L’OCCUPAZIONE SI È TRASFORMATA IN APARTHEID
"Trovo incredibile come in Italia non se ne parli, con la connivenza dei media" (Francesca Albanese)
# LE MALETESTE #
13 giu 2022
Intervista a Francesca Albanese
neo Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati
a cura di Anna Maria Selini
da: altreconomia.it, 9 giugno 2022
“Non sono una partigiana, anche se mi appassiona quello che faccio. Questa è prima di tutto una questione di giustizia, per i palestinesi, ma anche per gli israeliani: l’apartheid è una forma di corruzione e la violenza genera sempre violenza”.
Francesca Albanese, 45 anni, neo Relatrice speciale sulla Situazione dei Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati (ONU), dice di non temere il delicato incarico che ricopre da maggio, prima donna in assoluto, anzi: “È il continuum naturale del mio percorso. Ho intenzione di usare la mia posizione per dare spazio, al di fuori delle sedi istituzionali, a chi si batte per il rispetto dei diritti in quella regione, siano palestinesi o israeliani”.
Le immagini di Sabra e Shatila sono i primi ricordi di affari esteri di cui ho memoria. Fu la prima volta che sentii parlare di rifugiati palestinesi. Sono cresciuta in una famiglia in cui si discuteva di temi come il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Poi è venuto l’attivismo negli anni universitari. Ma il vero momento che mi ha segnato sono stati gli studi alla School of Oriental and African Studies (Soas) di Londra: ho capito quanto il diritto fosse centrale nella questione israelo-palestinese. Per anni ho lavorato per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite e per l’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi. Ho vissuto in Palestina ed è stata un’esperienza molto forte. Come se il mio corpo, da occidentale cresciuta in pace, non fosse abituato a quella violenza gratuita, umiliante, quasi bullismo, mai vista prima. Ero già stata in zone di conflitto, ma lì non c’era il conflitto: la violenza veniva perpetrata da persone normali, che poi tornavano a vivere una vita normale, per via della demonizzazione dei palestinesi imposta da una cultura militare. Ho provato un senso di impotenza nella mia esperienza personale nelle agenzie delle Nazioni Unite e questo mi ha portato a scrivere il libro “Palestinian refugees in international law” (Oxford university press, 1998): volevo dare un senso a ciò che non capivo del mio mandato. Così ho conosciuto Michael Lynk, il mio predecessore, che vista anche la mia esperienza da coordinatrice dei programmi per i rifugiati palestinesi, mi ha incoraggiato a presentare la candidatura.
Ho un profilo ibrido e sono una preda facilissima per i denigratori del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ma non ho paura. Ho già ricevuto attacchi e visto come hanno tormentato i miei predecessori. È quella che uno di loro, Richard Falk, ha definito the politics of deflection: si attacca chi ti critica, per deviare l’attenzione da quello che dice.
Il mio mandato prevede l’osservazione di ciò che succede nella Palestina occupata. Questo implica condurre visite, stilare rapporti e tutto ciò ritenga utile. L’incarico dura sei anni (è a titolo gratuito, ndr) e annualmente devo presentare una relazione al Consiglio per i Diritti Umani e una all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Qual è il quadro dal punto di vista del diritto internazionale della situazione dei palestinesi? FA È un popolo che vive sotto occupazione militare da 55 anni. L’occupazione non è illegale di per sé, ma perché non giustificata, proporzionale o temporanea. Viola tre norme fondamentali: la proibizione di acquisizione di nuovi territori, con l’espandersi delle colonie; la proibizione del razzismo e il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi.
L’occupazione si è trasformata in apartheid. Era inevitabile che il dibattito esplodesse prima o poi. Trovo incredibile come in Italia non se ne parli, con la connivenza dei media.
Chi critica le misure del governo e dell’esercito israeliano si vede spesso rivolgere l’accusa di antisemitismo. Come se ne esce?
FA Se ne esce ascoltando i 300 intellettuali ebrei che hanno firmato la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo: criticare Israele non è antisemita. Il BDS, il movimento che propone boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, nemmeno. Antisemita è chi discrimina un ebreo perché tale. Il diritto di pensiero e di critica non possono essere messi in discussione. Il messaggio che passa, così, è che i palestinesi non hanno altro spazio per il dissenso che la violenza. Non è nemmeno corretta l’idea che tutti gli israeliani supportino tale atteggiamento: ci sono accademici, esponenti della società civile e organizzazioni dei diritti israeliane contrarie. Certo, negli ultimi anni il distacco tra i due popoli è aumentato.
