
LOREDANA LIPPERINI. Negli USA, in un anno, 600mila donne hanno abbandonato il lavoro. Israele apre la caccia alle streghe dentro l'ONU, una vecchia storia. 2 articoli

1) La grande uscita delle donne USA dal lavoro. Riguarda gli Stati Uniti e basta? Macché. La noncuranza identica al pericolo. 2) Il rappresentante israeliano all'ONU definisce Francesca Albanese "una strega fallita" - LOREDANA LIPPERINI
LA GRANDE USCITA DELLE DONNE USA DAL LAVORO E LA NONCURANZA IDENTICA AL PERICOLO
30 ottobre 2025
C’è sempre, nelle fiabe, qualcuno che rimane indietro per narrare. Non solo il bambino zoppo del Pifferaio di Hamelin, ma il giovane Werferth che viene lasciato nella foresta mentre gli altri amici e sodali vanno incontro alla morte nella battaglia di Maldon, così come la immaginò Borges: “Werferth li vide perdersi nella penombra del giorno e del fogliame, ma le sue labbra stavano già modulando un verso”.
Perché bisogna starci dentro per raccontare, e raccontare non significa disperdere le parole nelle tifoserie. Significa guardare e capire e ascoltare. Sperando che serva, se serve, e credo che infine serva. Di certo, è il momento di farlo.
Per esempio. Leggevo ieri sera sulla newsletter del Corriere della Sera che molte donne statunitensi stanno lasciando il lavoro. Scrive la sempre brava Elena Tebano:
“Almeno 455 mila hanno smesso di lavorare fuori casa solo tra gennaio e agosto di quest’anno, secondo i dati dell’Ufficio di statistica del lavoro americano (che attualmente non vengono più aggiornati, a causa della chiusura del governo americano). Il dato è ancora più alto nel confronto con l’anno scorso: 600 mila donne in meno che lavorano.
La Cnn la chiama «She-cession», un gioco di parole tra recessione e «lei» («She», in inglese). Un rapporto della società di consulenza Kpmg parla di «Grande Uscita». Si tratta di una svolta significativa, che inverte una tendenza quasi secolare”.
Per chi, come me, in occasione della morte di Diane Keaton, ha riguardato Baby boom, si tratta di un fenomeno inimmaginabile ai tempi (era il 1987). E c’è un motivo: da due anni, sono le donne con figli piccoli a lasciare, mentre, nello stesso periodo, gli uomini con figli piccoli lavorano di più. Perché?
Perché “l’assistenza all’infanzia in America è diventata molto più cara” e lo smart working si è ridotto. Inoltre: sono finiti i fondi per l’assistenza all’infanzia dopo la pandemia; le politiche di Trump contro l’immigrazione hanno creato mancanza di personale (un quinto degli operatori sono immigrati); l’aumento dell’inflazione fa salire i costi e pannolini e alimenti per bambini sono soggetti a dazi. Nei fatti: i prezzi degli asili nido e scuole materne sono aumentati “a un ritmo doppio rispetto all’inflazione complessiva”. Quindi, il genitore che guadagna meno resta a casa. E sono le madri a guadagnare meno.
Inoltre ancora, ricorda Tebano: ”La tendenza a lasciare a casa la madre è acuita ancora di più dall’ideologia dell’amministrazione Trump. Come ha scritto Jessica Grose sul New York Times, quando il governo Trump parla di lavoro, parla praticamente solo di lavoratori uomini.
Non solo, l’amministrazione Trump ha tagliato i fondi del Women’s Bureau, l’agenzia del Dipartimento del Lavoro che sostiene il lavoro delle donne, definendola «un ufficio politico inefficace che è un relitto del passato» (…)
La giornalista dell’American Conservative Helen Andrews, in un discorso alla National Conservatism conference diventato virale, ha persino sostenuto che l’ingresso delle donne nel lavoro in settori tradizionalmente maschili sia la vera minaccia alla civiltà occidentale e la radice di quella che la destra Maga americana ritiene l’origine di tutti i mali, la «wokeness». «La “wokeness” non è una nuova ideologia, una conseguenza del marxismo o il risultato della disillusione post-Obama. Si tratta semplicemente di modelli di comportamento femminili applicati a istituzioni in cui fino a poco tempo fa le donne erano poche» scrive Andrews”.
Riguarda gli Stati Uniti e basta? Macché. In questi giorni mi inviano video di tizi italianissimi che dicono la stessa cosa: le donne tornassero a fare le donne, il femminismo è tossico (seguono varie declinazioni, alcune a opera di garbati, si fa per dire, comici televisivi che si fingono giornalisti), in soldoni è ora di dire basta.
Ce ne stiamo rendendo conto, spero, e spero anche nella consapevolezza che la faccenda sarà lunga, e che magari invece di legnarsi a vicenda bisognerebbe lavorare su questo.
