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FERNANDO BUEN ABAD DOMINGUEZ. Umanizzarsi implica comunicarsi (estratti)

FERNANDO BUEN ABAD DOMINGUEZ. Umanizzarsi implica comunicarsi (estratti)

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Neue Fabrik

Aug 5, 2025

La comunicazione popolare è un modo per riscrivere la storia dal basso. È un modo per ripristinare lo status dei popoli come soggetti storici. Si tratta di ridefinire la realtà con le nostre parole, con immagini ribelli, con toni e forme che non si adattano agli schemi del mercato

di Fernando Buen Abad Domínguez *

4 agosto 2025


(...) Proponiamo un umanesimo di prassi comunicativa emancipatrice. Se la semiosi è il terreno in cui i significati vengono prodotti e riprodotti, allora la comunicazione non può essere neutrale. Non è né un medium trasparente né una tecnica che possa servire a qualsiasi scopo. La comunicazione è una prassi sociale e storica che risponde a strutture, interessi e vincoli.


(...) Non c'è comunicazione veramente umanista senza rompere con il feticismo tecnocratico, con la dipendenza tecnologica borghese, con la mercificazione della parola, con il culto degli ascolti, con la logica pubblicitaria dello spettacolo, con la censura dei linguaggi della diversità. Non c'è umanesimo senza trasformare le condizioni materiali della produzione di significato. E non c'è filosofia della semiosi che non si impegni a smascherare, denunciare, disamare e ricostruire le strutture simboliche che naturalizzano la barbarie.


La storia del rapporto tra umanesimo e comunicazione non si esaurisce con la diagnosi. Si proietta verso la rivoluzione concreta di una semiosfera emancipata, dove le voci del popolo non sono rovine del passato o folklore di mercato, ma pensiero vivo e nuovo, critica attiva, coscienza in movimento.


(...) L'umanizzazione richiede comunicazione. Un argomento civilizzante per la pace, l'uguaglianza e la giustizia sociale è, in sostanza, la storia di una lotta semiotica: la lotta per significare il mondo, per renderlo intelligibile, condiviso e trasformabile. In questo viaggio, la comunicazione non è un semplice strumento neutrale di trasmissione, ma lo spazio vitale in cui l'umanità stessa viene gestata. L'umanizzazione, quindi, richiede comunicazione: non come un atto meccanico, ma come un processo profondamente etico, politico ed estetico, volto a costruire legami sociali capaci di rompere con la barbarie, l'esclusione e la violenza strutturale. Qualsiasi impegno per la vera pace, l'uguaglianza sostanziale e la giustizia sociale deve essere un impegno nei confronti della comunicazione come forza civilizzatrice.


La condizione umana è anche una condizione comunicativa. Le nostre origini sono incomprensibili senza relazioni comunitarie con gli altri. L'autoconsapevolezza emerge nel dialogo, nel riconoscimento reciproco, nello scambio simbolico. Paulo Freire afferma che il dialogo è costitutivo dell'essere umano: "Essendo più di un semplice strumento, il dialogo è un'esigenza esistenziale".


Non c'è umanità senza dialogo; non c'è coscienza senza linguaggio; non c'è libertà senza semiosi. Comunicare non è solo pronunciare parole; è costruire un significato collettivo, interpretare il mondo, condividere sogni e dolori, articolare volontà.

Comunicare è anche resistere alla disumanizzazione, che inizia dove la parola viene cancellata, dove viene imposto il monologo dei potenti, dove viene bloccata la partecipazione dei popoli alla creazione della propria narrazione. Comunicare è condividere.


Oggi, la barbarie è anche un genocidio comunicativo e culturale. Le sue forme di violenza più brutali, la "Guerra Cognitiva" o "Guerra Culturale", come la chiamano, non sono solo fisiche: sono semiotiche. La censura, le menzogne mediatiche, la banalizzazione della sofferenza collettiva, la manipolazione del linguaggio, lo svuotamento delle parole... tutto ciò costituisce una guerra contro la possibilità di umanizzarci.


