2 dicembre 1968, Avola (provincia di Siracusa)
Sul posto furono trovati quasi tre chili di bossoli
La lotta intrapresa dai lavoratori agricoli della provincia di Siracusa il 24 novembre 1968, a cui partecipano i braccianti di Avola, rivendicava l’aumento della paga giornaliera, l’eliminazione delle differenze salariali e di orario fra le due zone nelle quali era divisa la provincia, l’introduzione di una normativa atta a garantire il rispetto dei contratti, l’avvio delle commissioni paritetiche di controllo, strappate con la lotta nel 1966 ma mai messe in funzione.
Gli agrari rifiutano di trattare sull’orario e le commissioni.
Lo sciopero prosegue.
Il prefetto di Siracusa convoca di nuovo le parti, ma per due volte gli agrari non si presentano. La tensione sale. I braccianti effettuano blocchi stradali caricati dalla polizia.
Il 2 dicembre Avola partecipa in massa allo sciopero generale. I braccianti iniziano dalla notte i blocchi stradali sulla statale per Noto, gli operai sono al loro fianco. Nella mattinata arrivano donne e bambini. Intorno alle 14 il vicequestore di Siracusa, Samperisi, ordina al reparto Celere giunto da Catania di attaccare. La polizia lancia lacrimogeni, ma per effetto del vento il fumo gli torna contro. Divenuti bersaglio di una fitta sassaiola, i militi sparano sulla folla. I manifestanti pensano siano colpi a salve, finché non vedono i loro compagni cadere. Il bilancio è di due braccianti morti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, e 48 feriti, di cui 5 gravi: Salvatore Agostino, detto Sebastiano, Giuseppe Buscemi, Giorgio Garofalo, Paolo Caldaretta, Antonino Gianò.
Sul posto furono trovati quasi tre chili di bossoli. Verso mezzanotte il ministro dell’Interno Restivo convoca una riunione fra agrari e sindacalisti, che dura fino al giorno dopo. Il contratto viene firmato, le richieste dei braccianti sono state accolte.
Testimonianza di chi era presente alla strage: Angelo Minnino 52 anni bracciante
“Quel maledetto 2 Dicembre 1968 mi trovavo infreddolito come tutti gli altri compagni, per la notte passata a presidiare le barricate sulla strada…… la polizia già nei giorni passati si era dimostrata assai agguerrita, le cariche si ripetevano, noi rispondevamo con il lancio di pietre, ad un tratto i fucili che prima sparavano in aria furono puntati ad altezza d’uomo …la vista delle fiammate che fuoriuscivano dalle canne dei fucili spianati, a prima vista non ci intimorì, già altre volte la polizia ci aveva sparato addosso a salve… quando i compagni che ci stavano accanto cominciarono a cadere in terra colpiti, il panico ci prese tutti, ci fu qualcuno che tentò una reazione rabbiosa, ma la violenza della polizia non si arrestava …alla fine 2 di noi Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia furono uccisi, e tanti altri compagni rimasero feriti.”
Testimonianza di Michele Palermo 55 anni lavoratore Edile (ai tempi dei fatti soldato di leva a Siracusa).
Il 2 Dicembre 1968 provenendo da Rosolini mio paese natale, mi dirigevo verso Siracusa per tornare in caserma dopo una breve licenza; erano circa le sei del mattino, quando a Chiusa di Carlo fui bloccato dai manifestanti. Chiesi di poter passare, mostrai la tessera militare per dimostrare che ero un soldato di leva, e che avevo urgenza di arrivare a Siracusa in caserma. I contadini, pur stanchi e infreddoliti per la notte passata a presidiare le barricate, ascoltarono le mie ragioni, e mi consentirono di passare (……..)Arrivato in caserma trovai un subbuglio generale, era arrivato l’ordine di mobilitazione e di partire subito… destinazione Chiusa di Carlo.Il mio pensiero volò a quei contadini che poche ore prima, si erano preoccupati di non farmi arrivare tardi in caserma …ed ora io mi preparavo per andare contro di loro.Il tragitto sul camion durò quasi un ora, tenendo il fucile stretto tra le gambe non riuscivo a capire se tremavo per il freddo o…per la paura.Arrivati a destinazione, (a distanza di circa 1 km. dal blocco) i camion si fermarono, e ci comandarono di presidiare un tratto di strada, rimanendo in attesa …di cosa ???? Questo era il nostro pensiero che ci accompagnò sino al ritorno in caserma dopo qualche ora. In lontananza si sentivano gli echi della manifestazione, qualche sparo …una, due, tre raffiche di mitra, urla grida…!La sera stessa ci arrivarono in caserma gli echi di ciò che era accaduto nel pomeriggio a Chiusa di Carlo. In camerata si discuteva animatamente, chi aveva un parente un amico di Avola si disperava al pensiero che potesse essere uno dei morti o dei feriti… il mio pensiero era invece per l’umanità che avevo assaporato quella mattina… e ricordando i visi di quei contadini mi struggevo all’idea che forse ora erano morti."
Il contesto storico-sociale-politico.
Alla fine degli anni Sessanta la società rurale siciliana era caratterizzata da forti squilibri sociali e da un pesante sfruttamento dei lavoratori agricoli. La consistente divisione delle terre effettuata grazie alla riforma agraria, approvata nel 1950 dopo una dura lotta appoggiata da sindacati e partiti della sinistra, non aveva infatti risolto la situazione di contadini e braccianti. È vero che il provvedimento aveva in parte spezzato i gruppi di potere economico e politico provocando la fuga dalle campagne della grande proprietà assenteista e latifondista e avviando una trasformazione dell’agricoltura in senso imprenditoriale e capitalista.
A giovarne erano stati però prevalentemente enti statali, parastatali, speculatori privati. Per diventare proprietarie dei fondi loro assegnati dopo l’esproprio, le famiglie dovevano pagare per trent’anni una rata mensile, che in alcuni casi si rivelò troppo onerosa.
Crebbe così il divario fra imprese capitalistiche e piccole aziende e in molte aree crebbe il degrado.L’applicazione della riforma prima, l’ottenimento di aumenti salariali e la riduzione dell’orario di lavoro poi, furono gli obiettivi delle battaglie che proseguirono negli anni Cinquanta e Sessanta, un periodo di profonde trasformazioni nelle campagne meridionali caratterizzato, tra l’altro, da interventi statali in agricoltura e iniziative per lo sviluppo della meccanizzazione, ma soprattutto dalla massiccia emigrazione verso le industrie del nord, un esodo di massa che ridusse drasticamente il proletariato agricolo. Nel ’68-69 le masse meridionali parteciparono alla più generale rivolta in atto in tutto il paese, che coinvolse fabbriche, scuole, campagne culminando con l’autunno caldo del 1969.
Partita su obiettivi specifici, mise poi alla luce contraddizioni più generali, ponendo la necessità di creare nuovi rapporti di produzione anche nelle campagne, non più basati sulle discriminazioni di classe. Nel sud si chiedevano in particolare, oltre ad aumenti salariali, la revisione delle norme del collocamento – l’eliminazione della figura del caporale e dell’ingaggio della manodopera in piazza – e l’abolizione delle “gabbie salariali”, in virtù delle quali un lavoratore con la stessa qualifica al nord guadagnava di più che al sud. I lavoratori ottennero risultati importanti anche se non risolutivi, quali la riforma del collocamento e lo Statuto dei lavoratori. Negli anni Settanta il notevole calo degli occupati nell’agricoltura relegò in secondo piano la questione bracciantile.
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