paolo schicchi
(1865 - 1950)
Solo quando riuscirete a liberarvi da tutti i prebendati, da questa brutta genia di mascalzoni, arruffapopoli, solo allora v’incamminerete a testa alta alla conquista della libertà; solo allora compirete la grande rivoluzione sociale nel solo nome dell’anarchia
# LE MALETESTE #
15 set 2021
"Il leone di Collesano"
(Collesano -Pa- 31 agosto 1865 - Palermo, 12 dicembre 1950)
C’era una volta un branco di pecore che pascolava liberamente. L’erba era tenera ed abbondante ed il prato era fiorito. Vennero i lupi. Le pecorelle tremarono di paura e ricorsero ai pastori per protezione. Ma i cattivi pastori, dopo averle munte e tosate ben bene le consegnarono ai macellai.
Questa è la vecchia favola, tante volte detta e ripetuta, sui cattivi pastori, che oggi calza più che mai a meraviglia addosso ai mestatori del ciuccialismo riformato. Egli è fuori dubbio che il vecchio millenario sogno di uguaglianza e di libertà aveva preso la sua più completa forma nella nuova dottrina del socialismo. La borghesia tremò e nella paura divenne feroce. Volle prevenire il pericolo e ricorse alla repressione violenta, al piombo degli scherani, al carcere, all’esilio. Al domicilio coatto. Ma le idee non muoiono e il malcontento esplode di frequente nelle sommosse, nei moti insurrezionali, che vengono soffocati nel sangue. Ma le idee non muoiono e il malcontento esplode di frequente nelle sommosse, nei moti insurrezionali, che vengono soffocati nel sangue. Le tenebre della reazione vengono rotte da vividi bagliori d’incendio. Più la reazione infuria e più si accende il desiderio della libertà e della vendetta. Ma disgraziatamente il socialismo aveva il suo dato debole. Esso lasciava intatto il principio dell’autorità, e questa sua manchevolezza doveva condurlo al fallimento. Ben presto gli elementi autoritari presero il sopravvento e incanalarono il movimento sulla falsa strada del socialismo di Stato. La borghesia comprese che questa era la sua ancora di salvezza. Non potendo più ostacolare la marcia del proletariato, finse di seguirla. Molti elementi borghesi si infiltrarono nelle file proletarie e si diedero con ardore ad organizzare le masse nelle camere del lavoro e nelle leghe di resistenza. Essendo essi gli elementi più colti, presero ben presto il sopravvento e accentrarono nelle loro mani tutto il movimento operaio. I lavoratori allettati dai vantaggi immediati, che conseguirono nella lotta contro il capitale, si affidarono ciecamente all’opera dei dirigenti. Ma i cattivi pastori mentre predicavano la rivoluzione, meditavano il tradimento, ed intanto invigliacchivano le masse con l’elezionismo, facendo balenare la speranza di arrivare alla piena emancipazione colle vie legali. Il suffragio allargato compì l’opera. Quando le masse, stanche della lunga attesa volevano venire ad un’azione energica, i bravi pastori, teneri del benessere del proletariato, si scalmanavano a consigliare la calma. Il momento non è propizio! I tempi non sono maturi! E i lavoratori ritornavano tranquilli all’ovile a farsi mungere, aspettando che i tempi maturassero. Aspetta cavallo che l’erba cresce. La borghesia intanto preparava tranquillamente le armi per l’immane macello, nel quale dovevano morire milioni di operai, i più giovani, i più irrequieti, i più entusiasti per l’ideale. Finita la carneficina, i superstiti, vistisi ancora ingannati e delusi nelle legittime speranze, vollero tentare il cimello finale per spezzare il giogo opprimente. I condottieri compresero che non potevano più recitare l’indegna commedia e da tutti i pulpiti predicarono la rivoluzione. Ma quando giunse il momento, quando il grande esercito mobilizzato iniziava l’assalto delle posizioni nemiche coll’occupazione delle fabbriche e dei latifondi, i pastori si ritirarono in disparte, lasciando le masse disorientate. Non contenti di ciò misero mano alle pompe e con le docce fredde dei concordati e dei controlli operai fecero sbollire tutto l’entusiasmo, gettando nei cuori lo sconforto e la disperazione. Così la rivoluzione liberatrice, che si era affacciata con tanto vigore, vilmente tradita, moriva sul nascere, dando adito alla borghesia di organizzare una feroce reazione. I rappresentanti del pus cadaverico gongolanti di gioia sentenziarono che il tempo non era ancora maturo e che pel momento conveniva rientrare nei limiti della legalità. Iniziarono così il tanto sospirato movimento collaborazionista che culminò nella salita al Quirinale di Filippo il Turacciolato e nella solenne coglionatura subita dal medesimo. Eppure il proletariato baggeo, così vilmente tradito, continua a prestar fede a tutti i pagliacci del ciuccialismo deformato, ed invece di appenderli ai lampioni, come meriterebbero, continua ad ardere loro l’incenso e ad accendere i ceri. Forse crede in buona fede di non essere ancora maturo, o sente veramente il bisogno di essere tenuto alla catena? Ma ecco che a disilludere anche i più ingenui, gli eroici pompieri buttano finalmente la maschera e confessano cinicamente il loro vile tradimento. Nel recente convegno di Milano, al quale presero parte quasi tutti i social traditori, più o meno deformati, forse per cattivarsi le simpatie dei fascisti e risparmiare dai randelli il loro pieghevole groppone, ovvero per conservare la medaglietta conquistata coi voti estorti ignominiosamente ai