La “violenza burocratica” dell’esercito israeliano in Palestina
Nuove testimonianze dei soldati israeliani all’Ong "Breaking the silence" ricostruiscono il funzionamento del “governo militare” in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Dal “sistema dei permessi” -per lavorare, studiare, viaggiare o curarsi- al reclutamento di collaboratori
# LE MALETESTE #
17 ago 2022
La “violenza burocratica” dell’esercito israeliano in Palestina
di Anna Maria Selini— 18 Agosto 2022
Nuove testimonianze dei soldati israeliani all’Ong israeliana "Breaking the silence" ricostruiscono il funzionamento del “governo militare” in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Dal “sistema dei permessi” -per lavorare, studiare, viaggiare o curarsi- al reclutamento di collaboratori
Poco prima che sulla Striscia di Gaza si abbattesse l’offensiva militare israeliana “Alba nascente”, che in tre giorni, dal 5 al 7 agosto scorsi, ha provocato la morte di 49 palestinesi, di cui 17 bambini, 70 gli israeliani feriti, l’Ong israeliana "Breaking the silence", rilasciava la sua ultima pubblicazione, intitolata “Military Rule”, governo militare.
Un report con 59 testimonianze di soldati israeliani che tra il 2011 e il 2021 hanno prestato servizio nel Cogat, l’unità di coordinamento delle attività governative nei territori occupati, e nelle sue due sotto unità, l’amministrazione civile in Cisgiordania e il Dcl di Gaza (Coordination and Liaison office).
Questi tre organismi militari regolano le attività civili palestinesi, come la concessione dei permessi per costruire, per importare o esportare e soprattutto per muoversi fuori dai territori occupati. E che sono di vitale importanza, in particolare per la Striscia di Gaza, dal 2007, dopo la vittoria elettorale e la presa del potere del movimento islamista Hamas, sigillata e sotto embargo.
Nell’indagine, l’Ong -riconosciuta per diffondere testimonianze spesso anonime di soldati israeliani, alcuni dei quali ancora in servizio- dimostra che “la burocrazia dell’occupazione non è un effetto collaterale involontario del governo militare ma la base stessa del governo”. E che la “violenza burocratica”, come la definisce un testimone, a cui i palestinesi sono continuamente sottoposti, non è una conseguenza, ma un mezzo “utilizzato per approfondire continuamente il controllo di Israele sui territori occupati e sui suoi milioni di residenti palestinesi, sia in Cisgiordania che a Gaza”, scrive l’organizzazione.
"Breaking the silence" questa volta ha deciso di puntare i riflettori sulla burocrazia, “perché mentre i palestinesi sono ben consapevoli di come quest’ultima governi ogni angolo della loro vita, gli israeliani e il pubblico internazionale lo sono meno”.
Si documenta la capacità del movimento dei coloni di influenzare l’agenda dell’amministrazione civile, del controllo ermetico su tutti e tutto quello che entra ed esce da Gaza, fino al reticolo perverso di norme nel quale i palestinesi che possiedono delle proprietà devono districarsi. E si parla soprattutto del sistema dei permessi, lo strumento cardine del controllo israeliano.
Permessi per lavorare, studiare, viaggiare o curarsi fuori dai territori, in particolare da Gaza, dove la sanità è messa a durissima prova dall’embargo (per l’Ocha, la chiusura per l’ultima escalation ha impedito a una media di 50 dei pazienti più vulnerabili al giorno di ricevere cure anche per il cancro al di fuori di Gaza). Un sistema che definisce tutto quello che può o non può passare nel dettaglio ma che spesso dipende dal militare di turno.
“C’è un elenco tipo: sono consentite dieci uova, è consentito un chilogrammo di pomodori?”, chiede "Breaking the silence" a un sergente di primo grado, operante nell’amministrazione civile nella zona di Qalqilya nel 2012. “Sì, totalmente, ma non era sempre aggiornato”, risponde lui. E aggiunge: “Ricordo che a volte un palestinese si presentava con qualcosa che sembrava troppo (di un certo prodotto) all’ufficiale di frontiera e lui gli diceva: ‘Non puoi più portare questa cosa qui. Posso lasciartene prendere una parte’, sostenendo che era quello di cui il palestinese avesse bisogno, che non aveva bisogno di altro”.
Dalle testimonianze emerge poi che ci sono palestinesi con i quali l’amministrazione ha promosso “legami speciali”. Un vero e proprio reclutamento di collaboratori, in cambio di permessi più morbidi, oltre che un enorme database di informazioni personali a cui i palestinesi sono costretti a contribuire, in cambio della fornitura dei diritti fondamentali.
“C’è un ragazzo -racconta un sergente dell’amministrazione civile di Ramallah nel 2013- la cui casa è come in mezzo al nulla ma si trova sul lato israeliano della barriera di separazione, vicino a Giv’on (un insediamento israeliano). Non è stato spostato da lì, la recinzione è stata costruita e hanno recintato anche lui. Nijam Faqia, credo, fosse il suo nome. Chiamava la sala operativa ogni mattina, dicendo ‘Ciao, sono Nijam, voglio entrare in casa mia’. La sala operativa chiamava la polizia di frontiera e gli aprivano il cancello. Folle”. Quante volte? Una, due volte al giorno.
"Il fatto che in un giorno permettiamo cinque camion di bulgur (tipo cous-cous integrale, ndr) invece di tre, non ci rende umani -riferisce invece un tenente della Dcl di Gaza, nel 2014-. Significa che abbiamo un lecca-lecca che diamo loro, ma c’è una corda attaccata all’altra estremità del bastoncino in modo che possiamo tirarlo fuori dalla loro bocca in un dato momento. E questo, tra l’altro, è qualcosa che è emerso molto nei rapporti sulla zona di pesca. Perché ogni tanto si espandeva, si contraeva, a seconda di ciò che voleva lo Stato di Israele. E ricordo che, se fosse in risposta a razzi o qualcosa del genere, la zona di pesca verrebbe ridotta o completamente chiusa. A quel tempo, non pensavo al fatto che a Gaza ci fossero pescatori che dipendevano da questo e che potevano non avere alcun legame con i razzi (sparati contro Israele), che venivano puniti per Hamas o per chiunque altro li sparasse. Oggi penso che se fossimo davvero umani, non metteremmo Gaza sotto assedio e probabilmente permetteremmo loro di importare ed esportare da un porto marittimo che potrebbero gestire da soli. Se fossimo umani, probabilmente non controlleremmo l’intero spazio aereo laggiù”.
da: altreconomia.it, 18 agosto 2022