LOREDANA LIPPERINI. Il riordino digitale, il mandare a memoria e la solitudine
Succede anche nei social, come ho provato a scrivere tante volte: siamo in contatto con centinaia, migliaia, decine di migliaia di persone, teoricamente, ma nei fatti la solitudine aumenta.
di LOREDANA LIPPERINI
di Loredana Lipperini
15 - 16 aprile 2024
Sul New York Times, Ezra Klein racconta di aver “ucciso” il suo account gmail dopo vent’anni: cosa si fa quando si ha un milione di messaggi non letti nella casella di posta? Capita.
Ricordo un pomeriggio con Michela Murgia, dieci anni fa: eravamo a Firenze per presentare “L’ho uccisa perché l’amavo”, io sarei ripartita, lei no, e mi stavo riposando nella sua camera d’albergo quando ho sbirciato il suo computer e ho esclamato “Michi, hai cinquecento mail non lette!”. “Per forza: come sopravvivo, altrimenti?”, mi disse.
Ora, essendo una fissata col senso del dovere (e di colpa), continuo a leggere tutto. Solo da un anno o due ho cominciato a non rispondere sempre, con il risultato che chi non ha ottenuto risposta (e si tratta nella maggior parte dei casi di richieste di lettura o recensione) mi riscrive, e tutto diventa più complicato. Ma, pur non avendo messaggi non letti, mi ritrovo in quel che dice Klein: è diventato più difficile trovare quel che invece ti serve. “Gli algoritmi di Google avevano iniziato a deludermi. Quello che loro pensavano fosse una priorità, e quello che io pensavo fosse una priorità, divergevano”.
Non è solo una questione di algoritmi, credo: è una questione di memoria, e non ha troppo a che fare solo con gmail: quando siamo in presenza di valanghe di informazioni, dimentichiamo quello che stavamo cercando, dimentichiamo quello che ci è utile.
Succede anche nei social, come ho provato a scrivere tante volte: siamo in contatto con centinaia, migliaia, decine di migliaia di persone, teoricamente, ma nei fatti la solitudine aumenta. Perché, e ancora una volta ha ragione Klein, “la vicinanza richiede tempo”.
"La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente l'estensione e la natura di questo cambiamento". (Jean-Paul Sartre, La nausea)
Non è facile per niente, in questo tempo.
Un po' a corollario, facendo una ricerca su Facebook, per lavoro, mi sono capitati molti profili anche di amicizie, cosiddette, social. E sono rimasta colpita da quanto frequente sia la tristezza, quanto siano accorate ed esplicite, in diversi casi, le richieste di aiuto, così dirette da lasciare chi legge impotente.
E' vero che ci illudiamo di essere in una comunità e non lo siamo. Stiamo, semmai, diventando più soli. Non sto dicendo niente di nuovo, me ne rendo conto. E “non è bene che l’uomo sia solo” viene, se non ricordo male, dalla Genesi. Però.
Però c’è qualcosa di inedito, nei nostri tempi. Qualcosa che bisogna capire, prima che scenda la nebbia. Fu, come al solito, uno scrittore di fantascienza a dirlo. Philip K. Dick, in “La penultima verità”:
“Una nebbia può penetrare dall’esterno e impossessarsi di te; può invaderti. Alla lunga e alta finestra della sua biblioteca (una regale struttura costruita con i frammenti di cemento che un tempo, in un’altra epoca, formavano una rampa d’accesso della Bayshore Freeway), Joseph Adams rifletteva mentre guardava la nebbia, quella del Pacifico. E siccome era sera e sul mondo stava scendendo il buio, quella nebbia lo spaventava quanto l’altra, quella nebbia interiore che non invadeva ma si estendeva e si rimescolava riempiendo ogni parte vuota del suo corpo. Quasi sempre, a quest’ultima nebbia si dava il nome di solitudine.”
da: https://www.facebook.com/loredana.lipperini - 15 - 16 aprile 2024