Perché rifiutiamo le armi. Intervista a 4 adolescenti israeliani
Il 4 settembre, quattro adolescenti israeliani sono andati al Centro di reclutamento dell’IDF a Tel Hashomer, nel centro di Israele, per annunciare il loro rifiuto di arruolarsi nell’esercito in protesta contro l’occupazione e l’apartheid. Per loro si aprono le porte del carcere
# LE MALETESTE #
9 set 2022
08 Settembre 2022
Prima di finire in carcere, quattro adolescenti israeliani raccontano perché rifiutare la leva militare è il minimo che si possa fare. Sperano di poter contribuire con il loro gesto ad allargare tra i più giovani l’opposizione all’Apartheid contro i Palestinesi.
Il 4 settembre, quattro adolescenti israeliani sono andati al Centro di reclutamento dell’IDF a Tel Hashomer, nel centro di Israele, per annunciare il loro rifiuto di arruolarsi nell’esercito in protesta contro l’occupazione e l’apartheid. Un simile atto collettivo da parte di giovani obiettori di coscienza è diventato raro nell’ultimo decennio.
Uno dei quattro, Shahar Schwartz, ha già trascorso 10 giorni in carcere militare, dopodiché è stato rilasciato. I restanti tre — Evyatar Moshe Rubin, 19 anni, di Gerusalemme; Einat Gerlitz, 19 anni, di Tel Aviv; e Naveh Shabtay Levin, 18 anni, di Hod Hasharon, saranno probabilmente condannati domenica.
La leva militare è obbligatoria per la maggior parte degli ebrei israeliani, uomini e donne, e il rifiuto di arruolarsi senza l’approvazione dell’esercito è un reato punibile. Gli obiettori di coscienza, comunemente soprannominati “refusenik”(dissidenti), vengono generalmente processati presso il Centro di reclutamento e condannati a pene detentive comprese tra 10 e 21 giorni. Dopo il loro rilascio, sono chiamati a riferire al Centro di reclutamento, dove di solito annunciano nuovamente il loro rifiuto di arruolarsi. Pertanto, i dissidenti possono spesso trascorrere mesi in prigione per diversi periodi consecutivi, fino a quando l’esercito non decide di congedarli.
Dei quattro, solo Einat è comparsa davanti al comitato degli obiettori di coscienza dell’IDF, che ha rifiutato di esentarla dal servizio. Ciò non sorprende, dal momento che c’è un solo rappresentante civile nel comitato e gli obiettori che sono apertamente motivati dalle loro opinioni contrarie all’occupazione sono considerati “oppositori politici” e quindi non ricevono esenzioni. Shahar, Itamar e Naveh hanno interrotto i contatti con l’esercito dopo aver ricevuto l’ordine di arruolamento e non si sono presi la briga di presentarsi davanti al comitato.
“Il mio problema principale è quello che sta facendo l’esercito nella Cisgiordania occupata e a Gaza, ma quando dici cose del genere in commissione, lo chiamano ‘rifiuto selettivo’ e non ti danno un’esenzione”, ha spiegato Shahar . “Sentivo che se non l’avessi detto, avrei commesso un’ingiustizia verso me stesso”.
I quattro adolescenti sono supportati da Mesarvot, un movimento della società civile che riunisce individui e gruppi che si rifiutano di arruolarsi nell’esercito israeliano per protestare contro l’occupazione.
+972 ha incontrato i quattro obiettori di coscienza nelle settimane precedenti la loro imminente reclusione per parlare della loro decisione di rifiutare, delle reazioni delle loro famiglie, della possibilità di innescare un dibattito sull’occupazione tra gli ebrei israeliani e delle loro preoccupazioni per la vita dietro le sbarre. L’intervista è stata modificata per lunghezza e chiarezza.
