teso a consolidare l’esperienza collettiva delle anarchiche di Paterson: “Alle Operaie - Compagne: è oramai tempo che anche noi ci agitiamo, ci organizziamo per provare al mondo che ci accusa, che anche noi siam capaci a qualche cosa. Facciamo conoscere al uomo, che impedisce ogni nostra volontà, che non ci permette di pensare a modo nostro, di agire secondo il naturale nostro impulso, ma ci considera molto al di sotto di lui, imponendoci sia la sua autorità di padre, sia quella di fratello, sia quella di marito, e come tale si crede più forte e ci calpesta, ci opprime, e tal volta la mano pesante di lui percuote la nostra guancia, e noi quali più deboli dobbiamo sottostare a tutti, noi siamo fatte oggetto di piacere che vogliamo noi pure goder dei nostri diritti, della nostra libertà. Io sentii l’uomo, e voi pure compagne lo sentiste, dire che noi non sappiamo che fare dei pettegolezzi, che siamo linguacciute, che noi non ci occupiamo che di mode e di gingilli, ma che siamo incapaci a comprendere le cose serie, che noi non prendiamo a cuore le miserie della società, che noi non ci curiamo di combattere le infamie d’una casta che ci danna al dolore ed alla fatica. Si dice che noi siam frivole, siam deboli, che siamo incapaci a sostenere la lotta Almanacco de La Questione sociale, 1902 106 contro questa infausta società, che noi non sappiamo comprendere l’ideale anarchico. […] Addimostriamo, compagne, che invece anche noi siam capaci a qualche cosa, che anche noi sentiamo l’onta di questa società infame che anche nel nostro cuore sorge l’idea della rivolta, perché siamo stanche delle ingiustizie di cui siamo vittime, perché vogliamo noi pure abolito il servaggio, perché vogliamo sorgere a libertà. […] Ed è appunto perché sentiamo e soffriamo che noi pure vogliamo immischiarci nella lotta contro questa società, perché anche noi ci sentiamo nate per esser libere, per esser uguali. A tale scopo abbiamo fondato in Paterson un gruppo di compagne che si propongono di propagare fra le lavoratrici la sublime idea del Socialismo Anarchico, e speriamo poterne ricavare un buon profitto e vedremo quanto prima aumentarne il numero”.


Maria contribuisce nel 1897 a fondare un gruppo anarchico femminile chiamato Gruppo Emancipazione della Donna.


Il Gruppo Emancipazione della Donna comincia la sua attività sottoscrivendo cinque dollari alla “Questione sociale” e organizzando la tombola nella festa della frutta alla Mazzini Hall a beneficio della propaganda anarchica, che frutta circa nove dollari: in premio un ritratto a pastello a grandezza naturale di Sante Caserio.


Aveva collegamenti con le femministe francesi attraverso un giornale chiamato Feminist Action avviato da Louise Réville.

Nel decennio successivo, all'inizio del 1900, il gruppo stabilì legami con un gruppo di donne simili a New York City e stabilì una rete con altre lavoratrici negli Stati Uniti ea livello internazionale. Ciò includeva Filadelfia e Boston e tra le comunità minerarie di Pennsylvania, Illinois e Vermont.

Hanno discusso e scritto dei problemi specifici e delle lotte delle donne mentre si univano agli uomini nella lotta comune del movimento operaio e del movimento anarchico. Le donne anarchiche italiane formarono una delle prime locali degli Industrial Workers of the World a Paterson.


Sempre sulla “Questione sociale”, il 7 settembre 1901, Maria Roda pubblica un altro articolo che individua nelle madri, seppur semianalfabete, le protagoniste della nuova educazione per le generazioni a venire: “Alle Madri. […] Credo che, come madri generose, non permetterete che i vostri figli siano educati colla falsa istruzione del sistema attuale, e che, al contrario, infonderete nei loro cuoricini la Verità, la Bellezza. Spero che non insegnerete loro ad adorare un dio che non esiste, che è una menzogna; ma in vece di dio insegnerete loro ad ammirare la Natura. Che non insegnerete loro di amar la patria, perché non è che una causa di carneficina tra fratelli, per il capriccio degli uni e la vanità degli altri; ed inculcherete loro il sentimento dell’amore a tutti i popoli. Che non imporrete ai vostri figli, o madri, il matrimonio legale, perché non è altro che un patto d’interesse, un laccio odioso, come cosa sacra; ma parlerete loro, invece, dell’amor puro, naturale, di due cuori che si uniscono, dell’amor libero. Che non insegnerete loro ad essere umili e sottomessi al capitalista, il quale li sfrutta giornalmente; ma ad esser fieri e dignitosi e a sottrarsi alla sua prepotenza, proclamando i loro diritti. Così saremo certe che otterranno il benessere, la felicità e l’amore, perché le loro madri avranno loro insegnato la via della Verità”.


