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MARCO BERSANI / ALESSANDRO VOLPI. La corsa sul cavallo morto. Europa "presentat'arm"!

Se ci chiedete di andare in piazza per sostenere chi vuole stanziare 800 miliardi per il riarmo, sappiate che diserteremo. Così, per iniziare ad allenarci.

La corsa sul cavallo morto


di Marco Bersani

05 Marzo 2025


Dice un proverbio degli indiani Dakota: “Quando il cavallo è morto, la cosa più intelligente da fare è scendere”. Quello che invece viene normalmente fatto è aumentare a dismisura le frustate affinché il cavallo riparta.


Credo sia questa la cifra che ha spinto Michele Serra, autore satirico che questa volta si è incredibilmente preso sul serio, a chiamare una piazza per l’Europa, una piazza “emotiva” che esprima “l’orgoglio europeo”.


Naturalmente, decine di fantine e di fantini sono immediatamente balzate a cavallo e, dimenticando la saggezza Dakota, hanno iniziato a incitarlo e a spingerlo. Una farsa, se non fossimo immersi nella tragedia.


Nell’immaginario collettivo, l’Unione europea è nata su tre valori fondanti: pace, giustizia sociale, democrazia. Ovviamente, si è sempre trattato di un immaginario intriso di cultura coloniale, perché il benessere dell’Europa era intimamente legato all’espropriazione e allo sfruttamento del sud del mondo.

Tuttavia, dopo due devastanti guerre mondiali, l’idea che i Paesi europei si associassero per bandire la guerra, per costruire un welfare che garantisse una serie di diritti sociali e per farlo in un contesto di democrazia, per quanto spesso formale più che sostanziale, aveva coinvolto milioni di persone dentro la speranza di un futuro più dignitoso. Che ne è stato di quelle promesse?


L’Europa della pace aveva già perso gran parte della sua ragion d’essere il 24 marzo 1999, quando il governo D’Alema si fece parte attiva dei bombardamenti sulla Serbia, nel contesto del conflitto nell’ex-Jugoslavia. Ma oggi quella ragion d’essere si è trasformata nel suo esatto contrario. Oggi l’Unione europea chiede ai popoli che la compongono di immaginare il proprio futuro interamente permeato dalla dimensione della guerra. Vuole trasformare l’intera economia in un’economia di guerra e l’intera società in una società in guerra.


Dove si situa, caro Michele e cara scuderia di fantine e fantini annessi, l’orgoglio europeo, dentro un contesto che ha fatto perdere qualsiasi aspirazione diplomatica europea nella subalternità totale agli interessi Usa e Nato, i quali – grazie al coup de theatre del tycoon Trump – oggi ne scaricano tutti i costi sul continente europeo? Dove si situa l’orgoglio europeo, dentro un contesto che ha fatto naufragare qualsiasi dimensione mediterranea nella complicità col genocidio del popolo palestinese?


L’Europa della giustizia sociale ha iniziato a naufragare già nel 1992 quando si è deciso, con il Trattato di Maastricht, di costituzionalizzare a livello europeo le politiche liberiste e di austerità, dentro un disegno di compressione totale di redditi e diritti per consegnare al mercato e ai grandi interessi finanziari l’intero campo dei beni comuni e dei servizi pubblici. E il definitivo naufragio è ormai avvenuto già dal 2015, sancito dalla ferocia con la quale è stata asfaltata la Grecia ribelle.


Dove si situa, caro Michele e cari cavalieri dell’Apocalisse, l’orgoglio europeo nell’aver fatto impoverire 95 milioni di persone (un quinto della popolazione europea), nell’aver costretto tutte le altre dentro un orizzonte di solitudine competitiva, nell’aver trasformato il Mediterraneo in un cimitero delle speranze?


L’Europa della democrazia è davanti agli occhi di tutti: un continente governato da un’oligarchia fondata sui grandi fondi finanziari e sulle grandi multinazionali, con istituzioni trasformate in maggiordomi in servizio permanente verso questi interessi, e pronte ad esercitare autoritarismo e repressione verso qualsivoglia dissenso o conflitto sociale.


Dove si situa, caro Michele e cari cavalieri del Drago, l’orgoglio europeo nell’aver permesso la rinascita e l’espansione di un’ondata nazionalista e fascista che oggi attraversa l’intero continente e in buona parte lo governa?


C’è un detto milanese che recita: “Ofelè fa el to mestè”. Letteralmente significa “Pasticciere fa' il tuo mestiere” e viene usata per ridimensionare gli intenti eccessivi che qualcuno possa esprimere.

Caro Michele, dicci che stai continuando a fare il tuo mestiere e che l’idea della manifestazione del 15 marzo per l’Europa era una tua nuova, folgorante boutade satirica. Perché se invece non lo è e se davvero chiedi di andare in piazza per sostenere chi sta stanziando 800 miliardi di euro per il riarmo, sappi che diserteremo. Così, per iniziare ad allenarci.


fonte: comune-info.net - 5 mar. 2025


 


Per sanità e istruzione non è possibile derogare alle ferree regole europee. Per le armi sì


di Alessandro Volpi

7 Marzo 2025


Il piano “ReArm Europe” dice che nessuna delle urgenze sociali ha un valore paragonabile a quello dell’industria bellica, tanto da consentire ai singoli Stati dell’Ue non solo di tenere fuori dal Patto di stabilità le spese militari ma di poter negoziare persino le somme attribuite per le politiche di Coesione o per altre finalità purché simili rinegoziazioni finiscano in armi. Una visione assurda e distruttiva. L’analisi di Alessandro Volpi


Il piano europeo “ReArm Europe” presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sul quale è stata trovata una sostanziale condivisione da parte degli Stati membri, è ancorato a una prospettiva totalmente bellicista.