Perché hai deciso di rifiutare? Einat: “L’obiezione di coscienza è un fenomeno piuttosto taciuto; ci ho messo un po’ a scoprirlo. Sono stata attiva nella protesta giovanile contro il cambiamento climatico. Mi sono legata molto alle ragazze palestinesi che hanno preso parte alla protesta e ho imparato da loro sulla narrativa palestinese, al di là della narrativa sionista con cui sono cresciuta. Mi ha fatto guardare dentro le cose e fare domande. Mi sono resa conto che non c’era modo di prestare servizio in un esercito che per decenni è stato responsabile di un regime violento”. “Shahar: “Prima del liceo, ho partecipato al campo estivo “Seeds of Peace” (semi di pace) per israeliani e palestinesi. Ho sentito dai palestinesi di come l’esercito renda le loro vite miserabili. Puoi guardare video su Internet, ma è più d’impatto sentire da una ragazza della mia età come ogni tanto l’esercito entra nella sua scuola e distrugge la loro routine quotidiana, o da un ragazzo della mia età che racconta come ogni volta vuole andarsene dalla sua città per visitare i parenti, deve affrontare un processo umiliante a un posto di blocco per ore. Rafforza solo la convinzione che non è più possibile [per me prestare servizio nell’esercito]. “Non ho preso la decisione di rifiutare fino agli ultimi mesi, perché ho pensato di evitare [di prestare servizio nei territori occupati] e di prestare servizio in un ruolo meno orientato al combattimento, meno legato all’occupazione. Sono giunto alla conclusione che se entro nell’esercito, indipendentemente dal ruolo, faccio ancora parte di un’organizzazione che opprime i palestinesi da decenni”.
Naveh: In una certa misura, sono cresciuto nell’esercito. Mio padre era un ufficiale e mi portava alla base nei fine settimana. Sono cresciuto in questa realtà. Tenevo le armi, guardavo le mitragliatrici e raccoglievo bossoli di proiettili. Dall’altra parte, mia madre mi ha fornito una contro-narrativa: una prospettiva più di sinistra. Sono cresciuto in entrambe queste realtà fino a quando non ho iniziato a fare ricerche per conto mio. Sono andato alle manifestazioni e ho visto l’apartheid nella realtà, non semplicemente in teoria. “Non sapevo che esistesse la possibilità di rifiutare. Ho pensato che, se fosse stato necessario, avrei chiesto di essere esonerato, fino a quando qualcuno mi ha chiesto se mi sarei rifiutato di servire se non avessi ricevuto un’esonero. Ho detto che non ci avevo ancora pensato e mi sono appuntato un promemoria per verificare cosa significasse. “Più vedevo il comportamento dell’esercito e dello stato – prima durante le proteste di Balfour [contro l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu] e poi a Sheikh Jarrah – più ho deciso che non posso tacere o prendere parte all’oppressione e all’apartheid”. Evyatar: “Ho deciso di rifiutare perché l’obiettivo principale dell’esercito è la pulizia etnica dei non ebrei, come fanno a Masafer Yatta. Questo è qualcosa a cui non posso attenermi, né ideologicamente né moralmente. Ecco perché scelgo di non servire. “Ero una persona molto immersa nei libri e in Internet, e questo mi ha portato a essere coinvolto in siti di sinistra. Per quanto avessi dei dubbi, pensavo che [fossimo] l’unica democrazia in Medio Oriente, che l’esercito stesse facendo del suo meglio. Ma ho visto sempre più omicidi e mi sono chiesto perché sono d’accordo [con la sinistra internazionale] sulle questioni LGBTQ+ e su tutto il resto, e solo quando si tratta di Israele non siamo d’accordo. Mi sono reso conto che era perché sono cresciuto e ho studiato qui, e che se fossi quello che sono in qualsiasi altra parte del mondo, sarei d’accordo con loro anche su Israele”.
Come hanno reagito i tuoi amici e la tua famiglia alla tua decisione?
Naveh: “Vivo in un ambiente che non è d’accordo con la mia decisione, ma è di supporto. Ho avuto molte conversazioni, alcune più piacevoli di altre. Sono sorpreso dai miei amici di destra che dicono che “rispettano davvero” la mia scelta e la sostengono. È molto difficile per la mia famiglia. Mio padre viene da una famiglia in lutto; è difficile [per lui] che io mi opponga allo stato e all’esercito”.
Shahar: “I miei amici supportano la mia decisione di seguire la mia coscienza. Alcune persone lo trovano più difficile, pensano che io stia violando i valori fondamentali [dello stato]. Nessuno in famiglia vuole che il proprio figlio o nipote vada in prigione. Ma sanno che devo scegliere da solo. Questa è la prima decisione che prendo da adulto e loro la rispettano”.