Nonostante le difficoltà, il Gruppo Emancipazione della Donna di Paterson, che si riunisce tutti i giovedì sera, edita tre opuscoli: Alle figlie del popolo e Alle fanciulle di Anna Maria Mozzoni, Alle proletarie di Soledad Gustavo (Teresa Manè) Soledad Gustavo (Teresa Manè), Paterson, 1902 108 e si propone di pubblicarne un quarto, Dialogo tra un borghese e suo figlio.


L’attività delle compagne, non subalterna a quella maschile, incontra forte reazione tanto che il 4 settembre 1902 il Gruppo femminile di Paterson si rivolge alla “Questione sociale” con questa lettera: “In disposizioni conformi di solidarietà e di benevola collaborazione noi speravamo quando, or fa quasi un anno, nel gruppo femminile Emancipazione della Donna ci disponemmo, coi poveri mezzi che erano a nostra disposizione, senza alcuna pretesa, a diffondere le idee comuni d’emancipazione dando speciale sviluppo a quella parte che ha più diretto rapporto colla nostra condizione servile, vilipesa, mortificante. Dobbiamo aggiungere che se la bontà e la modestia delle nostre intenzioni furono riconosciute da molti buoni compagni che ci sovvennero di largo e fraterno incoraggiamento, non giunsero però mai a salvarci dalla persecuzione rabbiosa di molti eterni malcontenti i quali nelle nostre intenzioni non vedono che l’orgoglio, nei nostri atti non cercano che l’errore, nelle nostre parole… l’ortografia, e ci gratificano delle loro malignità, dei loro scherni, della loro assidua derisione d’uomini superiori. Dica la Questione sociale in proposito il suo modo di vedere e se noi abbiamo proprio tutti i torti a credere che l’emancipazione delle donne sia così direttamente subordinata alla libertà ed al rispetto di cui deve godere che mal vi provvedono e la censura sistematica e l’irrisione abusata”.


Non solo è di molto interesse questo scambio tra gruppo femminile e redazione della “Questione sociale”, ma è anche un confronto indiretto fra Maria e il suo compagno, aderenti l’una al gruppo femminile e l’altro alla redazione della testata. Sempre nel 1902 nasce Sirio, nel 1904 Iris, nel 1906 Flora. Negli anni 1901-1904 sappiamo, senza averne dati certi, che muore loro una bambina. In questi anni Maria forse collabora alla “Questione sociale” ma pubblicando sotto pseudonimo. Nel 1906 tutta la famiglia si sposta in Florida, a Tampa: “lì – ricordò più tardi Maria – dominava l’industria del tabacco, iniziò la persecuzione. Quando arrivò il camion della ditta incaricata del trasloco, gli inservienti scaricarono i mobili precipitosamente, andandosene in tutta fretta. Non c’era un mobile sano, tutto era fratturato, fatto a pezzi. Si vedeva subito che i danni erano stati fatti intenzionalmente: mucchi di opuscoli buttati in qualsiasi modo, collezioni pregiate di grande valore intellettuale e lettere intime di molti compagni erano sparite. Era evidente che le autorità della Florida non gradivano la presenza di Esteve. Successivamente il capitano dell’armata, che era anche segretario dei tipografi, prete di non so quale religione, e nel nome della pace dei cittadini (una specie di fascismo) impose al padrone della tipografia dove Pedro lavorava che lo licenziassero immediatamente”.


La loro casa è abitualmente luogo di incontro di tutti i compagni, senza distinzioni etniche, di lingua o di “colore”, sono sfrattati ripetutamente perché la loro casa è frequentata da “neri di umili condizioni”: un proprietario dopo l’altro si negarono a darci alloggio, ricorremmo a stratagemmi per poter trovare un’abitazione. Tornati a Paterson nel 1911, Esteve fonda il periodico in lingua spagnola “Cultura obrera”.


