Agli Stati Uniti in realtà non importa diffondere la democrazia. Il disegno è colonialista e ottocentesco
di CAITLIN JOHNSTONE e ALESSANDRO ROBECCHI
Agli Stati Uniti in realtà non importa diffondere la democrazia
di Caitlin Johnstone
2 febbraio 2025
Il senatore guerrafondaio Tom Cotton ha rilasciato un interessante commento durante le udienze di conferma di Tulsi Gabbard l'altro giorno, riconoscendo la verità per lo più inespressa: al governo degli Stati Uniti importa meno se le nazioni con cui collabora siano libere e democratiche, interessa tanto di più se servano bene gli interessi degli Stati Uniti.
"In un mondo decaduto, dobbiamo prendere i nostri amici dove li troviamo", ha detto Cotton . "Non c'è dubbio, le democrazie stabili creano gli amici più stabili, ma ciò che conta alla fine è meno se un paese è democratico o non democratico, e più se il paese è pro-americano o anti-americano".
"Confesso che queste opinioni potrebbero essere un po' anticonvenzionali, ma basta guardare dove ci ha portato il pensiero convenzionale", ha aggiunto Cotton.
Lungi dall'essere anticonformista, il senatore dell'Arkansas sta semplicemente affermando ad alta voce la consueta ortodossia di politica estera che tutti i mostri del capitale condividono ma tendono a tenere per sé.
Non capita spesso di sentire un manager dell'impero statunitense ammettere apertamente di interessarsi solo all'egemonia planetaria e che tutta la sua strategia di diffondere libertà e democrazia è una farsa. Dieci volte su dieci sceglieranno un dittatore amico degli Stati Uniti anziché un leader sovrano eletto democraticamente.
Ecco qualcosa da tenere a mente la prossima volta che i guerrafondai americani inizieranno a chiedere a gran voce un ulteriore intervento per un cambio di regime in un paese di valore strategico, per liberare il suo popolo dalla tirannia.
Alcuni casi?
Trump ha continuato a spingere affinché Giordania ed Egitto accolgano i palestinesi per facilitare la pulizia etnica di Gaza, ed è irremovibile sul fatto che entrambe le nazioni alla fine accetteranno le sue richieste. Il presidente ha detto alla stampa giovedì che nonostante il rifiuto di Giordania ed Egitto dei piani di Trump , "Lo faranno. Lo faranno. Lo faranno, okay? Noi facciamo molto per loro, e loro lo faranno".
L'amministrazione Trump incontra molti ostacoli nel tentativo di far passare questo programma, ma sembra convinta che riuscirà a portare a termine questo crimine.
Biden che distrugge Gaza e poi Trump che lavora per ripulirla etnicamente è un classico caso di combinazione jab-cross che Democratici e Repubblicani impiegano per promuovere i programmi dell'impero. Non si limitano a fare cose malvagie, ma preparano l'altra parte a infliggere nuovi mali.
Stiamo anche ricevendo segnalazioni secondo cui Trump avrebbe intenzione di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria. In realtà credo che questa volta accadrà, a differenza delle chiacchiere vuote di Trump durante il suo precedente mandato, perché ora il lavoro è fatto.
L'occupazione militare illegale degli Stati Uniti è riuscita a privare la Siria del suo petrolio e del suo grano , mantenendola impoverita e indebolita in modo che il suo governo potesse essere rovesciato. L'hanno fatto . Ora possono andarsene.
I sostenitori di Israele hanno espresso online la loro gioia per l'invio in fretta e furia delle ruspe D9 da parte dell'amministrazione Trump in Israele, le cui spedizioni sarebbero state ritardate dall'amministrazione Biden.
