
ITALIA / Migranti/Lavoro. Sono emigrati 12 italiani su 100. Lo sfruttamento delle donne nel caporalato

2 ARTICOLI. Il rapporto annuale 2025 reso pubblico sull'emigrazione dall'Italia e quello sulla condizione di super-sfruttamento delle donne sotto il controllo del caporalato in Italia
Sono emigrati 12 italiani su 100: ecco dove vivono
Il Rapporto sugli italiani nel mondo: il flusso delle partenze riguarda soprattutto i giovani. Più 4,5% delle iscrizioni all'Aire in un anno
11 novembre 2025
Vent’ anni di emigrazione in costante aumento dall’Italia raccontati dal 2006 dalla Fondazione Migrantes nel Rim, prezioso Rapporto sugli Italiani nel Mondo.
L’edizione numero 20 è stata presentata oggi a Roma e ricorda che il flusso dal territorio nazionale prosegue inarrestabile dopo la pausa dovuta alla pandemia da Covid 19.
Il fenomeno coinvolge ormai il 12% degli italiani, ma si tratta di notizie scomode perché indagano le cause delle partenze e soprattutto in questo caso i migranti siamo noi, anche se preferiamo definirci più elegantemente expat, espatriati.
«L’estero è la ventunesima regione italiana - afferma il Rim -. Quello su cui non si riflette abbastanza è, però, quanto rapidamente i suoi residenti stanno crescendo e quanto altrettanto celermente variano le caratteristiche che la contraddistinguono».
Il flusso delle partenze riguarda soprattutto i giovani. Secondo il Rim, nell’ultimo anno l’Aire, l’Anagrafe dei cittadini Residenti oltre confine, ha contato oltre 278 mila iscrizioni (+4,5% in un anno), che diventano quasi 479mila in riferimento all’ultimo triennio (+8,1%).
Se invece si fa riferimento al 2006, le iscrizioni sono più che raddoppiate.
Rispetto a 20 anni fa la crescita della presenza in Italia di residenti stranieri è molto meno sostenuta. Soltanto nel 2019 il dato era per entrambi uguale (5,3 milioni) mentre oggi il numero dei connazionali all’estero supera di in milione quello degli stranieri in Italia.
In sintesi, al 1° gennaio 2025 gli iscritti all’Aire erano 6.412.752 milioni e rispetto ai soli residenti con cittadinanza italiana (53.511.751), 12 su 100 vivono fuori dei confini nazionali (11,9%).
Il 48,3% degli iscritti all’Aire è donna, la presenza delle connazionali all’estero cresce a un ritmo più sostenuto degli uomini.
Sono oltre 1,3 milioni (20,5%) gli anziani over 65, 858 mila sono, invece, i minorenni (14,9%).
Dove vivono? Il 53,8% degli iscritti all’Aire sta in Europa (oltre 3,4 milioni), il 41,1 in America (oltre 2,6 milioni di cui solo 490 mila nell’America del Nord). Le comunità più numerose nel mondo restano quella argentina (990 mila) e tedesca (849 mila).
Quasi 2,9 milioni (45,1%) di iscrizioni danno come luogo di origine il Mezzogiorno. Oltre 2,5 milioni (39,2%) riguardano, invece, il Nord Italia e un milione il Centro (15,7%). La Sicilia si conferma la regione con la comunità di residenti all’estero più numerosa (844 mila), seguita da Lombardia (690 mila) e Veneto (614 mila).
Il Rim si è sempre opposto alla definizione di fuga di cervelli. «Parlare di fuga dei cervelli non significa solo descrivere una migrazione, principalmente, giovanile, significa attribuire ad essa un significato preciso, con connotazioni drammatiche e identitarie per il Paese di partenza, associando al concetto di mobilità quello di perdita, strappo, trauma».
Dal 2014 al 2024, in media, su 5 giovani di 20-34 anni emigrati dal Mezzogiorno al Centro-Nord, circa due erano in possesso della laurea al momento del trasferimento (43,0%), altri due del diploma di scuola secondaria superiore (42,5%) e meno di un individuo su 5 (14,5%) possedeva la licenza media.
La perdita di giovani laureati nel periodo 2014-2024 riguarda tutte le regioni del Mezzogiorno. Altro aspetto poco noto, tra il 2014 e il 2023 sono stati oltre un milione e 576 mila gli stranieri divenuti italiani e l’incidenza dei naturalizzati sugli espatri è diventata sempre più rilevante. Negli ultimi due anni, infatti, circa un espatriato su cinque è un neo italiano e la grande maggioranza (l’890%) si dirige verso altri Paesi europei.
«Lo scopo del RIM era superare la disinformazione, - dicono gli autori, coordinati da Delfina Licata - far capire che non c’è frase più errata di quella che afferma che l’Italia si è trasformata da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. Piuttosto, l’Italia da sempre è Paese di emigrazione e oggi è Paese delle mobilità plurime in entrata e in uscita. Se oggi partono dall’Italia non solo cittadini italiani ma anche i cosiddetti nuovi italiani, mentre una parte dei migranti stranieri considera il nostro Paese una tappa provvisoria in attesa di approdare altrove, allora la vera sfida non è fermare la mobilità, ma chiederci come rendere l’Italia un luogo attrattivo».
