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FEMMINICIDI E FASCISTI. Come si cerca di riscrivere la storia delle violenze contro le donne

Tre articoli.

La Russa, il tricolore sulla panchina rossa e il potere dei maschi caro alla destra


di Nadia Somma

22 novembre 2024


La destra ha l’ossessione di appropriarsi delle battaglie femministe e vuole imporre la propria narrazione. Dobbiamo prendere coscienza che è in atto una strategia con la quale il governo intende sovrascrivere l’analisi femminista della violenza maschile appropriandosi di contenuti, svuotandoli di significato o distorcendoli con una costante manipolazione.


Dopo le dichiarazioni di Giuseppe Valditara, ministro della Pubblica Istruzione che ha attribuito all’immigrazione illegale l’aumento delle violenze sessuali, in assenza di un qualsivoglia dato, proprio nel giorno in cui si presentava alla Camera la Fondazione Cecchettin, in memoria di una ragazza trucidata da un bravo ragazzo bianco, è la volta di Ignazio La Russa.


Il presidente del Senato, il 21 novembre, durante l’inaugurazione nel Giardino degli aranci di Palazzo Madama, ha sollevato il drappo rosso spiegando che ha voluto fortemente aggiungere una sbarra tricolore alla panchina rossa perché, a suo dire, il problema riguarda tutta la nazione.


Apparentemente fare di un problema una questione che riguarda tutte e tutti, sembrerebbe una cosa positiva. Già. Lo vuole il movimento delle donne da anni ma che cosa c’entra il tricolore? Qual è il messaggio sottinteso se non identificare con la nazionalità italiana, un simbolo contro la violenza alle donne? Trasformando una lotta politica in una competizione tra squadre: quella di chi nasce con la nazionalità italiana contro altre nazionalità. Annalisa Cuzzocrea, nel suo podcast DayTime, ha definito sovranista la panchina tricolore di Ignazio La Russa e ha detto che sembra di essere ripiombati nelle cartoline dell’Italia fascista: “Difendila, potrebbe essere tua nipote, tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia. L’uomo nero che violenta la donna bianca, manifesto del 1944. È lì il pericolo, è lì che vi stiamo proteggendo donne. Spedendo qualcuno in Albania quando è il momento giusto”.


Il manifesto sulla difesa della donna bianca ovvero della “razza” venne riproposto nel 2017 da Forza Nuova che la pubblicò sulla propria pagina Facebook. Con scarsa memoria storica o forse con l’intento preciso di volerla cancellare. La destra rimuove uno degli stupri che segnò la storia italiana, commesso da Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira e che portò alla morte Rosaria Lopez e al quale Donatella Colasanti sopravvisse. Gli stupratori erano rampolli della borghesia romana, bianchi, eterosessuali e fascisti. All’epoca, il movimento delle donne mise in luce la dimensione culturale e sociale della violenza sessuale, strumento di perpetuazione di dominazione e disciplinamento degli uomini sulle donne.


Edoardo Albinati, nel bellissimo libro L’educazione cattolica, ha messo in luce come a quei giovani uomini fossero stati somministrati i semi della violenza attraverso la legittimazione della sopraffazione e il controllo dei corpi. I nostalgici di quella cultura non hanno nessuna intenzione di mettere in discussione gerarchie di potere sulle donne o su altri soggetti ritenuti inferiori. Non percepiscono lo stupro come crimine contro le donne ma come un’offesa alla italiana virilità e riconducono il problema ad una questione di potere tra maschi. Nello stesso tempo connotare il femminicidio come un crimine di matrice straniera è funzionale alle politiche antimmigrazione e a negare l’origine patriarcale della violenza, trasversale ad ogni classe sociale e ad ogni confine geografico.


Sono trentun anni che ascolto le donne e gli autori di violenza che siano italiani, svedesi, americani, brasiliani, rumeni, cinesi, mettono in atto nei confronti delle loro compagne gli stessi abusi, con le stesse parole. Nessuna differenza.