lavoratori, e per godersi tranquillamente il beneficio dell’indennità parlamentare, hanno fatto a gara nello sconfessare il loro passato rivoluzionario (?) e i loro peccati giovanili. Fra gli altri il barbuto aragonese, con la sua faccia da sputi, ebbe l’eroico coraggio di dichiarare senza ambagi: «Noi al congresso di Roma dobbiamo ricordare i nostri avvertimenti contro le violenze, e contro il socialismo così detto di guerra, non dobbiamo parlar chiaro (finalmente!) confessando i nostri errori. È stata ad ogni modo una fortuna che torna a nostro onore l’avere impedita la rivoluzione» (L’Ora, n.214 del 12-9-1922). Si poteva essere più spudorati? E voi proletari avete capito? Sono stati gli aragonesi, i turacciolati, i trampolini, e simile lordura che hanno impedito la rivoluzione. Sono stati essi che, dopo avervi spinto all’azione, vi hanno vilmente tradito e consegnato, legati mani e piedi alla reazione borghese, culminata nella violenza del fascismo. Non contenti di ciò, questi… signori, continuano a consigliarvi la rassegnazione; e vi tentano ancora, gli scellerati, incitandovi a lasciarvi ricostruire in santa pace. Eccoli ora smascherati e denudati. Osservatele queste immonde carogne nella loro oscena nudità; ma badate di turarvi bene il naso, perché non vi ammorbino col loro lezzo impuro. Ed ora proletari continuate ad adorare i vostri cari pastori: ardete un cero a santo spiridione perché ve li conservi sani, onde possano ben tosarvi prima di consegnarvi al beccato. Continuate a farvi mitragliare nelle piazze, per deporre nell’urna falsa la scheda che porterà tali carogne putrefatte alla mangiatoia di Montecitorio. Non vi persuaderete mai che di tali esseri immondi dovrebbe essere purgata e per sempre l’umanità? Quando imparerete a far da voi stessi, a fare a meno di tutti i pastori, buoni soltanto per mungere e tosare le pecorelle mansuete e poi consegnarle al beccaio? Solo quando riuscirete a liberarvi da tutti i prebendati, da questa brutta genia di mascalzoni, arruffapopoli, solo allora v’incamminerete a testa alta alla conquista della libertà; solo allora compirete la grande rivoluzione sociale nel solo nome dell’anarchia.
Euno [Paolo Schicchi] [Il Vespro Anarchico, anno II, n. 33, 20 ottobre 1922]
La giovinezza
Durante la gestazione viene diagnosticato alla madre, per errore, un cancro allo stomaco. Alle cure che le vengono praticate verrà fatta risalire dai familiari la costituzione gracile e malaticcia del piccolo Schicchi, alla quale egli ovvierà nell'infanzia e nell'adolescenza con continui esercizi fisici, e il suo temperamento nervoso e irruente.
Fin dalle scuole elementari professa arditamente sentimenti repubblicani già coltivati dal padre (avvocato e patriota, era stato tra i protagonisti del moto insurrezionale di Francesco Bentivenga nel 1856. Studente al ginnasio di Cefalù, diretto dal poeta garibaldino Eliodoro Lombardi, improvvisa a quindici anni un comizio anticlericale sulla scalinata del duomo, rischiando il linciaggio di una folla inferocita. Prosegue quindi gli studi a Palermo, dove si lega ai circoli degli studenti radicali e mazziniani, e partecipa entusiasta, nel gennaio del 1884, alle manifestazioni in onore di Mario Rapisardi in visita alla città. Dal 1885 al 1887 frequenta la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Palermo e collabora, con lo pseudonimo "Il Gladiatore", ai giornali «Le Feste di Nerone» (dove attacca in alcune corrispondenze corrosive il vescovo di Cefalù) e «Il Picconiere», foglio protoanarchico diretto da Calogero Bonanno, affrontando polemiche e duelli e costruendosi la fama di benefattore dei poveri. Innamoratosi perdutamente della sorella dell'anarchico Giuseppe Genova, Maria, dinanzi alle resistenze dei genitori di lei si spara un colpo di pistola al cuore, che lo ferisce di striscio. Richiamato prudentemente in famiglia, prosegue gli studi all'Università di Bologna, grazie all'interessamento di Giacinto Scelsi, collesanese amico del padre, prefetto in quella città. A Bologna segue le lezioni di Ceneri, Filopanti e Carducci, s'unisce al gruppo dei giovani goliardi che dà vita a «Bononia Ridet» e guida la gioventù repubblicano-socialista nelle dimostrazioni contro la visita del re in occasione dell'ottavo centenario dell'università. Sospeso dai corsi e costretto a rientrare a Palermo, frequenta da praticante lo studio dell'avvocato Aristide Battaglia (fratello dell'ex internazionalista Salvatore Battaglia) finché non è chiamato, il 26 novembre 1888, a vestire la divisa di allievo ufficiale dell'11° RGT di fanteria di stanza a Palermo. Il 10 maggio successivo riesce a ottenere il trasferimento a Torino, come semplice fante nel RGT di artiglieria da montagna. L'11 agosto 1889, mettendo in atto il proposito di disertare che matura da tempo, attraversa la frontiera francese a Sant'Anna di Vinadio. Raggiunta Parigi, dove sono in corso i festeggiamenti per il centenario della Grande Rivoluzione, si avvicina agli ambienti disertori di varie nazionalità che hanno raggiunto la capitale francese per difendere "armi alla mano" quella repubblica dalle minacce di guerra lanciatele dalle monarchie d'Europa. Il 17 novembre, con lettera inviata al sindaco di Collesano, Schicchi rinuncia alla cittadinanza del "putrefatto" regno d'Italia per abbracciare quella della repubblica francese, "leonessa d'Europa".
