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Siria del Nord-Est: la democrazia femminile che il mondo si ostina a non voler vedere

I bombardamenti turchi di queste settimane non sono diretti contro tutti i movimenti curdi, ma contro la sinistra curda, che propone un modello di Medio Oriente agli antipodi rispetto a quello animato dal revival islamista propugnato da Erdoğan e dai suoi alleati in Kurdistan e altrove.

di DAVIDE GRASSO

# LE MALETESTE #

20 dic 2022

Poco si è detto, nelle settimane che hanno preceduto l'attacco contro il Centro culturale curdo Ahmet Kaya a Parigi, dei bombardamenti turchi su combattenti e civili in Iraq e in Siria.


La minaccia di un’invasione di terra dellAmministrazione siriana autonoma del nord-est (Aanes) costituita su iniziativa del Partito dell’unione democratica curdo (Pyd) è al momento sospesa a causa delle perplessità mostrate dalla Russia, che ha in quei territori truppe d’interposizione. Resta però, a causa della già dimostrata inaffidabilità di Mosca e degli Stati Uniti in quell’area, possibile da un momento all’altro. Difendere l’Aanes dal governo turco ha un significato che va oltre la difesa dei curdi come popolazione oppressa. Per capire perché, occorre prendere atto del carattere politico della rivoluzione promossa dalla sinistra curda.


I curdi sono quaranta milioni di persone distribuite su quattro paesi (Turchia, Iran, Siria e Iraq). Come ogni popolazione al mondo si dividono politicamente sulla base di interessi e valori.

Le due tendenze principali in tutte le regioni curde sono quelle della destra nazionalista, che vorrebbe costituire uno stato indipendente tradizionalista, conservatore e concentrato sul commercio di combustibili fossili e quella di una sinistra universalista che propone una confederazione tra autonomie regionali (curde e non) che non metta in discussione l’integrità territoriale degli stati esistenti.

La destra è rappresentata dal Partito democratico del Kurdistan (Pdk), legato a ricchi clan curdi iracheni, e ai suoi satelliti in Iran e Siria; la sinistra dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) in Turchia e Iraq, collegato a movimenti di analoga ispirazione ideologica in Siria e in Iran.


Il Pdk ha nel tempo guadagnato un certo controllo sul Kurdistan iracheno e stabilito relazioni strategiche con Stati Uniti, Turchia e Israele, arrivando a muovere guerra contro il Pkk per conto di Erdogan.

Il Pkk ha invece elaborato una teoria della democrazia e della liberazione delle donne nel XXI secolo che ispira il Pyd nella promozione dell’autogoverno nel Kurdistan siriano (Rojava).

Gli itinerari politici del Kurdistan iracheno e di quello siriano sono perciò diversi se non opposti, e analoghe differenze di prospettiva possono riscontrarsi tra i partiti curdo-iraniani impegnati nella mobilitazioni contro la repubblica islamica.

Per la destra curda l’islam (sunnita) resta un punto di riferimento, anche se mediato dalla tradizione sufi e concepito come norma di vita familiare più che pubblica.

Per il Pkk e il Pyd l’islam è invece una delle diverse eredità culturali cui attingere per costruire una modernità democratica.

Là dove non prevale l’ateismo conclamato tra i militanti, si apprezza uno straniante misticismo panteistico influenzato da reminiscenze di zoroastrismo, come suggerito dalla filosofia critica mesopotamica diffusa dall’imprigionato leader socialista Abdullah Öcalan.


I bombardamenti turchi di queste settimane non sono diretti contro tutti i movimenti curdi, ma contro la sinistra curda, che propone un modello di Medio oriente agli antipodi rispetto a quello animato dal revival islamista propugnato da Erdogan e dai suoi alleati in Kurdistan e altrove.

Un quarto della Siria, confinante con la Turchia, è soggetta a un autogoverno promosso dal Pyd e retto da Consigli legislativi, esecutivi e giudiziari che coordinano sette Regioni. Tre di queste (Cizire, Eufrate e Afrin-Sheeba) sono a preponderanza curda, ma le altre quattro (Raqqa, Tabqa, Manbij e Deir el-Zor) sono a maggioranza araba.

Il Pyd estende infatti il proprio progetto politico a chi è interessato ad attuarlo fuori dal Kurdistan, introducendo prospettive di ribellione alle strutture statali e tribali tradizionali tra i giovani e le donne di lingua assira o araba.


L’attività dei Consigli dell’Aanes è regolata da una legge fondamentale denominata Contratto sociale, risalente al 2016, oggi in fase di rielaborazione e suddivisa in un Preambolo e 83 articoli. L’architettura di questo testo organizza l’Amministrazione secondo due direttrici: incorporamento complessivo del dettato internazionale sui diritti umani e concezione pluralista dell’attivazione amministrativa. Quote di rappresentanza sono riconosciute per legge a tutte le componenti linguistiche e ai segmenti generazionali e di genere. Per le donne è stabilita la co-presidenza femminile e maschile di tutte le istituzioni, e una quota di genere (40%) nei consigli amministrativi e di autodifesa.