Siamo di fronte ad una precisa strategia: dobbiamo opporci alla manipolazione del governo e alla sua strumentalizzazione dei corpi delle donne come fossero un campo di battaglia tra distinte fazioni. Che tengano le loro mani lontane dalle donne e anche dalla panchine rosse. Chissà, di anno in anno, le sbarre tricolori potrebbero aumentare fino a far dimenticare qual era il colore originale ma soprattutto il motivo per cui erano state realizzate.


 


Violenza sulle donne e immigrazione illegale, quella di Valditara è una visione del tutto distorta


di Laura Onofri

20 novembre 2024


Quello che ha dichiarato il ministro Valditara alla presentazione della Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin alla Camera ha del paradossale, ma non stupisce perché anche sul tema della violenza contro le donne la destra ha una visione assolutamente distorta da quella che è la realtà e la usa strumentalmente per fomentare paure, ignorando volutamente i dati e gli esperti di psicologia sociale che da anni ci indicano quali sono le cause di questo fenomeno.


Due sono i passaggi che più hanno innescato reazioni critiche e riprovazione e che di certo non ci si aspetta siano pronunciati dal ministro dell’Istruzione. Queste le esatte parole di Giuseppe Valditara: “Abbiamo di fronte due strade – ha detto il ministro riferendosi alle soluzioni contro la violenza sulle donne -, una concreta, ispirata ai valori costituzionali e un’altra ideologica. La visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”.


Questa affermazione è grave perché ridurre, quella che ormai tutta la letteratura in materia indica come causa sistemica e strutturale della violenza contro le donne e cioè il patriarcato, a semplice visione ideologica, significa non aver capito che la violenza contro le donne deriva da un’asimmetria di potere che in un sistema sociale prevede che gli uomini lo detengano ancora in tutti gli ambiti. Significa non aver capito che la violenza contro le donne si sconfigge cercando di decostruire gli stereotipi legati al genere e i pregiudizi sessisti che sono alla base di quella asimmetria e che confinano donne e uomini in ruoli tradizionali, limitandone quindi lo sviluppo personale, educativo e professionale e le opportunità di vita in generale. Significa forse non aver mai letto la Convenzione di Istanbul, che è legge dello Stato, che sancisce che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne e che il patriarcato e i rapporti di potere degli uomini sulle donne si manifestano al loro massimo livello proprio con la violenza e ne sono quindi la causa e l’effetto.


Affermare, come ha fatto il ministro che “il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia, la famiglia fondata sull’eguaglianza” significa non aver capito che il problema è culturale e non giuridico perché il patriarcato non si elimina con un colpo di penna cancellando norme e imponendo un’eguaglianza e una parità solo formali. Il patriarcato si elimina costruendo una società realmente paritaria in ogni aspetto e in ogni ambito e non paternalista. Le donne non hanno bisogno di nessuno che le protegga, hanno invece bisogno che i principi di autonomia e autodeterminazione non rimangano sulla carta ma siano concretamente realizzati.


L’altro passaggio è quello più strumentale ed è un classico del repertorio della destra. Infatti il titolare dell’Istruzione ha completato la sua analisi sul fenomeno della violenza aggiungendo che: “Non si può far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza in qualche modo discendenti dalla immigrazione illegale”. Una retorica xenofoba, ripresa anche dalla Presidente del Consiglio, che, come ormai succede sistematicamente, butta lì delle frasi che fomentano paure verso l’altro, verso il diverso, verso chi arriva nel nostro Paese non su comodi jet ma sui barconi. Una retorica non supportata dai dati che anzi ci dicono altro.


Un primo dato è che il 78% dei femminicidi sono commessi da italiani legati alla vittima da un rapporto affettivo. Ma anche analizzando il fenomeno delle violenze sessuali, a cui si riferisce il ministro, si capisce che forse sia Valditara che Meloni dovrebbero essere più attenti ai numeri.