Ma l'esaltazione repubblicana, dovuta al particolare momento celebrativo, si trasforma ben presto in delusione: come in Italia, anche in Francia regnano sfruttamento, miseria e fame. Nel gennaio del 1890 assiste alle conferenze di Louise Michel alla salle Horel, partecipa alla mobilitazione contro l'espulsione dell'anarchico Oscar Bertoja e alle altre iniziative del gruppo cosmopolita parigino che fa capo al settimanale anarchico «L'Attaque». Questo giornale, redatto principalmente da Sébastien Faure, Lucien Weil e Charles Malato, è anche fautore di una sorta di "rivoluzione culturale" nell'anarchismo francese (che influenza gli esuli anarchici d'altre nazionalità), tesa essenzialmente a tradurre nei comportamenti privati dei militanti le teorie politiche professate in pubblico, sull'onda lunga dell'insegnamento morale - senza obbligo né sanzione - del filosofo J. M. Guyau. Nell'aprile del 1890 è tra i fondatori del Circolo internazionale degli studenti anarchici, per il quale compila gran parte del manifesto «Agli studenti-Ai militari», distribuito in diverse migliaia di copie in Italia, Francia e Svizzera alla vigilia del 1° maggio 1890. Al Circolo aderiscono anche Galleani, Merlino e il bulgaro Stoinoff, con i quali Schicchi si lega di profonda amicizia. La sua adesione all'anarchismo è ancora piuttosto acerba, divisa tra le motivazioni politiche e personali che l'hanno condotto alla diserzione (accusa di maltrattamento l'esercito italiano) e la scelta di campo internazionalista ed antiautoritaria. L'esito disastroso del 1° maggio parigino, alle cui dimostrazioni prende parte, lo porta gradualmente ad aderire alle tesi dei gruppi anarchici più radicali, contrari alla "rivoluzione a data fissa" e all'organizzazione strutturata. Le sue critiche ricalcano quelle di Malatesta, presente in quel frangente a Parigi, che adopera il termine "bizantinismo" per indicare l'immobilismo dei compagni e la loro attitudine alle discussioni oziose. Schicchi ne farà in seguito un uso polemico nei confronti dello stesso Malatesta. Minacciato d'espulsione, In luglio Schicchi abbandona la Francia e in compagnia di Merlino raggiunge Malta, via Marsiglia e Tunisi. Da Malta si tiene in fitta corrispondenza con i compagni siciliani e del continente, inviando corrispondenze ai loro giornali («Il Piccone» di Catania, «La Nuova riscossa» di Trapani, «Il Proletario» di Marsala, «La Plebaglia» e «La Poveraglia» di Imola ecc.). È in questo periodo che firma il manifesto «I socialisti anarchici al popolo italiano. Non votate!», col quale, insieme ad altri 56 compagni esuli all'estero, incita a disertare le urne nelle elezioni politiche del novembre 1890; e traduce l'opuscolo anonimo «Ricchezza e miseria», che costituisce il primo titolo della «Biblioteca del Proletariato» di Marsala.
Contrario al Congresso di Capolago, inizia una polemica che fa di lui ben presto il capofila della tendenza antiorganizzatrice dell'anarchismo italiano. Arrestato per due volte a Malta nell'autunno del 1890, e infine espulso, Schicchi inizia da Catania, il 1° gennaio 1891, il suo viaggio clandestino in Sicilia di preparazione per il 1° maggio insurrezionale. Convinto personalmente da Malatesta ad accantonare le polemiche sull'organizzazione anarchica, percorre l'isola in lungo e in largo sfuggendo più volte d'astuzia all'arresto. Dirige in prima persona, al suo arrivo, sia «Il Piccone» di Catania che «Il Proletario» di Marsala. I gruppi siciliani, tuttavia, dopo il giro di propaganda effettuato da Amilcare Cipriani in Sicilia tra la fine del marzo e i primi di aprile, assumono in maggioranza un atteggiamento prudente e di attesa che Schicchi disapprova facendo esplodere una bomba, il 29 aprile, davanti alla caserma di cavalleria di Palermo. Fuggito dall'isola, vaga per mezza Europa prima di rifugiarsi a Ginevra dove, dal 18 luglio 1891, pubblica due numeri di «Pensiero e Dinamite» e due numeri e due supplementi (un terzo numero è sequestrato in bozze) de «La Croce di Savoia», violentissimi contro Casa Savoia e contro i "pontefici" dell'anarchismo (Malatesta, Merlino, Cipriani e Gori), che ritiene responsabili della mancata insurrezione del maggio e della debolezza del movimento anarchico davanti alla repressione. Le sue posizioni provocano in Italia la nascita di due schieramenti, dei "primomaggisti" e degli "antiprimomaggisti", i quali ultimi contestano con successo il tentativo di rifondare il partito anarchico nato a Capolago. Il linguaggio colorito e intemperante di Schicchi, seppur infarcito di citazioni letterarie, scatena dure reazioni nei suoi confronti e le accuse di "personalità " e di "provocazione", ch'egli rintuzza raddoppiando gli attacchi e specificando che «tutto ciò che riguarda più o meno da vicino la lotta che si combatte, ogni rapporto dell'individuo coi principi che professa, esce dal campo delle personalità ed entra in quello delle idee». Tanto che verso gli esponenti anarchici che ha pesantemente criticato, forse con la sola esclusione di Malatesta ma per espressa volontà di questi, egli manterrà buoni e duraturi rapporti di stima e amicizia personale.