Einat: “Ho ricevuto reazioni contrastanti. Da un lato, alcuni apprezzano la decisione consapevole di andare in prigione. D’altra parte, alcuni mi accusano di essere egoista, come se farlo fosse una scelta facile. Penso che la nostra scelta di rifiutare esprima una grande responsabilità sociale. Sia Evyatar che io abbiamo preso parte al servizio militare, dove hanno parlato molto dell’essere critici e generatori di cambiamento. Poi arriva l’arruolamento nell’esercito e tutto viene messo in pausa; dicono che la vita politica inizia dopo l’esercito. La decisione se arruolarsi o rifiutare è la prima grande scelta politica nella nostra vita adulta”.
Evyatar: “La mia famiglia ristretta, i miei genitori, non mi hanno incoraggiato a rifiutare di arruolarmi, ma hanno sempre voluto che pensassi ai deboli e agli oppressi. Loro capiscono. Anche dalle fasce di destra che si sono opposte [alla mia decisione], non ho sentito alcuna critica personale”.
Nell’attuale situazione politica, in cui i giovani si stanno spostando sempre più a destra, pensate sia possibile che il vostro rifiuto possa influenzare i giovani? Einat: “L’importanza dell’obiezione di coscienza è il desiderio di far fare domande ai giovani. Non dobbiamo dare nulla per scontato; dobbiamo guardare oltre la narrativa con cui siamo cresciuti. Nella lotta per il cambiamento climatico la situazione era diversa: c’era un margine di consenso molto più ampio. Il rifiuto della leva è più insolito, è molto meno presente nella sfera pubblica. Ecco perché era importante per me farlo in modo pubblico piuttosto che trovare altre strade per uscire dall’esercito”. Evyatar: “Così come è possibile educare [la gente] che tutti gli arabi vogliono distruggerci e che non esiste un partner [per la pace], è anche possibile educare le persone alla verità. Il cambiamento avverrà quando i giovani non ascolteranno solo il 90 per cento di voci di destra e un altro 10 per cento di voci di estrema destra, ma piuttosto voci più umaniste. Rifiutare di arruolarsi è il minimo. È possibile che quello che faccio non faccia la differenza, ma spero che nel corso degli anni il numero degli obiettori aumenti e questo possa cambiare l’umore [generale]”. Shahar: “Il problema principale è che l’esercito non viene presentato come qualcosa di destra, ma piuttosto come qualcosa che è inerente allo stato, che precede la politica. In tutto il mio tempo nel sistema educativo, non c’è stato un solo anno senza che un soldato venisse a parlare alla nostra classe. Ognuno di noi che rifiuta di arruolarsi spinge chi gli sta vicino – e anche chi non gli sta vicino – un po’ a sinistra, o almeno [spinge] a considerare questa possibilità. Noi quattro non ci illudiamo che cambieremo le opinioni di tutta la nostra generazione o che porteremo alla fine dell’occupazione, ma possiamo almeno provare a far aprire le menti dei nostri amici e conoscenti più stretti”.
Il fatto che Israele sia stato governato da un “governo del cambiamento”, che includeva partiti di centrosinistra, nell’ultimo anno, ha influenzato le tue considerazioni? Einat: “C’è appena stata un’altra offensiva su Gaza. Non vedo una grande differenza tra i governi precedenti e ciò che sta accadendo ora. Mille persone rischiano l’espulsione a Masafer Yatta. Il mio processo di rifiuto è iniziato prima che questo governo fosse formato e dopo che è andato in pezzi continuo a pensare esattamente la stessa cosa”.
Evyatar: “Ho preso la decisione di rifiutare prima della formazione dell’ultimo governo. Ma l’attuale governo è anche più pericoloso. C’è la percezione che Netanyahu e Itamar Ben-Gvir siano demoni, ma gli stessi crimini si verificano sotto Lapid. Lapid e il centro politico insabbiano i crimini e rendono più difficile la resistenza”. Shahar: “Il governo, che era [nella sua composizione] più vicino alla sinistra negli ultimi decenni, era di destra quando si trattava di questioni economiche e di sicurezza. Ciò dimostra che votare alle elezioni ogni pochi mesi non porterà i cambiamenti necessari. Se voglio innescare un cambiamento, devo farlo da solo”.