Secondo l’ultimo report della Direzione centrale della polizia criminale (riportato da Mattia Feltri su La Stampa), non si sarebbe verificato negli ultimi anni un reale aumento delle violenze sessuali, come invece sembra aver ipotizzato il ministro. Nel 2022 sono infatti aumentate del 9%, ma nel 2023 sono scese del 12%.. La percentuale dei casi di violenze sessuali commesse da stranieri è invece rimasta sostanzialmente invariata: infatti nel 2021 era il 27% del totale e si è assestata al 28% nel 2022 e nel 2023.

Queste percentuali comprendono sia stranieri regolari che immigrati illegalmente nel nostro Paese, perché non ci sono dati ufficiali a questo riguardo. Però mettendo in relazione i dati delle violenze sessuali, che sono stabili, con la presenza di immigrati clandestini e riscontrando che il numero di questi ultimi è calato progressivamente negli anni (nel 2023 erano circa 450 mila, 506 mila nel 2022, 519 mila nel 2021 e 706 mila nel 2006) si può affermare che non esiste correlazione fra le violenze sessuali e l’immigrazione clandestina.


Queste affermazioni stridono enormemente anche rispetto al contesto in cui sono state pronunciate: la presentazione della Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin e fortemente voluta dal padre e dalla sorella Elena che dal primo momento ha affermato che il femminicidio è un delitto di potere e che quelli che vengono definiti “mostri”, mostri non sono, non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro.


Anche ieri Elena, dopo le parole del ministro, ha pubblicato questo messaggio su Instagram: “Forse, se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e ‘per bene’, si ascoltasse non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro paese ogni anno”.

È chiedere troppo che su questi femminicidi, su queste morti, su queste violenze non si faccia propaganda?


 


La cultura dello stupro non è arrivata coi barconi: la maggior parte delle violenze avviene in casa


di Nadia Somma

19 novembre 2024


Ogni volta che si cerca di sminuire l’analisi femminista della violenza maschile contro le donne, viene spesa una parolina magica, “ideologia”, per confutare dati, elementi storici e sociologici, studi e ricerche. Secondo le misurazioni dell’Istat, il 31,5% delle donne è stata vittima di una qualche forma di violenza fisica o sessuale, e il 21% delle donne ha subito violenza sessuale. Il fenomeno è trasversale, ha matrice culturale e non conosce barriere sociali.


Eppure ieri, il ministro Giuseppe Valditara, durante la presentazione della Fondazione Cecchettin alla Camera dei Deputati, ha negato, durante un intervento videoregistrato, la componente culturale nel femminicidio ed ha tacciato questa analisi come frutto di un’ideologia.


“Il patriarcato – ha dichiarato il ministro Valditara – è stato abolito giuridicamente nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia” eppure ogni giorno, tocchiamo con mano, che le leggi non sono formule magiche col potere di trasformare immediatamente una società. Il nuovo diritto di famiglia come l’abolizione nel 1981, del delitto d’onore o del matrimonio riparatore (quello che estingueva il reato di stupro in caso di matrimonio tra aggressore e vittima) non hanno affatto eliminato contenuti culturali millenari che ancora oggi mantengono vive aspettative sul ruolo delle donne nella società e nelle relazioni; le discriminazioni e i pregiudizi di stampo sessista purtroppo condizionano ancora la vita di milioni di donne e agevolano la manifestazione di violenze.


Come spiegare al ministro Valditara l’elemento culturale della violenza sessista se non con degli esempi? Quando Matteo Salvini, nel 2016, portò sul palco una bambola-sex toys presentandola come Laura Boldrini per divertire i suoi elettori, dileggiò la terza carica dello Stato riducendola ad una funzione sessuale. Lo fece perché Boldrini era una donna. In diverse occasioni, deputati, senatori, consiglieri regionali o sindaci hanno augurato stupri ad avversarie politiche. Ricordo al ministro Valditara che la violenza delle parole fa parte della violenza simbolica e quelli che cito sono fatti avvenuti in tempi recenti e non 50 anni fa, nell’Italia che precedette la riforma del diritto di famiglia.