La maturità
Espulso dalla Svizzera l'11 settembre 1891, riprende la polemica a Barcellona col giornale trilingue «El porvenir anarquista» (due numeri e un supplemento) finché il sostegno da lui offerto alla rivolta di Jerez non serve da pretesto al governo spagnolo per arrestarlo, il 10 febbraio 1892. Torturato e ridotto in fin di vita, riesce con l'aiuto di Maria Margaleff, la sua compagna spagnola, e corrompendo guardie e impiegati carcerari, a uscire di prigione il 10 settembre dello stesso anno. Dopo un breve soggiorno a Marsiglia, il 3 ottobre 1892 Schicchi è a Genova dove fa esplodere una bomba al Consolato spagnolo per vendicarsi delle sezizie subite e protestare contro le persecuzioni ai danni dei suoi compagni in Spagna. La sera stessa raggiunge Pisa con un passaporto intestato all'anarchico pisano Di Ciolo, ma alla stazione, riconosciuto, viene arrestato dopo aver opposto una strenua resistenza, assime a Virgilio S. Mazzoni, accorso in aiuto. Viene processato dalla Corte d'assise di Viterbo dal 16 maggio al 19 maggio 1893: nonostante le generose arringhe difensive di Pietro Gori e di Vito Grignani, Schicchi è condannato, per gli attentati di Palermo e Genova e il mancato omicidio del delegato Tarantelli alla stazione di Pisa, a 11 anni, tre mesi e 15 giorni di reclusione (più tre anni di sorveglianza speciale). La pena si accresce di un altro anno perché, alla lettura della sentenza, egli indirizza ai giudici l'epiteto di "pecorai" («Pecorai, microcefali imbecilli, sono contento, orgoglioso, e vado superbo d'aver potuto sacrificare la mia libertà per i santi principii dell'Anarchia!!»), e di altri due mesi e 10 giorni inflittigli il 12 dicembre 1893 dal Tribunale militare di Alessandria per il reato di diserzione. Nel frattempo, promossa da Pietro Gori e dal «Sempre avanti!» di Livorno con la pubblicazione del Resoconto del processo, da Luigi Molinari con un opuscolo biografico e dagli anarchici di Marsala, si estende in tutta Italia la campagna per la sua liberazione, presto interrotta dalla repressione crispina. Schicchi sconta quasi per intero la sua pena, per volontà del re che tanto aveva oltraggiato, nelle carceri di Oneglia, Orbetello e Viterbo. Nell'ottobre del 1894 è protagonista a Oneglia dell'ammutinamento di quei detenuti contro le condizioni di vita e le angherie del direttore del carcere. Negli anni successivi alimenta la campagna per la liberazione dei prigionieri e dei coatti politici con lettere che fa pervenire clandestinamente agli amici e ai compagni.
I socialisti. suo malgrado, lo portano candidato alle elezioni del 1897 a Grosseto e Cefalù; nel 1901 viene incluso senza successo nella lista dell'on. Marinuzzi a Palermo e nel 1902 in quella di Noè a Messina. Nel marzo del 1904 rifiuta sdegnosamente la grazia reale che gli è stata concessa in luogo dell'ultima amnistia. Il 27 maggio successivo riacquista la libertà e torna a Collesano, dov'è sottoposto a vigilanza speciale fino al 31 maggio 1907. Riprende a scrivere, ne «La Battaglia», settimanale socialista di Palermo, e nei giornali anarchici. Il 1° giugno 1908 parte per Milano dove va a dirigere «La Protesta Umana» ma già a settembre è in rotta con Nella Giacomelli ed Ettore Molinari, tra i maggiori sostenitori di quel giornale. Ha inizio una polemica con gli anarchici milanesi, in particolare con gli "individualisti bisognisti", che sfocia nella pubblicazione (La Spezia lug. 1909), della prima parte de «Le degenerazioni dell'anarchismo», dal titolo «Mentecatti e delinquenti». Rinuncia a pubblicare la seconda parte, su invito dei compagni a lui più vicini, limitandosi a diffondere l'8 gennaio 1910 una «Appendice alla parte prima de Le degenerazioni dell'anarchismo» in cui risponde alle calunnie che la coppia "Epifane"-"Ieros" (pseudonimi di Molinari e della Giacomelli) hanno nel frattempo sparso sul suo conto. Reiscrittosi all'univeristà, prima a Bologna, poi a Pavia, infine a Pisa, con l'intento di laurearsi ed inserirsi in quegli ambienti letterari, attraversati da forti venature libertarie, scientiste e [anticlericalismo|anticlericali]], se ne congederà definitivamente il 19 luglio 1910. Dopo la fucilazione di Francisco Ferrer, tiene numerose conferenze e comizi in Toscana e Liguria, specialmente di carattere anticlericale. All'attività oratoria affianca la fondazione, a Pisa, della Libreria Editrice Sociale e della Cooperativa tipografica «Germinal», dove stampa vari opuscoli e cartoline di propaganda, il «Satana», mensile dell'Associazione razionalista, e dal 1° maggio 1910 «L'Avvenire anarchico», settimanale ch'egli stesso dirige per alcuni mesi. L'8 agosto 1910 è a Marsala dove, inviato dagli anarchici