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L’iniziativa StopSettlements, contro il commercio dei prodotti delle colonie israeliane

L’Unione Europea continua a importare prodotti dalle colonie israeliane nella Palestina occupata, contribuendo a rafforzarne la vitalità economica e l’espansione, invece di vietarne il commercio

# LE MALETESTE #

15 lug 2022

Lug 12, 2022

di Geneviève Coudrais OrientXXI, 1 luglio 2022

Sebbene la creazione di colonie nei territori occupati sia un crimine di guerra, l’Unione Europea continua a commerciare con le colonie israeliane nella Palestina occupata, contribuendo a rafforzarne la vitalità economica e l’espansione. È stata lanciata un’iniziativa dei cittadini europei per costringere le istituzioni a reagire.


Attualmente in Cisgiordania e a Gerusalemme Est ci sono 280 insediamenti israeliani, che ospitano oltre 662.000 coloni, mentre nella stessa area vivono 3,5 milioni di palestinesi. Secondo l’ONG israeliana B’Tselem, il tasso di crescita della popolazione dei coloni è aumentato del 42% dal 2010 ed è più che quadruplicato dal 2000.

Il 19 luglio 2018 il Parlamento israeliano ha approvato la legge “Israele, Stato-nazione del popolo ebraico”, in cui si afferma che “lo Stato considera lo sviluppo degli insediamenti ebraici un valore nazionale e agisce per incoraggiare e promuovere la loro creazione e il loro rafforzamento”, mentre secondo il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite la colonizzazione è un crimine di guerra perché comporta molteplici violazioni dei diritti umani.

Secondo il diritto internazionale, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e le Alture del Golan sono zone militari occupate. Israele è la potenza occupante e, in quanto tale, è responsabile del benessere della popolazione civile palestinese.


I diritti e gli obblighi di una potenza occupante sono contenuti nella Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta le attività di insediamento nel territorio occupato. Alle potenze occupanti non è consentito trasferire parti della propria popolazione civile nei territori che occupano, né confiscare proprietà private (art. 49 e 54 della IV Convenzione di Ginevra e art. 8 dello Statuto di Roma).


L’Europa è il principale importatore di prodotti israeliani La risoluzione 2334 del 2016 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite invita gli Stati a “distinguere nel loro commercio tra il territorio dello Stato di Israele e i territori occupati dal 1967”.

L’Europa è la principale destinazione di esportazione dei prodotti israeliani. In Cisgiordania ci sono circa 20 zone industriali amministrate da Israele, che coprono circa 1.365 ettari, mentre i coloni coltivano 9.300 ettari di terreno agricolo. Israele rilascia permessi di costruzione e di estrazione a imprese israeliane e straniere, mentre li nega alle imprese palestinesi.


Le imprese delle colonie beneficiano di affitti bassi, aliquote fiscali favorevoli, sussidi governativi e accesso alla manodopera palestinese a basso costo. Inoltre, rafforzano le municipalità delle colonie fornendo ai loro abitanti israeliani una serie di servizi, nonché posti di lavoro e reddito (attraverso le tasse). Tutto ciò non ha impedito all’Europa di commerciare con le colonie, contribuendo così alla loro esistenza e prosperità. Israele beneficia di tariffe doganali preferenziali nell’ambito dell’Accordo di associazione UE-Israele del 1995. Nel 2004, l’UE ha concluso un “accordo tecnico” con Israele in base al quale le autorità israeliane si impegnano a indicare il vero luogo di origine di tutti i prodotti, poiché quelli provenienti dagli insediamenti non possono essere esentati dai dazi doganali.


Frodi di etichettatura Quest’ultimo accordo compiacente non ha tuttavia impedito alle autorità israeliane di continuare a indicare “made in Israel” su tutti i prodotti, compresi quelli con codici postali delle colonie. Inoltre, alcune aziende israeliane aggirano il problema fornendo alle autorità doganali il codice postale di una delle loro filiali in Israele, anche se il prodotto in questione proviene da un sito di produzione in Cisgiordania.

Questa frode ha aperto una prima breccia nel commercio con le colonie: la sentenza Brita della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 25 febbraio 2010 ha stabilito che i prodotti provenienti dalla Cisgiordania non sono soggetti al regime tariffario preferenziale previsto dall’accordo UE-Israele.

L’etichetta “made in Israel” non inganna solo le autorità doganali, ma anche i consumatori che vogliono evitare di essere complici di questa colonizzazione con i loro acquisti. Dal 25 novembre 2015, dopo una lunga battaglia, una comunicazione interpretativa dell’UE ha reso obbligatorio etichettare i prodotti provenienti dalle colonie israeliane in modo diverso dai prodotti israeliani. Questa etichettatura rimane comunque difficile da controllare sia per i consumatori che per i funzionari doganali.


Europa complice della colonizzazione Ma questo non è sufficiente: una volta riconosciuta l’illegalità delle colonie, l’UE non può, se vuol essere coerente, commerciare con esse permettendo la loro continua sopravvivenza. In tal modo diventa complice della colonizzazione. Esiste la possibilità, prevista dal Trattato di Lisbona del 2007, che un gruppo di cittadini provenienti da almeno 7 Stati membri dell’UE possa, attraverso una “Iniziativa dei Cittadini Europei” (ICE), chiedere alla Commissione Europea di adottare determinate misure (sei ICE sono state realizzate fino ad ora). Se l’iniziativa riceve un milione di firme, la Commissione sarà obbligata a prendere in seria considerazione le azioni da intraprendere.

Per questo motivo, una coalizione di un centinaio di organizzazioni in Europa (ONG, sindacati, associazioni, tra cui AssoPacePalestina) ha presentato una richiesta alla Commissione Europea per vietare il commercio di prodotti provenienti dalle colonie che sono illegali sul mercato europeo: l’obiettivo è quello di allineare la politica commerciale europea al diritto internazionale e ai diritti fondamentali, facendo rispettare il divieto di qualunque colonizzazione.

Il testo dell’iniziativa Stop Settlements invita la Commissione, in qualità di custode dei trattati, a garantire la coerenza della politica dell’Unione e il rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale in tutti i settori del diritto dell’Unione, compresa la politica commerciale comune. Deve proporre atti giuridici fondati sulla politica commerciale comune per impedire che soggetti giuridici dell’UE importino prodotti originari di insediamenti illegali in territori occupati ed esportino in tali territori, onde preservare l’integrità del mercato interno e non favorire o contribuire al mantenimento di tali situazioni illecite.

La campagna di raccolta firme di sostegno è stata lanciata il 20 febbraio 2022, Giornata mondiale della giustizia sociale. La coalizione ha un anno di tempo per raccogliere le firme di un milione di cittadini europei condividendo la petizione. Dopo la raccolta e la certificazione di un milione di firme, gli organizzatori incontreranno la Commissione e il Parlamento europeo entro tre mesi.

Ogni cittadino europeo può, fino al 20 febbraio 2023, influenzare la politica dell’UE sul commercio con Israele firmando l’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) a questo link: Stop Settlements

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Geneviève Coudrais, avvocatessa, da tempo impegnata nella difesa dei diritti dei palestinesi, membro dell’Associazione di solidarietà Francia-Palestina.


Nella foto: bottiglia di vino prodotta nell’insediamento di Shilo, nella Cisgiordania occupata, con la dicitura “prodotto di Israele” (novembre 2015)Menahem Kahana/AFP


Versione in lingua originale dell'articolo: https://orientxxi.info/magazine/stopsettlements-contre-le-commerce-des-produits-des-colonies,5737

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