Tanto per rinfrescarci la memoria. Nelle prime pagine de “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood , Difred sbircia nello specchio del corridoio, si vede riflessa:
“Se giro la testa, così che le bianche alette che m’incorniciano il volto dirigano il mio sguardo da quella parte, lo vedo mentre scendo le scale, tondo, convesso, uno specchio che è come l’occhio di un pesce, e con dentro me, un’ombra deformata, una parodia di qualcosa, una figura da fiaba in un mantello rosso, che si avvia verso un momento di noncuranza che è identica al pericolo. Una suora inzuppata nel sangue”.
Un momento di noncuranza identica al pericolo. Frase perfetta. E’ esattamente quello che stiamo attraversando, con la differenza che davanti allo specchio noi ci fermiamo, ne siamo anzi ipnotizzati, e a forza di concentrarci sulla nostra immagine non riusciamo a vedere altro.
E forse è quel momento di noncuranza identica al pericolo, quello in cui ci siamo soffermati a sbirciare lo specchio, che ci ha incatenato, da molti anni, che ci ha immobilizzato sulle scale, fermi a osservare la nostra immagine, e adesso ricominciare il cammino è più difficile.
(Non impossibile, però)
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CACCIA ALLE STREGHE: UNA VECCHIA STORIA
31 ottobre 2025
“Signora Albanese, lei è una strega. Questo rapporto è un’altra pagina del suo libro degli incantesimi. Ogni accusa è un incantesimo che non funziona, perché lei è una strega fallita” (il rappresentante dello Stato di Israele, Danny Danon, alla presentazione all’Onu del rapporto di Francesca Albanese “Genocidio a Gaza: un crimine collettivo”).
Sapendo che è inutile, sarebbe interessante che il signor Danon leggesse Carlo Ginzburg. In particolare, I Benandanti, stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento e Storia Notturna. Una decifrazione del Sabba. Dove si dimostra che i cacciatori di streghe vivevano nella stessa eresia che condannavano (libri che consiglierei, nel nostro piccolissimo, anche a Simone Pillon, che otto anni fa presentò un’interrogazione parlamentare contro la stregoneria nelle scuole).
Sapendo che è inutile, sarebbe interessante che il signor Danon leggesse due testi di Silvia Federici. Intanto, Calibano e la strega di Silvia Federici:
“Con la barbarie dei roghi, con l’instaurazione di un vero e proprio regime del terrore, si sono erette attorno ai corpi delle donne barriere più impenetrabili di quelle che negli stessi anni recingevano le terre comunali. La caccia alle streghe […ha] distrutto i metodi che le donne possedevano per controllare la procreazione, denunciandoli come strumenti diabolici e istituzionalizzando il controllo dello stato sul corpo femminile, condizione necessaria del suo assoggettamento alla riproduzione della forza-lavoro”.
E, sempre di Federici, Caccia alle streghe, guerra alle donne:
“La strega fu la comunista e la terrorista della sua epoca — un’epoca che necessitava di una spinta ‘civilizzatrice’ per produrre una nuova ‘soggettività’ funzionale alla disciplina del lavoro capitalista… La posta in gioco era distruggere non solo i corpi delle streghe, ma un intero universo di relazioni che erano alla base del potere sociale delle donne, nonché un vasto patrimonio di conoscenze trasmesse di madre in figlia attraverso le generazioni.” (…). “Stiamo assistendo a un’escalation di violenza contro le donne… perché la ‘globalizzazione’ è un processo di ricolonizzazione politica il cui scopo è fornire al Capitale un controllo incontestato sulle ricchezze naturali del mondo e sul lavoro umano, e questo obiettivo non può essere ottenuto senza attaccare le donne, che sono direttamente responsabili della riproduzione della loro comunità […] Non importa chi siano gli esecutori materiali: solo gli Stati e le potenti agenzie internazionali possono dare il via libera a una tale devastazione garantendo che i colpevoli non vengano mai esposti alla giustizia.”
Certo, non serve, perché anche se codesto signore leggesse, non avrebbe alcuna voglia di capire. Bollare una donna come strega dà la misura della persona e della politica che rappresenta. E i risultati di quella politica sono in questo post di Paola Caridi, di cui riporto le parole finali:
“Chi grida alla libertà di espressione, alla libertà tout-court deve – cioè, è suo preciso dovere – riconoscere che quello che succede a Gaza è talmente oltre la nostra misura di accettazione da configurarsi come il nostro genocidio. Nostro tanto quanto israeliano. Lo stiamo compiendo noi, perché non abbiamo fatto niente per fermarlo e le modalità con le quali stiamo intervenendo si configurano come un tentativo di derubricarlo, nasconderlo sotto il tappeto. Dimenticarlo, in una parola. E invece tutto ciò di cui parliamo, discettiamo, discutiamo in Italia non ha più alcuna rilevanza se non pone Gaza al cuore, e non solo al centro. Al cuore del nostro modo di abitare il mondo.”
Non abbiamo molto altro, noi che viviamo di parole, se non le parole stesse. Ma almeno usiamole. Come ha fatto ieri Arundhati Roy, come dovremmo fare tutti. Anche insorgendo chi osa ancora usare la parola “strega”.
Fonte: LIPPERATURA.IT - 30 e 31 ottobre 2025