locali, tiene una conferenza su Scienza e religione. Il Circolo di studi sociali, fondato per l'occasione, ha uno sviluppo talmente impetuoso da convincere Schicchi, già alle prese con difficoltà economiche e familiari (il padre muore l'anno dopo), a restare in Sicilia e ad assumere la direzione de «Il Proletario anarchico», un nuovo settimanale che vede la luce a Marsala il 23 ottobre e che svolge fino al giugno 1911 una preziosa opera di orientamento e raccordo dell'intero movimento isolano. Ai temi usuali della propaganda degli antiorganizzatori, che costituiscono in Sicilia l'ossatura del movimento, si aggiungono ora quelli della polemica "sicilianista", ch'egli conduce con una connotazione libertaria, di classe e federalista, risalente alla I Internazionale (ma parlerà anche di "passione del popolo siciliano" che rimonta all'epoca araba). Entrato in crisi il progetto di ricompattamento dell'anarchismo siciliano, Schicchi si ritira a coltivare la terra nei suoi poderi di Collesano. Non rinuncia di tanto in tanto a tenere comizi e conferenze in varie località dell'isola, grazie alle sottoscrizioni degli anarchici siciliani emigrati in America, specialmente dopo l'assassinio di Lorenzo Panepinto, Capolega di Santo Stefano Quisquina. Esercita in questo periodo particolare attrazione anche su di lui, come su un gran numero di militanti anarchici siciliani, il sindacalismo rivoluzionario radicato tra i contadini e i minatori della Sicilia "interna". Nelle estati del 1911 e del 1914, torna nell'Italia continentale per due ampi e fruttuosi giri di propaganda. Collabora intanto diffusamente alla stampa del movimento («La Rivolta» di Milano, «Rompete le file!» di Ravenna, «Il '94» e «Il Cavatore» di Carrara, «Libera tribuna» de Il Cairo, «La Comune» di Philadelphia, «Cronaca sovversiva» di Barre-Vermont ecc.) e compone saggi e lavori letterari d'incerto valore (a proposito dei quali si parlerà oggi di "scapigliatura meridionale"), in parte sequestratigli, manoscritti, nel 1917 e non ritrovati. Si salvano i due drammi «La morte dell'aquila» e «Tutto per l'amore» (Milano 1917) in unico volume, preceduti da un denso saggio su «La guerra e la civiltà », di accorata denuncia dell'imperialismo e della guerra libica, e in difesa della civiltà araba. Nei mesi precedenti l'entrata dell'Italia in guerra, Schicchi svolge una febbrile e coraggiosa propaganda antibellica (che gli frutta alcuni processi) per le piazze dell'isola. Scoppiata la guerra, rientra a Collesano dove, agli articoli sulla stampa internazionale (ha un ruolo di rilievo nella compilazione del numero speciale della «Cronaca sovversiva», in data 18 marzo 1916, che passa in rassegna le posizioni degli antiorganizzatori «contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione!»), alterna il lavoro diretto nei campi, necessario per il sostentamento della famiglia.
Il giorno dell'armistizio, l'11 novembre 1918, tiene a Palermo un violento discorso al popolo raccolto in piazza Pretoria. Inizia subito dopo un'attivissima propaganda fra i contadini, incitandoli all'occupazione delle terre incolte. Sarà egli stesso protagonista dell'epica stagione delle occupazioni delle terre nella Sicilia occidentale, girando a cavallo per le campagne e affrontando latifondisti e mafiosi in affollati comizi (rimarranno celebri la "cavalcata di Prizzi" del 7 settembre 1919 e il comizio tenuto nella stessa località il 1° maggio successivo). Ai contadini dedica un libro, «Il Contadino e la questione sociale» (Palermo 1919); un inno di battaglia, «Il Canto dei Gladiatori» (musicato a New York, nel febbraio 1921, dal maestro Vittorio Sciacca) e parecchi degli articoli pubblicati con vari pseudonimi ("L'artigliere", "Il picconiere", "Il mietitore", "Il falciatore", "Il contadino", "Un ex-studente", "Il barbaro", "Il bandito delle Madonie", "Massar") nei 14 numeri unici anarchici che appaiono dal luglio 1919 al maggio 1921. Nel 1920 (Palermo) Schicchi pubblica «Fra la putredine borghese», il primo volume, rimasto unico, di una serie che avrebbe dovuto raccogliere i suoi articoli più noti e ricorrenti di critica politica e culturale. Ridà intanto vita al progetto di riorganizzazione del movimento anarchico siciliano, interrotto dieci anni prima, che ora fa perno sul gruppo comunista anarchico «Spartaco», fondato a Palermo all'indomani dell'armistizio. I collegamenti con i centri più attivi della Sicilia occidentale vengono garantiti, oltre che da convegni periodici (di Palazzo Adriano il 7 luglio 1919, di Cefalù nell'estate del 1920 e di Palermo nel novembre 1921, da incontri informali in occasione di pubblici comizi, da continui giri di propaganda effettuati da