Mimmo Lucano è innocente: le motivazioni della sentenza riabilitano il “modello Riace”
Nessuna prova di truffe né dell’esistenza di una associazione per delinquere, ma la certezza che la “mission” di Mimmo Lucano fosse “tesa a perseguire un modello di accoglienza integrata, ovvero non limitato al solo soddisfacimento dei bisogni primari”, bensì “finalizzato all’inserimento sociale dell’ospite di ciascun progetto”.
di STEFANO BAUDINO
di Stefano Baudino
13 aprile 2024
Nessuna prova di truffe né dell’esistenza di una associazione per delinquere, ma la certezza che la “mission” di Mimmo Lucano fosse “tesa a perseguire un modello di accoglienza integrata, ovvero non limitato al solo soddisfacimento dei bisogni primari”, bensì “finalizzato all’inserimento sociale dell’ospite di ciascun progetto”.
È questa l’essenza delle motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno illustrato la sentenza di secondo grado attraverso cui, lo scorso ottobre, è stata ribaltata la sentenza del Tribunale che aveva precedentemente condannato l’ex sindaco di Riace a 13 anni e due mesi di carcere per associazione a delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. In appello, a Lucano è stata inflitta solo una condanna a un anno e sei mesi con pena sospesa per abuso d’ufficio. Assolvendolo da tutti i reati più gravi per i quali era stato mandato a giudizio, la Corte ha riabilitato non solo la figura dell’ex sindaco, che secondo i giudici era “certo di poter alimentare una economia della speranza” il cui unico obiettivo era quello “di poter aiutare gli ultimi”, ma anche le intrinseche finalità del cosiddetto “Modello Riace”, finito alla sbarra con lui e i suoi coimputati.
Per i giudici di appello, a differenza di quanto era stato stabilito in primo grado, Mimmo Lucano non si sarebbe affatto avvantaggiato dal punto di vista patrimoniale attraverso la gestione dei migranti. “I dialoghi intercettati, in linea con gli accertamenti patrimoniali compiuti su Lucano Domenico suggeriscono di escludere che abbia orchestrato un vero e proprio ‘arrembaggio’ alle risorse pubbliche”, ha scritto la Corte all’interno delle motivazioni.
Secondo i giudici infatti, che Lucano mai avesse pensato di guadagnare sui rifugiati “è circostanza evidenziata in un ulteriore dialogo in cui egli stesso sottolineava come, proprio grazie al suo intervento, altre persone avessero cambiato approccio, ponendosi verso la tematica dell’accoglienza senza alcuna finalità predatoria”. Ricostruendo le accuse mosse dalla Procura e smontando l’idea che alla base del “modello Riace” ci fosse una associazione a delinquere e dunque una regia coordinata, i giudici di appello parlano espressamente di “condotte tra loro isolate difficilmente collocabili in un disegno unitario e anzi spesso frutto di iniziative tra loro scarsamente coordinate, se non confliggenti”. Infatti, “le reazioni ispettive, le prove per testi e financo le stesse conversazioni intercettate delineano un disordine amministrativo e contabile, ma anche l’assenza di un governo complessivo delle azioni, nonché l’inesorabile procedere delle associazioni in ordine sparso”.
Non vi è alcun dubbio, secondo la Corte, in merito ai reali intenti solidaristici di Lucano: “Sono indicatori meritevoli di considerazione la personalità dell’appellante (Lucano, ndr), il contesto in cui ha sempre operato, caratterizzato da un continuo afflusso di migranti, l’assoluta mancanza di qualsivoglia fine di profitto, l’indiscutibile intento solidaristico, gli sforzi per portare avanti la propria idea di accoglienza (nelle sue stesse parole, ‘Io devo avere uno sguardo più alto’)”, si legge nelle motivazioni.
Focalizzandosi sulle intercettazioni, inoltre, la Corte ha attestato forti criticità sul loro utilizzo. Infatti, “per alcune ipotesi di reato” il Tribunale di Locri “ha dato al fatto una diversa qualificazione giuridica, il che pone il problema” dell’utilizzabilità delle conversazioni “per reati non autonomamente intercettabili”. Esse non sarebbero quindi state utilizzabili, dal momento che “l’utilizzabilità delle intercettazioni disposte per altro reato è pur sempre subordinata alla condizione che il nuovo reato sia a sua volta autorizzabile venendo in rilievo un limite imposto dalla legge e non certo oggetto di ‘creazione’ giurisprudenziale”.
La Corte d’Appello sancisce comunque che “la pur accertata” inutilizzabilità dei dialoghi “non impedisce di individuare elementi di prova favorevoli agli imputati”, che venivano accusati di aver prelevato denaro dai conti correnti degli enti impegnati nell’accoglienza dei rifugiati. Nella pronuncia viene scritto che questo è “un dato meramente presuntivo”, essendo infatti “necessario fornire prova (in specie del tutto mancante) dell’effettivo impiego, e soprattutto dell’impiego illecito, delle somme prelevate dai vari rappresentanti legali, prova il cui onere incombeva sul pm”. Strada facendo il dolore si è trasformato in speranza», ha commentato a caldo sui propri canali social Mimmo Lucano in seguito all’uscita delle motivazioni della sentenza di secondo grado.
Il cosiddetto “modello Riace”, sistema di accoglienza dei richiedenti asilo noto in tutto il mondo, era finito sotto la lente della magistratura in seguito a una relazione prefettizia che ne aveva evidenziato una serie di presunte falle.
Il 2 ottobre 2018, infatti, Lucano fu sottoposto agli arresti domiciliari dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Locri con le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e affidamento fraudolento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative della zona, la Eco-Riace e L’Arcobaleno, dall’ottobre 2012 fino all’aprile 2016. Successivamente, i domiciliari furono trasformati in divieto di dimora dal Tribunale del Riesame e ancora dopo annullati dalla Corte di Cassazione.
Nel processo aperto contro Lucano e i suoi collaboratori, il pubblico ministero Michele Permumian aveva poi chiesto per l’ex sindaco di Riace una pena di 7 anni e 11 mesi, contestando in totale 15 capi d’imputazione. Con una sentenza inattesa, nel settembre del 2021 il Tribunale aveva inflitto a Lucano una pena di 13 anni e 2 mesi di reclusione, quasi il doppio di quanto chiesto dall’accusa.
Ora la riabilitazione da parte della Corte d’Appello, le cui statuizioni, a onor del vero, non hanno neanche lontanamente goduto dello spazio che la maggior parte dei giornali critici nei confronti di Lucano hanno dedicato alla ricostruzione dell’accusa e ai contenuti della pronuncia del Tribunale.
fonte: lindipendente.online - 13 aprile 2024