Tra i candidati alle elezioni regionali umbre, recentemente concluse, c’era anche Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, noto per atteggiamenti viriloidi e per aver recentemente ironizzato sulla scarsa intelligenza delle donne rispondendo ad una interlocutrice su Instagram “Che tristezza una donna che non capisce niente. Strano ma vero”. Poco più di un anno fa, sempre il sindaco di Terni, spiegò il femminicidio con queste parole: “Se non tradisci una donna, non sei normale e prima o poi l’ammazzi”. Il centrodestra, area politica di appartenenza del ministro Valditara, lo ha premiato candidandolo alle elezioni regionali.


L’indagine Istat condotta nel 2023 ha rilevato la persistenza di stereotipi sessisti nelle giovani generazioni, la Piramide dell’Odio che misura il linguaggio violento sui social, ci dice che le donne sono i bersagli principiali di sessismo e discorsi d’odio mentre la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia, ben 7 volte, per aver negato protezione a donne vittime di violenza a causa di pregiudizi che persistono nella società italiana e persino nei tribunali.


Che la violenza contro le donne sia il prodotto di una cultura machista ancorata al patriarcato non è una invenzione del femminismo, tantomeno di Elena Cecchettin che un anno fa, denunciò la matrice culturale del femminicidio della sorella. Ed è un peccato che il ministro della Pubblica istruzione, in una sorta di mansplaining governativo, non abbia rispettato il punto di vista dei familiari di Giulia che hanno creato la fondazione per contrastare quella cultura.


Ma l’aspetto più discutibile dell’intervento del ministro, è stata la strumentalizzazione della violenza contro le donne in chiave antimmigrazione quando ha detto: “Deve essere chiaro, ad ogni nuovo venuto e a tutti coloro che vivono con noi, la portata della nostra Costituzione che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni sessuali è legato anche a forme di marginalizzazione e devianza discendenti da una immigrazione illegale”. La cultura dello stupro come arma di prevaricazione delle donne non è arrivata in Italia sui barconi e speculare sulla violenza sessuale per portare acqua al mulino dell’allarme per l’immigrazione irregolare, peraltro in calo da anni, è l’ennesima offesa che si possa fare alle vittime di violenza.


La realtà va letta, appunto, senza ideologie o strumentalizzazioni politiche. Non ci sono dati sugli stupri commessi da “immigrati irregolari”. Ed è scorretto affermare che lo stupro sia in aumento o in diminuzione basandosi solo sulle denunce che svelano una minima parte del fenomeno. Persiste un sommerso che riguarda circa l’85% degli stupri. I Centri antiviolenza sanno che una donna denuncia con maggiore difficoltà un amico, un datore di lavoro o il partner. La stragrande maggioranza delle violenze sessuali, checché ne dica il ministro Valditara, avvengono in famiglia e non negli angoli bui delle strade.


E’ vero che il 27% delle violenze sessuali denunciate (dati del Ministero degli Interni del 2022) riguardano uomini stranieri che rappresentano una parte minoritaria della popolazione ma nel sommerso non denunciato ci sono mariti, amanti, datori di lavoro, e tanti , tanti “bravi ragazzi”.


Il MeToo svelò quanto fossero diffuse le violenze e le molestie sessuali. I processi per stupro hanno visto sul banco degli imputati anche calciatori e brillanti imprenditori e quando ciò è accaduto, le vittime hanno dovuto subire a livello sociale o sulla stampa, una feroce vittimizzazione. E può anche capitare che una condanna per abusi sessuali, nel civilissimo mondo occidentale, non arrechi alcun disturbo al cursus honorum di un miliardario che si candida a presidente. E’ accaduto negli Usa, con Donald Trump. Ci rifletta, ministro Valditara.


Fonte: ilfattoquotidiano.it 19/20/22 nov. 2024

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