Cannone, Guarisco, Napolitano, Marcello Natoli, dallo stesso Schicchi, e soprattutto dalla massiccia diffusione di un nuovo quindicinale, «Il Vespro anarchico», apparso a Palermo il 6 maggio 1921, dedito quasi interamente alla lotta al fascismo e al bolscevismo. Tutto ciò risponde a una complessa strategia di espansione del movimento, con obiettivi principali la costruzione di un «fronte unico» fra gli anarchici di ogni tendenza e di un «fronte unito proletario» articolato rigidamente dal basso. Il «fronte unico» fra anarchici, che in Sicilia regge più che altrove, sarà posto in crisi dall'atteggiamento assunto dll'UAI nei confronti dell'attentato al Diana. Schicchi e i suoi corrispondenti, in particolare Pietro Gualducci da Londra, sono fermamente convinti che la bomba del Diana sia stata "ammaestrata" dalla polizia, mentre l'UAI non esita a incolparne gli individualisti, unendosi al coro di deplorazione di socialisti e comunisti. I dissidenti sul «fronte unito proletario» hanno origine invece nell'esigenza, particolarmente sentita dagli anarchici siciliani, di non farsi assorbire come più volte in passato dai "cugini" socialisti attraverso "amoreggiamenti" equivoci: «Noi soli contro tutti» recita il titolo di un famoso articolo di Schicchi, apparso su «La Zappa» del 10 novembre 1920. Il che non significa opporsi ad una politica di alleanze dal basso, come precisa «Il Vespro anarchico» del 20 agosto 1921 a proposito della costituzione anche in Sicilia di sezioni degli Arditi del popolo: queste avrebbero dovuto sorgere solo là dove gli anarchici avessero avuto la forza necessaria per fare rispettare le proprie vedute. In questi anni Schicchi deve affrontare numerosi processi, talvota assistito da un vecchio amico, l'avvocato F. S. Merlino, conclusi con l'assoluzione o il proscioglimento in istruttoria. Il «Vespro anarchico» viene soppresso per ordine diretto di Mussolini il 15 ottobre 1923. Il giorno precedente Schicchi è arrestato a Collesano. Subisce due processi: il primo, per vilipendio alla religione, si tiene presso la Corte d'assise di Termini Imerese alla fine dell'anno e lo vede impegnato in una lezione di esegesi dantesca rivolta ai giurati; il secondo, alla Corte d'assise di Palermo, per incitamento alla disobbedienza alle leggi e all'odio di classe, si conclude il 1° maggio 1924 con una clamorosa assoluzione. Uscito dal carcere, minacciato dai fascisti, Schicchi progetta la fuga e la ripresa delle pubblicazioni de «Il Vespro anarchico» a Malta o a Tunisi. Nell'attesa trasferisce la sua attività pubblicistica sui due maggiori settimanali anarchici nordamericani, «Il Martello» e «L'Adunata dei refrattari», ampiamente diffusi nell'isola. Il 6 ottobre, eludendo la continua sorveglianza dei carabinieri, abbandona Collesano per raggiungere clandestinamente Tunisi.
Qui, dove c'è una folta colonia anarchica siciliana, attacca il fascismo e la monarchia stampando prima il n.u. «Il Vespro sociale» e riprendendo poi, col n. 47, le regolari pubblicazioni de «Il Vespro anarchico». Ma già al numero successivo, pressate dal governo fascista, le autorità francesi di Tunisi sopprimono il giornale e Schicchi, che intanto ha iniziato su «L'Adunata dei refrattari» una nuova polemica con gli anarchici organizzatori, è costretto a trasferirsi a Marsiglia. A partire dal 1° maggio 1925 dà vita nella città francese a un nuovo quindicinale, «Il Picconiere», nei cui otto numeri pubblica, tra l'altro, i documenti relativi al coinvolgimento di una parte degli esuli anarchici nell'organizzazione armata fondata da Ricciotti Garibaldi, per condurre segretamente l'opposizione in esilio alla disfatta politica e militare, in combutta con i fascisti. Gli anarchici "garibaldini" gli rispondono con un n.u. violentissimo, «Polemiche nostre». Schicchi, solleticato nel suo elemento, controbatte con due numeri unici consecutivi altrettanto violenti: «Il Pozzo dei traditori» e «L'Unione dei padellai». Dopo di che, dissuaso dal proseguire la polemica, indirizzerà i suoi strali principalmente contro Mussolini pubblicando i numeri unici «La Iena», «Ganellone» e «L'Africa». Non rinuncia tuttavia, negli anni seguenti, a punzecchiare Malatesta, Fabbri e gli anarchici organizzatori della UAI che considera, per la loro precedente politica di alleanze, come i principali responsabili delle difficoltà in cui si dibatte il movimento. All'inizio del 1926, Schicchi lascia Marsiglia per stabilirsi a La Ciorat con la sua compagna Maria Liberti e la figlia adottiva Liliana. Ai conoscenti in Italia invia, in busta chiusa, migliaia di copie della circolare «Ammazzateli come cani idrofobi», in cui espone il suo programma di lotta al fascismo.
