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Versi come macchina del tempo (anarchico): Georgi Gospodinov

INTERVISTA. Lo scrittore bulgaro parla del suo ultimo libro «Lettere a Gaustìn e altre poesie», pubblicato da Voland. «Oltre al tema della memoria, c’è quello del sublime che è nascosto nei gesti pomeridiani, nelle piccole epifanie della quotidianità».

di TOMMASO DI FRANCESCO

Tommaso Di Francesco

29 dicembre 2022


Lo scrittore bulgaro Georgi Gospodinov è ormai internazionalmente riconosciuto come uno dei maggiori prosatori europei, tradotto in molte lingue e pluripremiato, nel 2021 con il Premio Strega Europeo per l’ultimo romanzo "Cronorifugio" – per il quale ha ricevuto lo Strega per la prima volta anche il traduttore Giuseppe Dell’Agata. In Italia la sua opera è integralmente pubblicata dalla casa editrice Voland, dopo il grande successo del romanzo Fisica della malinconia, del 2013, che si è ripetuto con le due raccolte di racconti E tutto divenne luna, nel 2018, e Tutti i nostri corpi, del 2020.


È uscita in questi giorni la prima raccolta in italiano delle sue poesie – è con i versi che ha cominciato a costruire il suo immaginifico e surreale laboratorio di scrittura sul tema del tempo – sempre per Voland, "Lettere a Gaustìn e altre poesie" (con testo in cirillico a fronte, pp. 220, euro 16) che ha recentemente presentato a Roma. Grazie alla collaborazione del suo traduttore, Giuseppe Dell’Agata, lo abbiamo raggiunto con alcune domande.


 


L'INTERVISTA.

Chi è «Gaustìn» il personaggio «anarchico» che dà il titolo al libro e che è l’alter ego destinatario di lettere immaginarie e fonte di ogni riflessione?

G.G. In realtà Gaustìn è un anarchico nel tempo, ma nel suo anarchismo c’è un sistema. Lui ha osato intervenire là dove nessuno interviene – nel meccanismo stesso del tempo. L’aspirazione di Gaustìn non è semplicemente di creare una macchina del tempo e di viaggiare all’indietro in tempi diversi, questo non è che lo interessi. Lui vuol far sì che il tempo stesso venga da lui. Per costruire di nuovo i tempi antichi nelle sue cliniche del passato. Questo è il Gaustìn di Cronorifugio. Ma ben pochi sanno che Gaustìn è nato proprio dalla poesia. È apparso nell’epigrafe della poesia «Sulla creazione», sotto la maschera di un trovatore del XIII secolo e nel modo più sfacciato aveva dichiarato che la donna ha creato il Creatore, e non lui lei. Poi, in un’altra poesia, Gaustìn era un mio compagno di classe della prima media. Pian piano ha cominciato ad apparire in sempre più numerose mie poesie e in tempi sempre maggiori. Alla fine abbiamo cominciato a scriverci e in questa antologia, tradotta meravigliosamente dal mio amico Giuseppe Dell’Agata, sono pubblicate le mie superstiti «Lettere a Gaustìn».

 


Lei nasce come poeta e ora è conosciuto come uno dei maggiori scrittori in prosa d’Europa – anche se di una prosa comunque dal forte substrato poetico e volutamente frammentaria. Come avviene per lei la separazione tra queste due forme?

G.G. Non c’è un’opposizione. Come anarchico dei generi letterari ritengo che le distinzioni interne e le gerarchie nella letteratura siano fatti più che altro per sostenere l’industria editoriale e per facilitare la critica accademica. All’inizio degli epos antichi la poesia e la prosa sono mescolate insieme. E questa miscela, lo dobbiamo ammettere, era più prossima alla poesia. Quando scrivo i miei racconti e romanzi, infilo tranquillamente di contrabbando poesia in essi. Quando scrivo le mie poesie, coscientemente o no, io racconto storie. I fili che passano attraverso la mia poesia e la mia prosa sono spesso gli stessi. Il tema di ciò che non è accaduto e quanto questo sia determinante nelle nostre vite, il tema della memoria e del passato, del sublime che è nascosto nei nostri gesti pomeridiani e apparentemente triviali, delle piccole epifanie della quotidianità… C’è, ad esempio, la poesia «La fine dei minotauri», che può essere letta come una brutta del romanzo Fisica della malinconia.