Qual è stato l’effetto di vedere la realtà dell’occupazione sul campo? Shahar: “Vedere con i propri occhi è più forte che leggere. Vedere la barriera di separazione, vedere come si comporta la polizia a Sheikh Jarrah, come ferma un ragazzo palestinese che ha camminato lungo la strada per un secondo mentre dall’altra parte attivisti di destra sono in piedi e fanno cose molto più gravi: imprecano e cercano di attaccare i [manifestanti], mentre la polizia chiude un occhio”. Naveh: “A Sheikh Jarrah, ho visto la famiglia Salem piangere ogni settimana perché non sanno se potranno continuare a vivere nella loro casa. Ho parlato con la famiglia Salhiyeh, la cui casa è stata demolita. Dall’altro lato, ho visto i coloni protestare costantemente fuori casa, minacciando me e gli altri. La maggior parte della mia comprensione della realtà è venuta da Internet, ma c’è qualcosa nel vedere e sentire queste cose. Apre il cuore e crea una connessione difficile da trovare online. Sono stato anche a Masafer Yatta. Ho visto fino a che punto l’esercito e la polizia non si preoccupano che i coloni dagli avamposti lancino pietre contro i pastori palestinesi”.
Oltre all’opposizione all’occupazione, ci sono altri motivi per il vostro rifiuto? Shahar: “I crimini commessi dall’esercito sono la cosa principale. Un altro è che [il servizio militare] ha reso la nostra società molto militarista. Tutti gli adulti sono stati nell’esercito, e questo influisce notevolmente sulla condotta della società”.
Einat: “L’essere queer è una delle cose che mi ha portato a rifiutare. L’identità LGBTQ consente di guardare le cose da un punto di vista diverso, di non dare per scontata la realtà. Mi è stato offerto di servire nella Radio IDF (ndr. dell’esercito), nel campo dell’istruzione, in posizioni che sono considerate buone. Ma non c’è differenza tra servire nell’istruzione, come impiegato d’ufficio o come soldato combattente. Tutto fa parte dello stesso sistema”. Naveh: “La decisione di rifiutare è venuta dal mio personale processo di radicalizzazione, ma oggi posso dire che arrivo ad affrontare questo tema da comunista. Mi oppongo alla separazione di classe tra ebrei e palestinesi. Vedo come i potenti e i ricchi traggano profitto dai crimini di guerra, dalla sofferenza e dalla morte che noi e i palestinesi sperimentiamo”. Evyatar: “Fa parte di qualcosa di più grande. Per tutta la vita ci è stato insegnato quanto il nazionalismo sia pericoloso. Ma quando si tratta di Israele, ci sono “persone elette”. Non conoscevo i palestinesi personalmente. Ho letto libri di storia e ho visto che anche [il leader israeliano] Moshe Dayan ha detto che non c’era un solo insediamento ebraico che non si trovasse in precedenza in cima a un villaggio arabo. Mi oppongo alla segregazione razziale”.
Avete delle preoccupazioni o dei piani per il periodo in cui rimarrete in prigione? Einat: “Ho potuto parlare con Shahar Peretz, un obiettore di coscienza dell’anno scorso. È molto spaventoso vedermi portata via la libertà, ma credo nella mia decisione e, se questo è il prezzo, andrò fino alla fine”. Shahar: “Tutto quello che passerò è meno di quello che i palestinesi attraversano in tutta la loro vita. Vale la pena perdere temporaneamente la libertà per non essere parte di ulteriori gravi violazioni dei diritti umani”. Naveh: “Ho deciso di rifiutare all’inizio del mio primo anno al liceo. Ho avuto molto tempo per riflettere su questa decisione. Dopo tante pressioni e paure e conversazioni con altri obiettori di coscienza, in un certo senso è come se già sapessi cosa mi aspetta”.
Questo articolo è apparso per la prima volta in ebraico su Local Call. Versione originale in inglese da +972 Magazine Oren Ziv è un fotoreporter e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills. Traduzione di Nicole Santini – Invictapalestina.org
da: comune-info.net - 8 set. 2022