Palma (brigante della Sila):"Io sugnu amicu de li poverelli"
Inoltre era protetto dall’omertà dei poveri, verso i quali era di una generosità senza pari; si dichiarava protettore della povera gente
STRAFACE DOMENICO
nasce a Longobucco il 16/8/1831 da Maria Straface.
Dopo una vita inizialmente tranquilla -frequenza delle prime classi elementari, lavoro come bracciante, matrimonio con Teresa Pirillo “Guerra” e nascita di un figlio, Francesco Leonardo, nel 1858″– lo Straface si diede a scorrere la campagna nell’inverno del 1859 assieme a Domenico De Simone e Giuseppe Morrone ” Campanotto ”. Ad indurlo a ciò fu, così come per altri briganti, l’insofferenza verso i soprusi e i privilegi dei nobili latifondisti dell’epoca, che soggiogavano la massa dei contadini, tenendoli nell’ignoranza e nell’estrema indigenza.
Verso la fine del 1861 molti contadini, rimasti delusi dall’esperienza garibaldina, dalla cattiva ripartizione dei terreni demaniali e dalle usurpazioni operate da parte dei nobili, si aggregarono alle comitive brigantesche già esistenti, le quali ripresero vigore sotto la guida di capi abili e decisi quali Domenico Straface, detto “Palma”. La sua carriera di brigante è appena all’inizio e crescerà parallelamente alla storia dello stesso brigantaggio calabrese.
Eccezione fra i briganti, Palma sa leggere e scrivere, e si diletta anche a fare delle poesie popolari in cui trasfonde il suo rimpianto per la vita tranquilla e la consapevolezza del suo stato infelice. Più volte respinge gli illusi che vanno da lui per essere aggregati nella sua banda, consigliandoli a condurre vita onesta piuttosto che quella dolorosissima del brigante.
Devoto alla Madonna del Carmine, portava fra la camicia e il petto ” l’ abitino, ” effige della madonna su stoffa, come amuleto contro le sventure; alla sera si univa in preghiera con il resto della banda per recitare il rosario. ” Il suo forte erano i proclami e ne faceva affiggere su tutte le cantonate, minacciando pene contro chi non gli obbediva e firmandosi ” Il Re della montagna.”
Palma non eccedette in fatti di sangue, fu inesorabile solamente contro le spie e i traditori; puniva severamente quei briganti che si avvilivano a tartassare i poveri pastori o contadini. Fu un brigante assolutamente diverso dagli altri, incarnò la figura dell’eroe romantico: generoso coi poveri, spietato contro i prepotenti e le spie, in parole povere, “il Robin Hood” della Calabria.
La banda del Palma fu irregolarmente composta di 10 o 12 persone; di volta in volta venivano colmati i vuoti dovuti a perdite in conflitti a fuoco; le sue imprese furono numerose, ma alcune degne di essere ricordate, come quella che portò al sequestro del pretore di Strongoli, Diodato Marrajeni. Altri ricatti famosi furono quelli di Ottavio Pirelli e di Pietro Fonsi, avvenuti nel 1866 nei pressi di Paludi; era inafferrabile, anche perché era conoscitore perfetto di ogni anfratto della montagna silana, sapeva spostarsi con straordinario intuito strategico e con rapidità diabolica da un luogo all’altro, ed ancora più prodigiosa era la sua capacità di sfuggire agli agguati delle forze militari. Inoltre era protetto dall’omertà dei poveri, verso i quali era di una generosità senza pari; si dichiarava protettore della povera gente
" Egli era un uomo di bassa statura, ma tarchiato e ben forte sulle gambe. Il suo volto abbronzato aveva la caratteristica di un tipo niente affatto volgare; il lampo dei suoi occhi lo dimostrava furbo, audace, impetuoso; il sorriso che errava di frequente sulle labbra lo diceva di buon umore e contento di se stesso. Aveva la mania di vestire riccamente e quindi portava un cappello di feltro di forma conica, ornato di nastri di velluto nero; indossava una giubba color cannella con bottoni d’oro massiccio, e un ampio mantello di panno nero soleva portare artisticamente gettato sulle spalle; le gambe portava coperte di calzettoni di lana, sovrapposte di scarpe, che erano finissime ed eleganti. Le sue armi erano di gran valore: la carabina Lefaucheux a doppia canna aveva finimenti d’argento, il revolver era con l’impugnatura di avorio; e lo stile con una lama di damasco aveva l’impugnatura finemente cesellata ".
Nel 1863 venne arrestata sua moglie ed il figlio di 5 anni, perché ritenuti corrispondenti dei briganti, e Palma, in risposta, propose il taglione di duemila ducati a favore di chi avrebbe ucciso il Pietro Fumel, colonnello inviato in Calabria dai Savoia per 'domare' il brigantaggio (la repressione attuata da Fumel fu spietata, usando i metodi più estremi per eliminare i briganti, ricorrendo alla tortura e al terrore: «Io sottoscritto, avendo avuto la missione di distruggere il brigantaggio, prometto una ricompensa di cento lire per ogni brigante, vivo o morto, che mi sarà portato. Questa ricompensa sarà data ad ogni brigante che ucciderà un suo camerata; gli sarà inoltre risparmiata la vita. Coloro che in onta degli ordini, dessero rifugio o qualunque altro mezzo di sussistenza o di aiuto ai briganti, o vedendoli o conoscendo il luogo ove si trovano nascosti, non ne informassero le truppe e la civile e militare autorità, verranno immediatamente fucilati. Tutte le capanne di campagna che non sono abitate dovranno essere, nello spazio di tre giorni, scoperchiate e i loro ingressi murati. È proibito di trasportare pane o altra specie di provvigione oltre le abitazioni dei Comuni, e chiunque disubbidirà a questo ordine sarà considerato come complice dei briganti»).
Palma e la sua banda furono braccati in tutte le maniere e in ogni luogo dai Carabinieri, dalla Guardia Nazionale e soprattutto dai bersaglieri. La sua banda andò sempre più assottigliandosi, alcuni componenti furono uccisi, altri catturati; in breve tempo, venne isolato anche da parte dei manutengoli, conniventi e fiancheggiatori, che egli aveva generosamente arricchito.
Il 12 luglio 1869, Palma venne alla fine sorpreso nel bosco di Macchia Sacra da un gruppo di carabinieri, che erano sulle sue tracce guidati da un certo Pietro Librandi, guardiano del barone Guzzolino, rimasto attratto dalla taglia di diecimila lire che pendeva sulla testa del brigante.
Palma si dette alla fuga ma Librandi gli sparò riuscendo a ferirlo; benché sanguinante, il brigante riuscì a ripararsi in un fosso poi, all'alba, un carabiniere lo finì.
Com'era d'uso in quel periodo nelle montagne calabresi, Palma venne decapitato dal barbiere di Macchia Sacra e la sua testa consegnata al colonnello Mìlon per essere esposta al pubblico.