Intanto compie due viaggi clandestini a Genova e Torino, riceve aiuti finanziari consistenti dall'America e visite continue dagli esuli anarchici, tanto che il console italiano a Marsiglia potrà affermare, il 1° novembre 1926, che «Schicchi dirige e organizza tutto il movimento anarchico dei connazionali in Francia». Il 26 giugno 1926 esce a Parigi «La Diana», il nuovo quindicinale di cui è direttore insieme a Renato Siglich. Nel marzo del 1927 (Buenos Aires) egli pubblica, grazie all'aiuto finanziario dell'anarchico espropriatore Severino Di Giovanni, il primo volume di «Casa Savoia», "implacabile" requisitoria contro i reali d'Italia di cui ripercorre la storia, gli scandali, i vizi pubblici e privati. L'8 giugno partecipa alla riunione anarchica di Tolone nella quale viene votata la non adesione degli anarchici al fronte unico antifascista. Nel frattempo avvia i preparativi per un suo ritorno in Sicilia ad organizzarvi un moto insurrezionale. A ostacolare il progetto interviene la sua espulsione dal territorio francese, il 28 giugno 1928, che lo porta a vagare per la Francia, il Belgio, la Germania, l'Austria esercitando per copertura il commercio di concimi chimici per conto del fratello Sante, residente in Argentina. Nel luglio del 1929 anche «La Diana» è soppressa dal governo francese. Schicchi rientra clandestinamente a Marsiglia e pubblica «La Guerra civile», numero unico che incita a far fatti e non parole. Dello stesso tenore sono il manifesto insurrezionale ai Siciliani e gli articoli che invia a «L'Aurora» di Boston. Il gruppo de «L'Aurora» finanzia la pubblicazione del secondo volume di «Casa Savoia» (East-Boston), apparso in novembre, mentre un circolo criminologico viennese stampa l'anno successivo la prima parte delle «Storie di Francia» (Vienna), in cui Schicchi stigmatizza le violazioni del diritto di asilo da parte del governo francese. Nell'estate del 1930, partendo per l'Algeria e la Tunisia, porta con sé i manoscritti del terzo volume di «Casa Savoia» e della seconda parte delle «Storie di Francia» che, consegnati a compagni, verranno smarriti. Per sei mesi riesce a confondere le idee degli agenti segreti fascisti sguinzagliati per il mondo sulle sue tracce, facendo diffondere dagli amici più fidati lettere, cartoline ed ogni altro genere di notizie che lo danno di volta in volta a New York, Buenos Aires, Vienna, Egitto, perfino in Russia. Sarà Amleto Natoli, fratello di Marcello, e poi Giovanni Allegra, infiltrato della polizia tra gli anarchici di Tunisi, a rivelare la sua presenza in quella città. Nonostante la defezione di molti compagni e la penuria dei mezzi, Schicchi decide di affrettare il suo rientro nell'isola. Il 20 agosto, assieme a Salvatore Renda e Filippo Gramignano, s'imbarca clandestinamente sul piroscafo Argentina. Preavvertita, la polizia lo arresta subito dopo lo sbarco a Palermo, il giorno successivo. Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato lo condanna il 16 aprile 1931 a 10 anni di reclusione e tre di vigilanza speciale. Per effetto di un'amnistia sconta poco più di sei anni nei reclusori di Roma e Turi di Bari (dove ha modo di polemizzare con A. Gramsci). Ammalatosi gravemente, si rifiuta di appoggiare la domanda di grazia avanzata dai parenti.
Ultimi ruggiti del Leone di Collesano
Anziché venir liberato, il 28 gennaio 1937 è tradotto nelle carceri di Palermo. Ha 72 anni e soffre di idropisia, arteriosclerosi, palpitazione cardiaca, asma bronchiale, sciatica, catarro, cecità incipiente e rovina di tutti i denti. Nel frattempo la Questura di Palermo saccheggia la sua casa natale, sequestrando gran parte della biblioteca di famiglia, centinaia di giornali e di opuscoli e persino i quaderni compilati in carcere alla fine dell'Ottocento e muniti del visto della censura. Questo materiale servirà da pretesto per il suo invio al confino prima di Ponza, il 9 marzo 1937, poi di Ventotene, il 13 luglio 1939, dove viene circondato dalle premure e dall'affetto di tutti i confinati, al di là di ogni colore politico. Per le peggiorate condizioni di salute, l'8 ottobre 1940 il confino gli viene commutato in ammonizione ed egli può tornare a Collesano. Nel giugno 1941 riceve l'autorizzazione ad operarsi di ernia inguinale nella clinica Noto di Palermo, dove rimane convalescente fino alla fine della guerra, protetto dal primario dottor Pasqualino e soprattutto da Aurelio Drago, ex socialista e amico di gioventù, ora senatore del Regno, che gli evita la traduzione al nuovo confino di Ustica. Il 10 settembre 1943 inizia a Palermo, d'intesa con giovani libertari, repubblicani, socialisti e comunisti, la pubblicazione di una serie di manifesti contro il vecchio e il risorgente fascismo («Siciliani!», «L'Impero di Ganellone»ecc.), riuniti sotto le comuni testate del «Fronte unico della liberazione» (due numeri) e de «La Diana del fronte unico della liberazione» (due numeri), tramutatesi col 1944 nel «Fronte unico del vespro sociale» (due numeri), e in un opuscolo di propaganda, «La Società Futura». Nel settembre 1944 Schicchi dà vita alla prima serie delle «Conversazioni sociali» (Palermo), a cui seguono l'anno dopo altre tre serie. Vi raccoglie ricordi, suoi scritti e pensieri antichi e recenti, anticipando quanto farà dal marzo 1946 con una nuova rivista mensile di cultura sociale, «L'Era nuova». Fanno scalpore in questo periodo le sue "avances" interlocutorie verso il separatismo siciliano e la bassa mafia. Nonostante l'età avanzata, partecipa attivamente alla rinascita del movimento anarchico nell'isola, promovendone un primo Convegno a Palermo il 3 e 4 settembre 1944.