Fonte: AVVENIRE (https://www.avvenire.it/attualita/sono-emigrati-12-italiani-su-100-ecco-dove-vivono_100771?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAc3J0YwZhcHBfaWQMMjU2MjgxMDQwNTU4AAEejx406tu-ubvyYHsXZzBafC-neuCI9CKt5CTKqEI3xcsyba4ogXqcnuoGD04_aem_U2bCIs42AfvqpPk5ssnatw) - 11 novembre 2025
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Come il caporalato per molte donne diventa “plurisfruttamento”
Le storie drammatiche e lo studio di Flai Cgil: quelle che lavorano irregolarmente nei campi hanno retribuzioni ancora più basse degli uomini e situazioni di continua ricattabilità
12 novembre 2025
«Venite in Italia, c’è lavoro in una fabbrica di cipolle, 9 euro l’ora, 1.200 euro al mese, affitto a 100 euro». Così avevano promesso ad alcune donne bulgare.
All’arrivo in Calabria, però, la realtà si è rivelata un incubo: non c’era alcuna fabbrica, nessuna paga oraria, nessun alloggio decente. Dormivano in una struttura turistica abbandonata, senza elettricità, tra pavimenti sporchi e coperte logore.
Ogni giorno venivano caricate su furgoni e portate nei campi. In due mesi di lavoro estenuante avevano ricevuto appena 90 euro. Nessun contratto. Solo minacce. Quando una di loro ha chiesto di essere pagata il mediatore che l’aveva portata in Calabria le ha suggerito di “concedersi” sessualmente al caporale per ricevere il salario pattuito. Si è rifiutata. Ed è fuggita. Alcuni conoscenti hanno consigliato di contattare l’anti-tratta che l’ha allontanata immediatamente dalla zona. L’intervento tempestivo ha permesso di rassicurarla e convincerla a denunciare.
Una storia che riassume le condizioni delle donne che lavorano in agricoltura, italiane e immigrate, 300mila quelle con contratto, il doppio quelle “in nero”, tutte comunque sfruttate, pagate quasi il 20% in meno dei braccianti maschi e vittime di ricatti sessuali. Una condizione di “plurisfruttamento” denunciata in “(Dis)uguali”, il nuovo Quaderno dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. Un documento che si apre col ricordo di Paola Clemente, la bracciante pugliese morta di fatica, di sfruttamento e diritti negati nelle campagne di Andria il 13 luglio 2015. Una morte che finalmente spinse il Parlamento ad approvare la legge 199 del 2016 detta “anticaporalato”. Un’ottima legge che ha permesso di colpire molti sfruttatori ma ancora inapplicata per la prevenzione. E la condizione delle donne lo conferma.
Le retribuzioni delle braccianti sono inferiori a quelle già molto basse degli uomini, il cui pro capite annuo è di circa 7.200 euro mentre quello delle donne è attorno a 5.400 euro. In particolare «le lavoratrici migranti sono sfruttate, mal retribuite, ricattate ed esposte a gravi abusi perché donne, perché straniere, perché prive dei documenti di soggiorno o necessitate a rinnovarli, perché povere, perché vittime di tratta, perché sole o, al contrario, perché madri/mogli investite di responsabilità familiari», sottolinea Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil.
Inoltre «se si ammalano, nessuno le cura. Se restano incinte, devono abortire segretamente, con gravi rischi per la salute».
Vivendo nelle baracche: in 4 ghetti su 10 tra quelli mappati è stata rilevata la presenza femminile, 1.868 donne su circa 11mila persone, il 17% che in alcuni insediamenti supera il 50%. Come e più dei maschi, sono costrette a lavorare tutti i giorni per oltre 10 ore, sempre in piedi o ricurve, a contatto con agenti chimici velenosi. Anche quando le contrattualizzano, i datori di lavoro dichiarano meno giornate di quelle svolte e, così, le pagano meno di quanto dovuto e, in parte, fuori busta.
Ne consegue che le lavoratrici restano escluse da molte misure di welfare, come il sussidio di disoccupazione agricola o la maternità, che sono riconosciute solo con un numero di giornate di lavoro regolare annue superiore a 51, requisito che spesso le donne non possono dimostrare.
E così, quando perdono il lavoro o se restano incinte, si ritrovano senza tutele e esposte a ricattabilità. Imprenditori agricoli e caporali si aspettano che in quanto donne siano più inclini alla sottomissione e che sopportino meglio le dure condizioni di lavoro.
A loro volta, anche familiari e mariti possono ricorrere al loro impiego nei campi, non tanto nella forma di lavoro a pieno titolo, ma in funzione strumentale, utile per accrescere le economie familiari, accelerare la realizzazione del progetto migratorio e ridurre le difficoltà nel rinnovo dei permessi di soggiorno. E non sono rari i casi in cui datori di lavoro, caporali e braccianti considerano un diritto l’accesso al corpo delle lavoratrici migranti, equiparandole a merci a loro disposizione.
Fonte: AVVENIRE (https://www.avvenire.it/attualita/come-il-caporalato-per-molte-donne-diventa-plurisfruttamento_100793) - 12 novembre 2025