(...) Intendiamo la comunicazione come una prassi emancipatrice. Di fronte a questo, la comunicazione è resistenza. E ancora di più: è creazione. Ogni autentica trasformazione, ogni profonda rivoluzione, deve essere anche una rivoluzione nel modo di comunicare. Non basta cambiare i contenuti: dobbiamo cambiare i codici, le relazioni, gli orizzonti. Umanizzarci esige di comunicare in chiave di emancipazione. Ciò implica almeno tre dimensioni: Etica: comunicazione per il riconoscimento dell'altro come legittimo altro, per l'ascolto attivo, per la critica e l'autocritica. Non c'è pace senza rispetto reciproco; non c'è uguaglianza senza dialogo orizzontale. Politica: comunicazione per la partecipazione collettiva, per l'esercizio democratico della parola, per l'organizzazione popolare. Non c'è giustizia sociale senza democratizzazione dell'informazione e senza sovranità comunicazionale. Poetica: comunicazione come capacità creativa, come immaginazione condivisa, come sensibilità trasformativa. Non c'è umanità senza l'estetica dell'incontro, senza la bellezza della fraternità.


La vera pace è la presenza attiva di condizioni di dignità: lavoro, istruzione, salute, cultura, verità. E ciò richiede una comunicazione da e per le persone, non da e per le élite. L'uguaglianza non può essere ridotta a una formula giuridica astratta. Richiede la rottura dei monopoli della parola, delle egemonie mediatiche e delle strutture patriarcali e coloniali che impediscono l'equa circolazione del significato. La giustizia sociale non può essere raggiunta senza una comunicazione critica che renda visibili le ingiustizie, denunci i privilegi, amplifichi le voci emarginate e costruisca il consenso dal basso.


La nostra civiltà è in crisi. Non a causa di un eccesso di tecnologia, ma a causa di una mancanza di umanità. La sfida è di civiltà: ricostruire i legami sociali su nuove fondamenta di solidarietà, cooperazione e dialogo. La semiosi del capitale, incentrata su profitto, competizione e alienazione, deve essere sostituita da una semiosi umanista, incentrata sul bene comune, sulla condivisione e sull'emancipazione.


Comunicare per umanizzare è, quindi, un imperativo dei nostri tempi. E non è compito esclusivo di giornalisti o intellettuali: è una responsabilità collettiva, quotidiana, insurrezionale. Dalle radio comunitarie ai movimenti sociali, dalle aule scolastiche alle strade, il diritto di comunicare deve essere anche il dovere di trasformare.

Umanizzare richiede di comunicare. Ma non in modo qualsiasi: richiede di farlo con amore per la verità, con responsabilità etica, con volontà politica e con vocazione poetica. Perché solo dove le parole fioriscono liberamente, dove il dialogo diventa un atto d'amore, dove la comunicazione è una prassi di liberazione, l'umanità può riconoscersi come tale.


Umanizzare richiede comunicare. E così, passo dopo passo, significando e ridefinendo, diventiamo umani. Un argomento civilizzante per la pace, l'uguaglianza e la giustizia sociale. Ogni vera emancipazione inizia con un atto di comunicazione. Non si tratta di comunicare per il gusto di comunicare: si tratta di liberare la parola come forza di trasformazione. In un mondo lacerato da disuguaglianze, conflitti ed esclusioni strutturali, la comunicazione assume un ruolo decisivo: non come veicolo neutrale, ma come territorio di conflitto.


Umanizzare, nel senso più pieno, implica partecipare attivamente alla costruzione condivisa di significato, implica aprire le porte del dialogo autentico, implica abbattere le barriere dell'egoismo individualistico per riscoprire la comunità di coloro che lottano per il bene comune. Umanizzare non consiste nell'adottare una patina moralistica o nel praticare gesti compassionevoli distaccati dalle strutture. Umanizzare è rivoluzionare. Significa produrre soggettività critiche, relazioni di sostegno, progetti collettivi che si oppongono alla logica dell'espropriazione e dell'indifferenza. Umanizzare significa esercitare la dignità contro l'umiliazione, il pensiero contro l'obbedienza, il buon senso contro il sentimento capitalista.

