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Oct 29, 2022
Tante, troppe storie di donne che hanno denunciato i compagni per violenza e si sono viste sottrarre i figli dalla magistratura. Ricerca sul rapporto Donne e la sconfessata PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)
La Pas non esiste, la violenza sì
Nonostante la sindrome della "madre malevola/tossica" sia stata sconfessata dalla Cassazione e da tutte le autorità scientifiche, rimane l'accusa che, nella prassi dei tribunali civili e minorili, gli uomini violenti agitano contro le donne che hanno osato interrompere quella spirale di sopraffazione
Non basta la convenzione di Istanbul, non bastano le varie sentenze della corte di Cassazione che la definiscono una teoria nazista che discrimina le donne in quanto donne, non basta il disconoscimento della comunità scientifica nazionale e internazionale, non è bastato il movimento contro il decreto Pillon che la rendeva legge in ben due articoli: la Sindrome da alienazione parentale (Pas) – o sindrome della madre tossica o madre malevola – rimane l’accusa che, nella prassi dei tribunali civili e minorili, gli uomini violenti agitano contro le donne che hanno osato interrompere quella spirale di sopraffazione.
Che gli uomini (e i loro avvocati) abbiano individuato questa strada semplice per invertire, nelle aule in cui si decide sull’affidamento dei minori, il ruolo di accusato e accusatore stupisce fino ad un certo punto. Quello che davvero colpisce è che alcuni giudici, e soprattutto molti consulenti tecnici del tribunale, prendano sul serio questa non-teoria.Ideata da uno psichiatra forense americano che difendeva pedofili e uomini violenti negli anni ‘80, Richard Gardner, la Pas si basa sull’idea che, se un figlio rifiuta di vedere il padre, la motivazione risiede solo ed esclusivamente nella manipolazione operata dalla madre. E la cura? L’allontanamento coatto dalla fonte della tossicità, la madre, il suo contesto sociale, la sua casa.
Non tutte le accuse di alienazione finiscono con l’allontanamento dei figli, ma abbastanza da far tremare una donna con figli minorenni che si trovi a dover denunciare le violenze subìte.
La Pas non esiste mai, non esiste nei casi di violenza e non. Ma va detto che nella quasi totalità dei casi in cui questo spauracchio viene agitato, arriva da uomini accusati di violenza. È un’accusa semplice che non ha bisogno di essere dimostrata, a differenza della violenza domestica che necessita, come tutti i reati penali, di prove sostanziali che spesso si procurano con difficoltà proprio perché avviene senza testimoni.
Cosa succede poi? Nei tribunali civili e minorili tutto viene bollato come alta conflittualità tra i genitori, si nomina un Ctu (Consulente tecnico d'ufficio, ndr) a cui si formulano dei quesiti, tra cui se un genitore ha ostacolato nel figlio l’accesso all’altro genitore e nessuno sulla pericolosità, e a quel punto inizia un percorso durissimo per madre e figlio in cui la donna deve difendersi e sperare che il figlio non manifesti paura all’idea di vedere il padre. E il tutto ha dei costi altissimi, non solo emotivamente. Il prezzo complessivo di una Ctu si aggira intorno ai 10 mila euro, senza contare l’assistenza legale, le eventuali visite specialistiche. Ma noi sappiamo che, spesso, la violenza domestica porta con se anche quella economica.
Non possiamo più permettere che, una donna che si rivolge alle istituzioni per salvaguardare se stessa e suo figlio, si ritrovi in una condizione in cui la violenza viene reiterata proprio da quelle istituzioni a cui si è rivolta per essere salvata. Non si può nemmeno lasciare alla coscienza dei singoli magistrati la risoluzione di questo problema. Ci sono tanti magistrati che svolgono con responsabilità il loro lavoro, ma altri purtroppo non lo fanno abbracciando teorie che non esistono. Serve quindi un intervento legislativo che metta al bando la Pas da tutti i tribunali italiani - applicando la convenzione di Istanbul e le osservazioni del Grevio (il Gruppo di esperti/e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ndr) - affinché nessuna donna e nessun bambino vengano più sottoposti a questa tortura.