Quali sono invece le violazioni commesse dai palestinesi?
FA Io mi occupo delle violazioni dei diritti dei palestinesi. Israele è il soggetto primario a compierle ma vengono attuate anche dalle autorità palestinesi ai danni dei loro connazionali e io mi sento obbligata a segnalarle. Ho seguito la vicenda di Nizar Banat, critico verso l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e ucciso dalla polizia palestinese. Penso alla repressione molto forte del malcontento in Cisgiordania. Gaza ha una situazione ancora più complessa. Non ci deve essere una doppia cappa sui palestinesi.
Che cosa dovrebbe succedere per cambiare la situazione dei palestinesi? FA Innanzi tutto rispettare il diritto. Israele deve ritirare le truppe dai territori che occupa in maniera illegale almeno dal 1967 e togliere l’assedio di Gaza, che non è giustificato: non si può considerare autodifesa l’oppressione di un popolo. Servirebbe una pressione internazionale come per l’Ucraina. La Carta delle Nazioni Unite è chiara: quando sono in pericolo la pace e la sicurezza, si può ricorrere a diverse misure, incluse le sanzioni.
A maggio un rappresentante del Parlamento europeo non è potuto entrare in Israele per recarsi nei territori occupati. Come un suo predecessore. Andrà a Gaza? Se non la faranno entrare, passerà dall’Egitto? FA Vorrei, ma anche entrare dall’Egitto è problematico. Obiettano questioni di sicurezza e in passato hanno offerto di ospitare incontri da loro. Per fortuna la tecnologia ha aperto nuovi orizzonti.
È ottimista? FA No. Ma ho fede negli esseri umani.
Ancora Francesca Albanese:
(...) grazie alla denuncia incessante dei palestinesi e inizialmente pochi coraggiosi esperti internazionali (come i professori Dugaard, Reynolds, Falk e Tilley), ora sostenuti da organizzazioni israeliane (Yeshddin e B’tselem) e organizzazioni internazionali indipendenti per i diritti umani come Human Rights Watch – è ‘più accettato’ che Israele ha varcato la soglia della legalità in Israele e nei territori occupati e sta commettendo i crimini di apartheid e persecuzione contro i palestinesi. Questo è un enorme sviluppo che ha acceso il dibattito internazionale e un maggiore controllo su Israele.
Israele viola da tempo i principi fondamentali del diritto internazionale, iniziato 70 anni fa con lo sfollamento forzato di due terzi della popolazione araba indigena in quello che divenne lo Stato di Israele nella Palestina del Mandato britannico, la loro snazionalizzazione in massa, la negazione continua del loro diritto al ritorno, e le politiche e le pratiche che Israele ha imposto nei territori occupati dal 1967, per non parlare dei presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in occasione di successivi attacchi militari contro Gaza, la cui popolazione è stata imprigionata in un blocco illegale per 13 anni, che costituisce una punizione collettiva secondo il diritto internazionale ( nonostante le responsabilità delle sue autorità di fatto ).
Questo è completamente alla luce ora e la lente dell'”apartheid” è più adatta a spiegare la realtà passata e presente in Israele/Palestina, nonché la ragione dell’irraggiungibilità della pace. Immagino che Israele risenta di questo discorso, sostenuto dalle prove che queste organizzazioni continuano a produrre. In altre parole, ‘ le roi est nu ‘, il re è nudo, e anche furioso, quindi agisce con una mancanza di tattica senza precedenti, a mio avviso.
(...) .. sono pienamente d’accordo sul fatto che il terrorismo sia in corso negli oPt (Territori Palestinesi Occupati, NdR), come ha denunciato Amira Hass nel suo ultimo pezzo : dove civili indifesi sono esposti alla paura e alla brutalità dei soldati israeliani mascherati che fanno irruzione nelle case e nei villaggi palestinesi, spesso nel cuore della notte; dove c’è una totale mancanza di responsabilità per la frequente perdita di vite civili, demolizioni ingiustificate di case palestinesi; confisca di strutture civili e mezzi di sussistenza, anche a pastori e contadini; l’incendio di frutteti e ulivi secolari; le innumerevoli umiliazioni quotidiane a cui sono esposti i palestinesi sotto il giogo dell’occupazione. A questo proposito, concordo sul fatto che le pratiche assimilabili al terrorismo nei territori occupati debbano essere indagate e i responsabili perseguiti.
28 ottobre 2021
Francesca Albanese intervistata da Romana Rubeo
palestinaculturaliberta.org