Queste caratteristiche dell’Aanes, inaudite – si badi – nel resto del pianeta (e quindi tutt’altro che volte a una “imitazione” dell’occidente), non sono che la punta dell’iceberg che anima l’idea confederalista alla base dell’esperimento. Essa concepisce infatti la democrazia come un fine, non come una realtà esistente o compiuta. Associa all’amministrazione degli affari correnti (comunque eccezionali in guerra) una parallela azione di trasformazione concreta della società.

Tale trasformazione è animata dall’idea che il capitalismo e il sistema degli stati-nazione, concepiti come parassitari ed escludenti, siano modelli gradualmente superabili.


La realtà confederale è figlia della rivoluzione siriana del 2011, ma ha un itinerario originalissimo che l’ha portata a scontarsi duramente con altre fazioni emerse da quel processo. Quando è esplosa la protesta contro Assad il Pyd ha convocato centinaia di assemblee popolari nelle comunità curde.

Queste assemblee si caratterizzarono per una forte politicità, escludendo in modo programmatico la destra curda tradizionale e quella araba islamista.

Questa politicizzazione fu denunciata come settaria da molti attivisti siriani, curdi e non, che ritenevano migliore idea mantenere un approccio ecumenico e cooperare sul territorio con i leader religiosi conservatori e con la Fratellanza musulmana sponsorizzata da Erdogan.

La scelta del Pyd apparve minoritaria e ottusa, invece mise i semi dell’unico itinerario vincente – democratico, secolare ed egualitario – nella tragedia siriana.


Le assemblee del Pyd elessero delegati per formare un Movimento della società democratica (Tev-Dem in curdo) che dichiarò la propria contrarietà all’incipiente guerra civile fomentata dalla Fratellanza su spinta turco-qatariota.

Un vasto sistema di Comuni e Consigli fu istituito a partire da queste assemblee per governare il territorio.

Le truppe statali abbandonarono il Rojava, che fu attaccato da gruppi islamisti, tra cui Daesh (Isis).

Le Comuni dovettero difendersi attraverso unità di protezione popolare (Ypg) e delle donne (Ypj) organizzate dal Pyd, e dichiararono l’autonomia delle nuove strutture amministrative nel 2014.

La guerra siriana non può quindi essere compresa se non come conflitto tra tre attori: potere oligarchico (il regime), rivoluzione teocratica (Fratelli musulmani e gruppi jihadisti) e rivoluzione democratico-confederale (il Tev-Dem e l’Amministrazione autonoma). È guerra tra un regime e due opposizioni tra loro nemiche, che si combattono in nome di inconciliabili visioni future del Medio oriente e della Siria.


Le invasioni turche di questi anni sono andate in supporto dei gruppi jihadisti perché potessero sottrarre territori all’Aanes, trasformandoli in staterelli islamici. Sono giunte quando le forze di autodifesa che difendono l’Aanes sono riuscite a sconfiggere l’Isis, allargando l’amministrazione a vaste regioni arabe.


La reazione turca ha indebolito la rivoluzione ma non l’ha spezzata.


Le Comuni continuano a svilupparsi nell’Aanes, nelle aree curde più che in quelle arabe. Si tratta di micro-istituzioni rionali o di villaggio che, riunite in assemblea plenaria, eleggono co-presidenti e svariate commissioni: economica, educativa, di autodifesa, sanitaria, giudiziaria, ecc. Queste ultime si riuniscono ogni settimana attivandosi per avviare cooperative, assistenza sanitaria, attività didattiche, unità civili di controllo del territorio. Le commissioni giudiziarie promuovono arbitrati informali tra individui o famiglie per risolvere contrasti e offrire riparazioni di lieve entità ai torti subiti. Poiché non ogni questione economica, giudiziaria o sanitaria può trovare soluzione a livello microscopico, tuttavia, la Comune delega altri rappresentanti di entrambi i sessi per Consigli “cittadini”, “distrettuali” e “regionali”.

Il coordinamento concreto di questo sistema è reso possibile dai militanti del Tev-Dem e del Pyd che si muovono sul territorio per affiancare con le loro competenze e il loro entusiasmo il processo di trasformazione.


Quest’ultimo consiste nell’attivazione sociale della popolazione, ma si accompagna a due riforme fondamentali: quella economico-ecologica e quella di genere.


Sul piano economico il Pyd rigetta l’idea di una trasformazione del lavoro e dell’impresa attraverso programmi uniformi, applicati manu militari su un intero territorio. Ritiene anzi che quel modello abbia contribuito in modo determinante al declino del socialismo novecentesco.

La soluzione attuata è avviare iniziative all’interno dell’economia preesistente, promuovendo una competizione tra vecchio e nuovo.

Se le iniziative economico-ecologiche offriranno vantaggi e benefici effettivi, sarà la popolazione ad aderirvi gradualmente, dimostrando nei fatti – e con il consenso – una vittoria rivoluzionaria che nessuna astrazione riguardante una “necessità storica” potrebbe mai garantire.