GIORGIA FATTINNANZI, dipartimento Politiche di genere della Cgil nazionale - da collettiva.it - 17 giugno 2021
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Non si crede mai alle madri (1)
di DARIA LUCCA
A proporre la PAS fu lo statunitense Richard Gardner. La Pas, o Sindrome da alienazione genitoriale, o Sindrome della madre malevola, o della madre ostativa (via via che la Cassazione la rigetta, i sostenitori ne variano le definizione sperando di aggirare la giurisprudenza), è amatissima da una parte della psicologia forense ma bocciata sia dal ministero della salute sia dalla comunità medica che non le riconosce alcun valore scientifico.
SI TRATTA DELLA TEORIA non dimostrata secondo cui il minore che rifiuta il rapporto con il padre, spesso denunciato per violenza, abusi o maltrattamenti, sarebbe «alienato» dall’altra genitrice.
Purtroppo, a utilizzarla per allontanare i minori dalle madri, sono molti giudici di merito. Per poca formazione sul tema, per convinzione o per delega agli psicologi che ormai decidono nei casi di separazione e affidamento al posto dei magistrati?
Al momento, ci si può appellare alla risoluzione del 6 ottobre 2021 del parlamento europeo che chiede agli Stati membri di non riconoscere l’uso di questa cosiddetta sindrome nella pratica giudiziaria e di proibirne l’uso nei procedimenti giudiziari, specialmente, ma non solo, nei contesti di violenza, e di formare tutti i professionisti coinvolti nel settore, giudici, avvocati, assistenti sociali, psichiatri, nonché di informare il pubblico su questo tema.
La risoluzione fu approvata con 510 voti a favore, 31 contrari e 141 astensioni. Contro, votarono Fratelli d’Italia e la Lega; Forza Italia si astenne.
STORIE. Tante, troppe storie di donne che hanno denunciato i compagni per violenza e si sono viste sottrarre i figli dalla magistratura. Che applica la legge sulla bigenitorialità in modo assolutistico. Elena, Deborah, Laura unite dallo stesso destino: picchiate e con i bambini portati in Casa Famiglia. Il recente caso di Brescia dove il padre si è barricato col piccolo di soli 4 anni
Elena Sorba è laureata, ha un lavoro di tutto rispetto, è una donna intelligente ed equilibrata. Ha due figli, maschio e femmina, che non vede dall’anno scorso quando li ha volontariamente accompagnati in casa famiglia «per evitare loro anche il trauma del prelievo forzoso» su ordine del tribunale di Milano. Elena Sorba ha denunciato il padre dei bambini per maltrattamenti, a lei e a loro, ben due volte. Sulla terza denuncia, presentata dai nonni, pende la decisione della procura.
Racconta la sua avvocata, Susanna Bruschi: «Secondo una specialista molto apprezzata, i racconti dei bambini indicano che c’è un’altissima probabilità che i maltrattamenti siano reali. Fra l’altro, il Codice Rosso prevede che la madre sia ascoltata entro 72 ore dalla denuncia. Cosa che non è avvenuta». In compenso, il tribunale ha deciso di allontanarli da lei, giustificando il provvedimento con «l’elevatissima conflittualità» tra i genitori. In particolare, Elena è accusata di dare troppo peso a quanto lei ritiene «accada presso la casa paterna» (i presunti abusi, in pratica).
LO SCORSO LUGLIO, Deborah Delle Donne, insegnante, con una scusa è stata bloccata dai vigili nei locali del municipio di Casalmaiocco (Lodi) mentre fuori assistenti sociali e polizia prelevavano con la forza il figlio di 9 anni, in quel momento in compagnia di un’amica, per portarlo in casa famiglia. La colpa di Deborah sarebbe quella di non aver obbligato il bambino a incontrare il padre che non voleva vedere. Per dovere di cronaca, va detto che il padre era stato denunciato per violenza domestica. E assolto.