Nel 1920 tutta la famiglia – otto figli – abita in affitto a Hudson, nel New Jersey. Tutte le domeniche la loro abitazione ospita le riunioni anarchiche, fino al 14 settembre 1925, quando nella loro casa a Weehawken, Pedro Esteve muore dicendo a Maria: mi addolora che tu non abbia potuto dormire tutta la notte per causa mia. Il corpo è cremato, alla cerimonia di commiato parlano diversi compagni, spagnoli, americani e italiani. La testata “Cultura obrera” prosegue le pubblicazioni fino al 1927; sembra, non possiamo esserne certi, che alla sua cura redazionale partecipi anche Maria Roda. Nel 1927 la testata riprende le pubblicazioni con il titolo “Cultura proletaria”; sulla stessa, nel 4° anniversario della scomparsa, Maria scrive un ricordo su Pedro, anima grande e generosa.


Il padre Cesare nel 1930 abita con la propria figlia Paolina a Paterson e secondo le fonti di polizia scompare il 30 settembre 1932. Nel 1940 Maria Esteve Roda risulta abitare sempre a Weehawken (Hudson), assieme ai figli Sirio, Iris, Flora, Helios, Zephyr. Ancora nel settembre 1946, commemorando Pedro Esteve, “Cultura proletaria” scrive che Maria Roda fu un’ardente anarchista e vive a Weehawken assieme ai figli Violetta, Sirio, Sensitiva, Pedro, Flora, Elio, Iris e Zeffiro. In una tarda e scarna testimonianza il figlio Sirio la ricorda come appassionata di Stirner, con una certa vena mistica che la fece inclinare verso i rosacroce. Di Maria, che da ragazza aveva suscitato, per la capacità di entusiasmare le assemblee, l’invidia, la curiosità, l’ammirazione e la sollecita amicizia a vita di Emma Goldman, che aveva individuato la centralità della propaganda delle/alle donne per l’educazione alla libertà e all’uguaglianza, non abbiamo notizie più oltre.







* Nota

Nel 1894 al Teatro Thalia di Manhattan, in occasione del rilascio dal carcere di Emma Goldman, la stessa Goldman ebbe a dire: “L’esperienza più strana mi capitò alla riunione organizzata per festeggiare la mia scarcerazione, che ebbe luogo nel teatro Thalia.

La sala era affollata; molti noti esponenti dei vari gruppi sociali di New York, uomini e donne, erano venuti a celebrare l’evento. Io sedevo immobile e taciturna, come istupidita. […] Mi alzai in piedi, mi avvicinai alle luci e vidi il pubblico che si alzava a sua volta per salutarmi. Poi tentai di parlare: mossi le labbra, ma non ne uscì alcun suono. […] Non mi era mai accaduto di perdere il controllo di me stessa o di restare senza voce, e la cosa mi spaventò. […] Improvvisamente giunse nel camerino il suono di una bellissima voce. Parlava una lingua che non conoscevo. “Chi sta parlando adesso?” domandai. “È Maria Roda, un’anarchica italiana. Ha solo sedici anni ed è appena arrivata in America”. La voce mi elettrizzò e volli vedere l’oratrice. Mi avvicinai alla porta che dava sul palco. Maria Roda era la creatura più meravigliosa che avessi mai veduto. Era una ragazza di media altezza; la testa, ben formata e coperta da folti riccioli neri, spiccava come un giglio sul collo esile e slanciato. Il viso era pallido, le labbra rosse come il corallo, ma ciò che più colpiva erano gli occhi: grandi, scuri come carboni e illuminati da una luce interiore. Come me, la maggior parte del pubblico non capiva l’italiano, ma la strana bellezza di Maria e la musica delle sue parole suscitavano un senso di tensione e di entusiasmo nell’assemblea. Per me, fu come un raggio di sole. I fantasmi svanirono, il peso della prigione scomparve. Mi sentii libera e felice, tra amici. Parlai dopo Maria. Di nuovo il pubblico si alzò in piedi, come un solo uomo, e mi applaudì. Sentivo che la reazione dei presenti alle mie esperienze carcerarie era genuina e spontanea, ma non mi feci illusioni; intuitivamente sapevo che erano state la giovinezza e la bellezza di Maria ad affascinarli, e non le mie parole. Dopo la riunione, alcuni compagni si ritrovarono nel locale di Justus. C’era anche Maria, e io ero ansiosa di sapere tutto sul suo conto. […] Maria sentiva di poter fare molto per i suoi compatrioti negli Stati Uniti. Mi pregò di aiutarla, di farle da maestra. L’abbracciai forte, come per proteggerla dai colpi crudeli che sapevo, la vita le avrebbe inflitto. Sarei stata la sua maestra, la sua amica, la sua compagna. L’invidia cocente di un’ora prima era svanita”. (1894).



Emma Goldman

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