ALESSANDRO ROBECCHI. Privato è bello. Il verbo smantellare significa solo fare la guerra ai poveri
Il trucco è noto: piano piano si ostacola ciò che è pubblico, gli si taglia l’erba sotto i piedi, lo si fa operare male, gli si crea una brutta nomea e poi – quando finalmente non funziona più – si invoca l’intervento del privato come un toccasana.
di Alessandro Robecchi
mercoledì, 27 Novembre 2024
Se c’è una parola felice, che avanza in ogni dove sul pianeta e miete vittime, è il verbo “smantellare”. Rimbalza ovunque, più o meno rivendicata: dall’Italia all’Argentina, all’America trump-muskiana è tutto uno smantellare, ridurre, cancellare, limare. Tutto ciò che è pubblico viene smantellato – potremmo anche dire martellato – con gran cagnara e applausi dei cosiddetti liberisti, che non sanno più cosa liberare, ma lo “liberano” lo stesso.
Giorgia Meloni che riceve in dono dal signor Milei la statuetta di lui medesimo con la sega circolare in mano e la mostra divertita nelle fotografie ufficiali, rappresenta una specie di accettazione del gioco: massì, sembra goliardia, una spiritosaggine, e del resto qui assistemmo a veri orgasmi e ovazioni quando il presidente argentino urlava come un invasato “afuera!”: via, via tutto. Istruzione, sanità, sicurezza, assistenza, welfare, tutti settori in cui si ostina a considerare fondamentale la presenza dello Stato, e invece no, che sia il mercato a decidere o meglio – obiettivo e conseguenza – chi ha i soldi pensi per sé e gli altri si fottano. Un’ideologia molto precisa, che storicamente si fa risalire a due iatture antiche, Ronald Reagan e Margareth Thatcher, e che poi ha preso a scivolare su un piano sempre più inclinato.
Le metafore si sprecano, persino esagerate, come quella della nuova ministra dell’istruzione americana, Linda McMahon, che in decine di video prende allegramente a calci nei coglioni i campioni del wrestling, grande finanziatrice di Trump, promossa per i soldi che ha versato e soprattutto per la volontà di smantellare il suo dipartimento. Cioè: il mandato per la scuola pubblica è distruggere la scuola pubblica, o quel che ne rimane. Che non è diverso da quel che vuol fare Milei quando chiama il ministero dell’Istruzione argentino “Indotrinamiento” e grida “Afuera!”. Che è poi lo stesso che vediamo qui, con qualche prudenza in più, ma nemmeno tanta, quando si disinveste sulla scuola pubblica (stipendi infami, docenti che mancano, cattedre ballerine) e si promettono finanziamenti alle scuole private.
Il trucco è noto: piano piano si ostacola ciò che è pubblico, gli si taglia l’erba sotto i piedi, lo si fa operare male, gli si crea una brutta nomea e poi – quando finalmente non funziona più – si invoca l’intervento del privato come un toccasana. Lo vediamo ogni giorno con la sanità italiana, non c’è bisogno di esempi eclatanti, anche se è vero che in altre parti del mondo i lavori sono più avanzati. L’incarico all’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, di svuotare il bilancio statale americano con una spaventosa spending review che smantellerebbe il poco di pubblico che rimane laggiù è illuminante.
E del resto, perché stupirsi se allo stesso privato viene appaltata la corsa allo spazio, il sistema di comunicazioni satellitari, persino certi segreti militari che una volta lo Stato si teneva stretti stretti?
Può apparire una discreta contraddizione che proprio mentre tornano di moda nazionalismi e sovranismi vari si smantellino sempre più velocemente e violentemente i poteri dei vari stati nazionali con una cessione di potere – di affari e potere – ai privati. Ma forse non è così. Anzi si precisa sempre più che la competizione non è tra Stati – bandiere, divise, confini, cose così – ma tra componenti della società: chi ha e chi non ha, chi può pagare e chi non può, che è una dimensione globale di guerra ai poveri, cioè agli sfigati che producono ricchezza ma non ne godono, non se lo meritano, afuera!
Fonte: alessandrorobecchi.it - 27 nov. 2024