Anche Laura Ruzza è un’insegnante. Il 26 luglio 2021 le forze dell’ordine hanno prelevato con la forza suo figlio di 6 anni, fra l’altro affetto da epilessia, per collocarlo in una casa famiglia alle porte di Roma. Anche Laura aveva denunciato il padre del bimbo per violenze domestiche, denunce archiviate. Da mesi, la donna chiede che il figlio le sia restituito perché le sue condizioni di salute stanno peggiorando velocemente. Ma nessuno le risponde. E qui si inserisce una variazione al tema piuttosto interessante.
Prima di Natale ’21, la senatrice Cinzia Leone, vicepresidente della Commissione Femminicidio di Palazzo Madama, ha visitato la casa famiglia in questione e chiesto di vedere il piccolo. A febbraio ’22, ha ricevuto una lettera dalla presidenza del senato in cui le si comunicava che il tribunale dei minori di Roma aveva protestato perché la sua iniziativa non era «connessa ad attività parlamentari» e sarebbe stata valutata dalla giunta per le autorizzazioni a procedere. Con tanti saluti ai poteri ispettivi delle commissioni parlamentari d’inchiesta. Dettaglio: la senatrice aveva pubblicamente criticato le condizioni in cui il bambino era tenuto nella casa famiglia.
CI SONO DECINE DI STORIE analoghe, quelle di Ginevra Pantasilea Amerighi, di Laura Massaro, di Emanuela Natoli, di Giada Giunti e decine di altre.
Ci sono storie ancora più drammatiche, come quelle di Erica Patti o di Antonella Penati, i cui figli sono stati uccisi da padri che la giustizia non ha ritenuto sufficientemente violenti da impedir loro di incontrarli. Come il caso del piccolo Daniele ammazzato dal padre a Morazzone (Varese) all’inizio dell’anno. O il caso del bimbo di 4 anni sequestrato e per fortuna liberato, in provincia di Brescia, qualche giorno fa.
Tutte queste storie hanno in comune alcune costanti: prevedono un’applicazione assolutistica della legge 54 del 2006, nota come legge sulla bigenitorialità e non tengono in alcun conto le allegazioni di violenza presentate dalle madri; evidenziano la protervia dell’istituzione giudiziaria nel trattare le madri e chiunque le appoggi; dimostrano la mancanza di una strategia da parte della magistratura per accertare i casi di abusi e maltrattamenti sui minori; fanno esibizione di forza nei prelievi nonostante sia stato bollata dalla Cassazione come strumento «fuori dello stato di diritto».
Coniglio dal cilindro, o se preferite grimaldello mille usi, insistono nell’uso della Pas nonostante sia stata a più riprese dichiarata inammissibile come prova in tribunale (vedi a lato).
E per ognuno di questi casi, una premessa: la parola delle donne non ha alcun valore. Mai.
Violenza in famiglia silenziata (2)
Su 2.089 procedimenti di separazione con figli minori, 603 mostravano prove di abusi ma solo nel 15% dei casi i tribunali avevano approfondito le accuse presentate dalle donne
La violenza istituzionale sulle madri è stata oggetto di indagine da parte della commissione Femminicidio del Senato, nella legislatura appena conclusa. Che cosa ne è emerso? «Il fenomeno della vittimizzazione secondaria, che la Convenzione di Istanbul sulla violenza di genere ci impone di evitare, è noto ma non è conosciuto – dice la ex senatrice Cinzia Leone che della Commissione era vicepresidente – e, per quanto riguarda i tribunali, il costante ridurre a conflitto tra coniugi ciò che invece viene denunciato come violenza domestica non fa altro che costringere le donne a rivivere quanto hanno subito e avuto il coraggio di rendere pubblico». E magari a scegliere di non denunciare, per non affrontare un calvario costellato di trappole, di umiliazioni, di perdita dei figli e anche di costi materiali proibitivi.