La dice lunga il fatto che i bulldozer svolgano un ruolo così importante nell'esercito israeliano. L'avete mai notato? Si sente parlare dei bulldozer dell'IDF a Gaza tanto spesso quanto si sente parlare di carri armati e droni. Altri eserciti impiegano i bulldozer per vari scopi, ma non è una caratteristica importante della loro macchina da guerra e in genere non ci si pensa quasi mai. Per l'IDF è una delle loro armi principali, perché il loro obiettivo militare primario è demolire una civiltà indesiderata.
fonte: caitlinjohnstone.co.au - 2 feb. 2025
Donald Real Estate. Gaza, il dramma trasformato in un affare immobiliare
di Alessandro Robecchi
29 Gennaio 2025
Le immagini della marcia dei palestinesi di Gaza che, a piedi, carichi di fagotti, tornano verso case che non ci sono più, dopo aver perso tutto, oltre cinquantamila morti, il settanta per cento dei quali donne e bambini, senza più ospedali, scuole, moschee, affamati, senza niente, hanno riempito televisori e prime pagine, proprio nel giorno della memoria. Davanti a quelle immagini, la frase-monito-preghiera “Mai più” che dovrebbe essere il vero slogan-significato del giorno della memoria si scioglieva malamente, con un odore acre e schifoso.
Poi, sono arrivate le parole di Donald Trump, il capocantiere del mondo: insomma, lì bisogna ricostruire, quelli che ci vivono sono un ostacolo, fermano lo sviluppo, la ristrutturazione (a cura e a vantaggio di chi ha raso al suolo tutto, ovviamente), quindi bisogna che si spostino. Vadano in Egitto, in Giordania, insomma, deportazione di massa (deportation è una parola di moda, per Donald). E lì ci facciamo tante villette e alberghi di lusso, che c’è pure una bella spiaggia, è un peccato che ci viva un popolo, non sarebbe meglio metterci dei coloni sionisti e tanti turisti garruli e felici?
Sulla sostanza politica della proposta Trump – fatta un po’ senza parere, come si parla della lettiera del gatto, o di imbiancare il salotto – non c’è molto da dire: spostare quasi due milioni di persone dalla loro patria a un esilio forzato in un altro Paese sarebbe la più grande pulizia etnica mai vista, non solo in questo secolo, un crimine di guerra conclamato. Senza contare che almeno due terzi dei palestinesi di Gaza hanno per padri e nonni altri palestinesi deportati e cacciati dalla loro terra durante la Nakba (Catastrofe) del 1948, il che – a proposito di giorni della memoria – denoterebbe una certa smemoratezza.
C’è però qualcosa che va al di là della sostanza politica di una proposta criminale che butterebbe benzina su un incendio, ed è la noncuranza, direi tra il cinico e il commerciale, con cui un signore molto ricco e molto potente vorrebbe gestire le sorti del mondo, le vite di milioni di persone, le loro discendenze. Non una cosa nuova, per l’Impero, certo, ma qui si nota un senso di veloce operatività: via di lì, che intralci, rallenti i lavori, ostacoli gli affari (si intende: i nostri affari).
Oltre all’allineamento con la destra più oltranzista e genocida di Israele, c’è un elemento culturale che sgomenta forse ancora di più. Ed è quello di trasformare una quasi secolare tragedia in una faccenda di Real Estate, un’operazione geopolitico-immobiliare, cosa peraltro non nuova per gli Stati Uniti, che per costruire le loro città, verso Ovest, sterminarono e deportarono i popoli nativi dalle loro terre.
Il salto spaventoso, dunque, è che una cosa che potrebbe dire il signor Gino al bar dopo tre o quattro bicchieri (“Vabbè, che si spostino!”) la dica il capo della prima (seconda?) potenza mondiale, con il suo codazzo di Stati-yes-men, miliardari al seguito, potenze economiche e commerciali.
Insomma, il disegno non è più nemmeno imperialista, non è nemmeno più novecentesco, ma apertamente colonialista e ottocentesco: se un popolo vive nella sua terra e a noi serve quella terra, beh, prendiamocela, e loro vadano a vivere altrove.
Il mondo come un grande terreno edificabile, l’ordine di sfratto come ovvia conseguenza, le ferocia del colonialismo e la ferocia dei soldi, uniti nella lotta del più forte contro il più debole. Segniamocelo, per il prossimo giorno della memoria, quando, commossi, diremo “Mai più”.
fonte: alessandrorobecchi.it - 29 gen. 2025