Civilizzare non significa standardizzare, ma dialogare nella diversità. Il colonialismo ha fallito come impresa civilizzatrice perché ha imposto con la forza un monologo. Una civiltà veramente umanista deve invece fondarsi sul dialogo tra pari, sulla polifonia delle voci, sull'apertura di significati molteplici. Pertanto, la comunicazione umanizzante deve essere plurale, critica, dialogica e profondamente democratica.


In risposta a ciò, è urgente costruire un'Internazionale della Comunicazione Liberatrice: una comunicazione che non sia una merce, che non risponda alla logica del profitto, che non trasformi il destinatario in un cliente o l'emittente in un influencer. Una comunicazione impegnata verso le persone, non verso gli inserzionisti. Una comunicazione che non si arrende agli algoritmi, ma li mette in discussione e li rielabora. Questa comunicazione non può essere imposta dall'alto: deve essere creata dal basso, dalle organizzazioni di base, dai movimenti sociali, dalle radio comunitarie, dalle università pubbliche critiche, dalle culture indigene, dai femminismi popolari, dalle pedagogie emancipatorie. Ognuno di questi spazi è un laboratorio vivo di nuove forme di comunicazione e, quindi, di nuovi modi di essere umani.


Il grande furto del capitalismo non è stato solo di terra, corpi o lavoro: è stato anche un furto di narrazione. La nostra capacità di raccontare le nostre storie ci è stata tolta. Ci è stata imposta una storia ufficiale in cui le persone erano solo masse manipolabili, vittime silenziose o minacce pericolose. Recuperare le relazioni significa recuperare il futuro.


La comunicazione popolare è, quindi, un modo per riscrivere la storia dal basso. È un modo per ripristinare lo status dei popoli come soggetti storici. Non si tratta solo di raccontare ciò che sta accadendo, ma di farlo dalla nostra prospettiva, dalla prospettiva dei bisogni e dei sogni collettivi. Si tratta di ridefinire la realtà con le nostre parole, con immagini ribelli, con toni e forme che non si adattano agli schemi del mercato.

In America Latina, la tradizione della comunicazione popolare ha radici profonde: radio contadine, giornali operai, murales di quartiere, centri culturali autogestiti, pedagogie di liberazione, forum di comunicazione alternativa. Lì nascono le forme più lucide e radicali di umanizzazione comunicativa. Dimostrano che non serve essere milionari o dirigenti aziendali per elaborare messaggi trasformativi. La comunicazione popolare cerca di ottenere un rating. Non cerca consumatori: cerca compagni. Non cerca "mi piace": cerca connessioni. Non cerca spettacolarità: cerca verità. Cerca una nuova pace, duratura, materiale e dialettica... dalle parole ai fatti.



Fonte: (ESP) rebelion.org - 4 agosto 2025

Traduzione di NEUE FABRIK



* Fernando Buen Abad Domínguez è nato a Città del Messico, Messico, nel 1956.

È specializzato in filosofia dell'immagine, filosofia della comunicazione,

critica culturale, estetica e semiotica.

È un regista cinematografico con una laurea in Scienze

della Comunicazione, un Master in Filosofia Politica

e un dottorato di ricerca in Filosofia presso la New York University.

Presidente della Cattedra "Sean MacBride / LAUICOM

LAUICOM - La Universidad Internacional de las Comunicaciones, Caracas, Venezuela

"Il principio fondamentale di questa università è l'educazione liberatrice,

che consente di sviluppare il potenziale creativo delle persone."


NB. il testo completo, qui: https://rebelion.org/humanizarse-implica-comunicarse/

© 2025 by NEUE FABRIK

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