Si percepisce un nuovo lirismo legato alle forme post-moderne del narrato, come gli elenchi, la conversazione, la diffusa «messaggeria». Allo stesso tempo perché ripercorre il discorso della storia della poesia, non con le citazioni ma con le vite di tanti poeti (Eliot, Whitman, Dickinson, Ginsberg…) fino all’identificazione dolorosa nella poesia «Muoio alla maniera di Pasternak»?

G.G. La liricità è una componente essenziale della poesia e per me personalmente un elemento importante della visione del mondo. In questo senso l’inserimento di molte voci di poeti prima di noi non mette in pericolo la liricità, al contrario la arricchisce e lo trasforma in una liricità polifonica. In questi versi si tratta verosimilmente di questa multipla identificazione con gli altri descritta in Fisica della malinconia con la formula «Io siamo» E in realtà, quando ti identifichi con altre voci e poeti, il vantaggio è che, almeno per un attimo, puoi entrare nelle loro vite, ma poi devi accettare di morire delle stesse morti di ognuno di loro.

 


C’è nei suoi versi una discesa tra i «semplici», c’è la pietas, anche per gli animali in tempo di guerra, c’è l’amore percepito negli attimi e dentro suoni. Cogliendo l’occasione. Si può parlare del tentativo vitale di catturare le occasioni di un altro sentire la cronaca dei giorni?

G.G. Talora tutto dipende dalla capacità di entrare in un diverso punto di vista. Se sei una cornacchia o un topo casalingo durante un bombardamento, ti renderai conto di quanto sia terribile la guerra non soltanto per gli uomini. Nessuno conta i cadaveri degli animali in tempo di guerra, cosa che è ingiusta. La compassione, l’empatia – può nascere da un leggero spostamento del punto di vista. E la letteratura, mi sembra, aiuta a che questo accada.



 





Compaiono a un certo punto quattro descrizioni di altrettante fotografie delle quali alla fine per ognuna c’è una lunga, distillata sintesi in versi. Cosa rappresentano? (Pare che in Cina la nascita della poesia sia legata proprio alla didascalia, ndr.)

G.G. Sono quattro lettere e fotografie. La fotografia è una particolare arte magica, per lo meno perché il fotografo rimane sempre al di fuori dell’inquadratura. In questo c’è qualcosa di mistico. Ci fotografano continuamente, ma il fotografo è invisibile. Come si dice qui in un’altra poesia: «Quando andremo un giorno lassù / staremo a guardare foto per tutta una vita». In queste descrizioni di fotografie e nei versi, rifletto su alcuni problemi che mi interessano; ad esempio se cambiassimo le unità di misura della vita e la misurassimo non più in anni, ma in più piccoli panieri di minuti, non riusciremmo a vivere più a lungo e in modo qualitativamente migliore? Un’altra questione è come talora una metafora possa scatenare reali avvenimenti storici. Mentre rispondo a questa domanda mi rendo conto che una parte di Cronorifugio è debitrice a queste lettere e fotografie.

 




La memoria dell’autore affronta il tema della nostalgia, degli affetti familiari… e dei Balcani, di cui la Bulgaria è parte integrante. C’è Sarajevo e ci sono i due laghi di Prespa al confine tra Grecia, Albania e Macedonia. E c’è l’esaltazione, alla fine della mai finita tragedia balcanica, del meticciato. Quanto è disperata questa rivendicazione nella stagione della follia del nazionalismo, come diceva il grande scrittore jugoslavo Danilo Kis, ora poi con la guerra fratricida in Ucraina…?

I Balcani sono stati spesso questa cristalliera, questa pentola, in cui si è rimestato il miscuglio esplosivo del nazionalismo e questo talora con gravi conseguenze. Non a caso l’assassinio dell’arciduca a Sarajevo, che dà inizio alla Prima Guerra mondiale, fa parte delle lettere a Gaustìn. Dobbiamo renderci conto che la follia del nazionalismo è stata coscientemente provocata politicamente negli ultimi due secoli. Il nazionalismo non è una componente naturale dell’uomo. La gente dei Balcani è di per sé lavoratrice, umile e pacifica. Ma il nazionalismo arriva sempre come estrema decisione dei politici quando le faccende dello stato peggiorano seriamente. Così anche nel caso dell’aggressione della Russia all’Ucraina. E, torno a ripeterlo, nessun uomo è un nazionalista per natura. Il nazionalismo con tutta la sua follia e il suo kitsch è un fenomeno contro natura.



di TOMMASO DI FRANCESCO

da: ilmanifesto.it - 29 dic. 2022




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