Il piano infatti parte dalla prospettiva che  l’Europa stia per entrare in una sorta di Terza guerra mondiale contro la Russia e contro chi sosterrà Mosca, senza poter disporre di alcun aiuto americano; una costruzione di fantapolitica a cui mancano troppi elementi di realtà. Ma la politica del riarmo ha bisogno di una retorica della difesa da una possibile invasione russa dopo che gli Stati Uniti hanno sospeso gli aiuti all’Ucraina e implica un vero e proprio cambiamento di paradigma per cui gli europei devono destinare la gran parte della propria spesa pubblica e dei capitali privati al riarmo.


Le manifestazioni per la pace diventano rapidamente l’espressione di una visione dove essere armati diviene un obbligo, una sorta di dovere morale, e l’unico vero deterrente contro la guerra, secondo un modello storicamente devastante che ha generato soltanto drammatici conflitti.

La Russia è un nemico irriducibile con cui non si può negoziare se non dopo la sua sconfitta e dunque ogni spazio di mediazione, di confronto, di dialettica sparisce, sostituito dalla narrazione belluina del nemico. Il pragmatismo dei tanti “pacifisti armati” pare dimenticare del tutto che le guerre si evitano prima di tutto rimuovendo lo “spirito della guerra” come dominus delle relazioni internazionali.


Il paradosso però è che mentre ci armiamo dichiariamo esplicitamente di non voler mandare un solo soldato sul fronte, coltivando un fariseismo che è ormai il tratto tipico della fase attuale. Cosa che induce la Commissione europea a rimuovere i vincoli del Patto di stabilità soltanto per il riarmo, proprio perché si tratta di un imperativo categorico, ormai di matrice morale: se gli Stati aumenteranno almeno dell’1,5% del loro Pil la spesa per il riarmo, potranno farlo senza che quella spesa rientri nei vincoli del Patto.

In altre parole, non è possibile derogare alle ferree regole europee per la sanità, ormai in profonda crisi, per la spesa sociale, legata al crescente impoverimento, per l’istruzione, per la transizione ecologica, per la tutela del territorio, ma per le armi sì.


Alla luce del dovere morale di riarmarsi diventa superfluo il fatto che l’Europa abbia bisogno di maggiori risorse pubbliche per fronteggiare l’invecchiamento della popolazione, per l’istruzione di milioni di giovani legati ai grandi spostamenti di popolazione, alla trasformazione produttiva in termini sostenibili, alle profonde disuguaglianze.

Nessuna di queste esigenze strutturali ha un valore paragonabile a quello delle armi, tanto da consentire ai singoli Stati membri non solo di tenere fuori dal Patto le spese militari ma di poter negoziare persino le somme attribuite per le politiche di Coesione o per altre finalità purché simili rinegoziazioni finiscano in armi.


Nell’orizzonte del “ReArm Europe” compare, esplicito, l’invito a creare un mercato unico dei capitali e a favorire strategie di finanziarizzazione verso il settore delle armi, anche attraverso la Banca europea degli investimenti, così da facilitare la piena declinazione del capitalismo in termini bellici.


Il Piano è l’indicazione per i grandi fondi Usa -BlackRock, Vanguard e State Street- per quelli europei, tipo Amundi, e per le grandi banche di comprare i titoli dell’industria delle armi -peraltro ben specificata dal documento “difesa aerea e missilistica, sistemi di artiglieria, missili e munizioni, droni e sistemi anti-drone”- mettendo in secondo piano le altre forme di investimento, con la conseguenza di generare una vera e propria, colossale bolla speculativa.


Così le “manifestazioni pro-Europa” un risultato immediato lo stanno ottenendo ed è l’impennata dei titoli azionari delle principali imprese di armi europee in grado di registrare record e di riorganizzarsi rapidamente. Non è un caso che la Borsa tedesca sia trascinata da Rheinmetall, quella italiana da Leonardo, quella francese da Thales e quella inglese da Bae Systems.

Peraltro Rheinmetall e Leonardo hanno annunciato una joint venture e la loro forte crescita azionaria trascina con sé quella delle banche come Unicredit, che hanno legami stretti proprio con quel tipo di industrie. A rinfocolare simili aspettative si aggiunge al “ReArm Europe” la decisione della Commissione di indirizzare i fondi di vari programmi europei alla corsa agli armamenti mettendo insieme subito una dote di 144 miliardi di euro. A ciò possono contribuire le politiche della Bce che si è dichiaratamente espressa a favore del Piano di riarmo, con riduzione dei tassi al 2,65% e soprattutto con la chiara indicazione che il Pil, ora stimato per il 2025 a meno dell’1%, possa crescere solo con la riconversione armata. L’Europa è in guerra e vuole un’economia di guerra che distruggerà il sistema produttivo, violenterà i sistemi di welfare e coltiverà odi nazionalistici capaci di distruggere il senso di convivenza collettiva.


fonte: altreconomia.it - 7 mar. 2025

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