Non dobbiamo confondere queste cooperative con quelle cui siamo abituati nelle democrazie liberali. Si tratta di iniziative regolate da un contesto giuridico definito da chi le promuove, e non vincolate alle leggi di uno stato preesistente.

Esse godono della protezione dei Consigli, e sono semmai le imprese tradizionali a dover sottostare ad alcuni vincoli, come stabilito dal Contratto sociale, là dove la loro attività giustifichi preoccupazioni in materia di eccessivo sfruttamento del lavoro o del territorio.

Nelle centinaia di cooperative promosse dal Tev-dem – costituite ora da decine, ora da migliaia di soci e lavoratori – il lavoro manuale è pagato (leggermente) meglio di quello intellettuale e quello usurante dà diritto a quote di reddito più alte.

La differenziazione agronomica è perseguita e una parte del capitale non è reinvestito (né tassato), bensì donato alla Comune di riferimento, che deve farne un uso schiettamente comunistico: chi ha bisogno di aiuto potrà beneficiarne previa decisione della commissione economica.


Molte cooperative sono interamente femminili, cosa non scontata in una regione dove le donne sono spesso escluse dal lavoro extra-domestico e dalla possibilità di una paga autonoma.

Le cooperative femminili non sono però legate alle Comuni ordinarie. Le donne partecipano a queste ma, fin dall’inizio, hanno ritenuto utile costituire anche assemblee autonome, dotate di una propria progettualità a tutti i livelli e inaccessibili ai maschi.

L’idea, suggerita dalle militanti del Pyd alle abitanti di quartieri e villaggi, è che donne e uomini debbano cooperare al cambiamento in amicizia, ma che dopo cinquemila anni di patriarcato sia prudente predisporre assemblee, iniziative economiche ed educative, e persino organi militari, autonomi per le donne.


Questa aperta insubordinazione femminile ha provocato una forte opposizione sociale alla rivoluzione, ancor più da quando il Congresso delle Comuni femminili, durante la battaglia di Kobane del 2014, ha di fatto imposto ai Consigli legislativi del Rojava di promulgare una “Legge delle donne” in 30 articoli volta a superare millenni di storia patriarcale e volumi interi di presunte verità rivelate.

Il provvedimento dichiara il matrimonio materia civile (è regolato in Siria dalla legge religiosa), parifica il diritto al divorzio, abolisce la poligamia, il delitto d’onore e il matrimonio con minori (tollerati dal diritto statale siriano) e stabilisce come paritaria la quota di eredità per figlie e figli (secondo la sharia le figlie devono ricevere la metà dei maschi).

Si aggiunga che ogni denuncia di violenza domestica vede l’intervento autonomo delle guardie femminili (Asaysha Jin) e, in ogni materia giudiziaria riguardante le donne, sono le Comuni femminili che – riunite nelle Case delle donne (Mala Jin) – indagano sull’accaduto e prendono decisioni.


I gruppi jihadisti sostenuti dai bombardamenti turchi interpretano, con la loro lotta armata fuori e dentro l’Aanes, i desideri di quanti, nei territori confederali, non possono tollerare questo genere di cambiamento.

L’applicazione della Legge delle donne è obbligatoria nelle regioni a maggioranza curda, dove maggiore è la penetrazione storica dell’ideologia del Pyd, mentre è suggerita nelle quattro regioni a maggioranza araba, dove maggiore è l’opposizione (con la parziale eccezione della città di Raqqa, dove un nuovo movimento femminile è forte).

Nel 2021 il Congresso delle donne ha stilato una codificazione complessiva del diritto di famiglia riformato per favorire la penetrazione sociale di queste norme, ma la legge è ferma al Consiglio legislativo a causa della minaccia di alcuni influenti clan di ribellarsi e sostenere l’azione turca se essa sarà approvata. Manifestazioni di protesta, inoltre, hanno avuto come bersaglio l’idea di introdurre nelle scuole una nuova scienza chiamata Jineolojî (scienza delle donne).


I bombardamenti turchi, e in generale le politiche di guerra, se analizzati nel loro contesto rivelano l’esistenza di vicende sociali sorprendenti.

Talvolta crediamo che gli eventi geopolitici siano dovuti a dinamiche esclusivamente decise ai vertici e irrelate con i rapporti microscopici nella società.

La rivoluzione e la guerra sono invece, oggi come ieri, definite dai grandi capitali tecnologico-finanziari non meno che dai sogni, dai progetti e dalla rabbia degli esseri umani che vivono su questa terra.

La conoscenza dei conflitti sociali e di genere allora illumina la ratio dei conflitti imperiali, non l’inverso.

La bellezza dei progetti politici di eguaglianza e concordia si scontra con la difesa violenta delle diseguaglianze – provoca discordia.

Generata dal desiderio di cambiare, questa discordia è tuttavia irrinunciabile, necessaria. Difendere l’Aanes ha a che fare con questo. È prendersi cura di un’opzione di mondo nuova, che dobbiamo aiutare a nascere.



DAVIDE GRASSO

da: micromegaedizioni.net - 15 dic. 2022

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