QUALCHE DATO. Tra i 2.089 procedimenti di separazioni con figli minori esaminati, 603 mostravano allegazioni di violenza, molte fornendo prove documentali, ma solo nel 15% dei casi i giudici avevano approfondito le accuse presentate (https://www.senato.it/leg/18/BGT/Testi/Allegati/00000366.pdf). «In questo modo si sminuisce da subito la denuncia e subentra il pregiudizio sulla parola delle donne» continua Leone. Specifica la relazione finale della commissione: «I racconti di violenza delle donne sono sempre negati, sottovalutati, considerati strumentali o non attendibili, anche dai giudici che non compiono accertamenti sulle dichiarazioni delle donne prima di disporre la consulenza.
IN AGGIUNTA, se la donna persiste nel riproporre il tema della violenza, viene considerata rigida, immatura, incapace di modificare il proprio punto di vista». Il meccanismo ha uno svolgimento più o meno analogo. Di fronte a una madre che ha denunciato il compagno per violenze, abusi, maltrattamenti, il giudice affida a un consulente tecnico, leggi psicologo, il compito di stabilire se i genitori sono idonei. Nei fatti, la consulenza si trasforma nel primo e unico elemento di prova.
NEL SILENZIO DEI MEDIA, nel disinteresse dell’opinione pubblica, l’uso delle Ctu – Consulenze tecniche d’ufficio psicologiche è diventato metodo probatorio nel circuito dei procedimenti per l’affidamento dei minori. Si lamenta un ex magistrato di Cassazione che ha studiato il fenomeno: «Invece di impegnarsi in un’accurata indagine istruttoria su specifici comportamenti degli adulti e soprattutto sulla risonanza che tali comportamenti hanno per il minore, a cominciare dall’obbligatoria audizione del minore superiore ai 12 anni, alcuni giudici di merito preferiscono percorrere la scorciatoia di alcuni stereotipi o nozioni alle quali la comunità scientifica mondiale non riconosce alcun carattere di scientificità». La Pas, appunto, ossia la Sindrome da alienazione genitoriale.
LE CONSULENZE, fra l’altro, costano e sono a carico delle parti. Ci sono madri che si sono svenate, per tentare di dimostrare che le loro denunce corrispondono ai fatti. Mentre psicologi e ausiliari del giudice (compresi i servizi sociali) non sapendo (o non volendo?) «cogliere gli indici rilevatori della violenza domestica», come dice la commissione Femminicidio, «invitano le parti alla mediazione e alla conciliazione, vietata invece dall’articolo 48 della Convenzione di Istanbul nei casi di violenza».
E I MINORI? Dovrebbero essere al centro di tutto. Ma succede che il giudice minorile non si informi sulle denunce di violenze e maltrattamenti. I figli non vengono ascoltati. Rileva la Commissione: «Nell’indagine emerge che solo nel 30,8% dei casi sono stati ascoltati i minori, e di questi solamente il 7,8% (pari a 14) ha ricevuto un ascolto diretto da parte del giudice. Pertanto, benché l’ascolto diretto del minore sia ritenuto da tutte le Convenzioni internazionali una pietra miliare dei “procedimenti che lo riguardano”, solo nel 4,5% dei casi i minori sono stati ascoltati in presenza del giudice con l’intervento di un ausiliario mentre nell’85,4% dei casi l’ascolto è stato delegato dal Tribunale o ai Servizi Sociali (21%) o ai consulenti tecnici d’ufficio».
E I PADRI? Si presentano agli incontri con i consulenti come «uomini addolorati e feriti» dal rifiuto, pronti a rientrare in contatto con i figli. Peccato che nel frattempo i loro avvocati abbiano presentato richiesta di collocamento in casa famiglia per quegli stessi figli in vista di un successivo affidamento esclusivo. Ma si sa, il padre anche se violento è «comunque padre», a destra, sinistra, a nord e sud, a ogni aliquota fiscale.
DARIA LUCCA, da: ilmanifesto.it - 19 e 25 ottobre 2022