La sua posizione, favorevole all'unione «di tutte le sante forze proletarie rivoluzionarie, per opporla occorrendo a qualsiasi attacco della reazione», ma «senza alleanze ibride e senza deformazioni di nessuna specie», viene equivocata dai compagni dell'«Alleanza libertaria», riuniti in Congresso una settimana dopo a Napoli, che temono una sua adesione al fronte unico con i comunisti. Ne nasce una penosa con Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria mai pienamente sopita. Così, nonostante approvi tacitamente la fondazione della Federazione anarchica siciliana, avvenuta a Palermo il 2 marzo 1947, Schicchi si ritrova l'anno dopo a fianco dell'anarchico napoletano Giuseppe Grillo nel suo attacco a Masini e gli "accentratori" della FAI. «L'Era nuova» interrompe intanto le pubblicazioni col numero doppio dell'aprile-maggio 1948 perché egli si rifiuta di ottemperare alle formalità richieste dalla nuova legge sulla stampa. Appaiono perciò una serie di numeri unici (11 e un supplemento), l'ultimo dei quali, «Il Vespro della nuova civiltà », esce nel maggio-giugno 1950, alla vigilia di una nuova operazione di ernia che gli sarà fatale. Schicchi cessa di vivere a Palermo il 12 dicembre 1950. I parenti che lo assistono in punto di morte, distintisi per il loro passato fascista e bigotto, spargono seduta stante la leggenda della sua conversione al cattolicesimo. È il primo tentativo di profanazione della sua memoria, presto smascherato, al quale non mancheranno di seguirne altri da parte dei suoi detrattori politici, numerosi nello stesso movimento anarchico. Tuttavia ancor oggi, in molti luoghi della Sicilia occidentale continuano a circolare leggende e aneddoti fantastici sul "leone di Collesano", sulla sua vita avventurosa e il suo carattere di lottatore indomito e ribelle.
La tendenza antiorganizzatrice
Capisaldi della tendenza antiorganizzatrice di Paolo Schicchi sono:
il rigetto dell'organizzazione strutturata (che «ha portato sempre all'intolleranza, all'esclusivismo, all'obbedienza cieca»), secondo il principio che «la funzione crea l'organo e l'organo a sua volta riproduce la funzione»);
l'inutilità e anzi la dannosità dei Congressi, «fasi del parlamentarismo» («o chiacchierarvi e sono grotteschi, inutili; o formularvi dogmi, dettarvi leggi, crearvi evangeli, pigliarvi impegni e caschiamo nell'autoritarismo. Per tutto il resto: propaganda, intendimenti, iniziativa, se ne può fare a meno»);
il rifiuto dell'idolatria, che prospera anche tra gli anarchici ed impedisce lo spontaneo scatenarsi della rivoluzione nel popolo («Togliete all'individuo i mezzi d'innalzarsi e vi resterà eroe, capace di qualunque sacrificio; avvelenatelo coi miasmi dell'adulazione, dell'idea di superiorità, dell'orgoglio ed avrete il traditore e il rinnegato»);
il culto della forza e della violenza («La persuasione più eloquente è quella che viene dal ferro e dal fuoco [...]. Ad ogni idea deve corrispondere una ribellione, ad ogni discorso un atto, se no essi restano senza effetto»), correlato alla critica del determinismo "musulmano" e all'esaltazione della volontà individuale («Tutte le rivoluzioni che ricordi la storia le vediamo fatalmente precedute da una serie non interrotta di sacrifici; di martirii, di tentativi infelici»);
il necessario intreccio tra l'iniziativa individuale e l'azione collettiva («Malafede o cretinismo il voler far credere che la libera iniziativa escluda l'azione collettiva. Per noi la prima è il miglior mezzo di determinare la seconda, giacché è con essa che tutti gli slanci, tutti i temperamenti, tutte le forze possono trovare sfogo»);
la contrapposizione netta di una scienza e di un'arte anarchiche, volte verso la liberazione dell'uomo, alla scienza e all'arte borghese;
il relativismo morale («La morale anarchica è la libera manifestazione di tutte le facoltà psicologiche e fisiologiche dell'uomo senz'altra sanzione che la natura e la scienza, senz'altro limite che il rispetto alla libertà degli altri»).
Bibliografia
Opere di Paolo schicchi
Le degenerazioni dell’anarchismo. Mentecatti e delinquenti, La Spezia 1909
La morte dell’aquila. Tutto per l’amore, Milano 1917
Il Contadino e la questione sociale, Palermo 1919
Fra la putredine borghese, Palermo 1920
Il Canto dei Gladiatori, New York 1921
Casa Savoia, vol. I, Buenos Aires 1928
Casa Savoia, vol. II, East-Boston 1929
Storie di Francia, Vienna 1930
Conversazioni sociali, 4 ss., Palermo 1944-1945
La guerra e la civiltà. Mondo arabo e aggressione occidentale, Ragusa 1988
Noi soli contro tutti! Antologia di scritti (1919-1921), Catania 1993