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La storia riscritta in silenzio

La storia riscritta in silenzio

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Neue Fabrik

Jul 11, 2021

Alla periferia delle istituzioni pubbliche si riscrive la storia del Novecento e le distinzioni tra fascismo e antifascismo. Dittatura e Libertà rischiano di confondersi in una nuova memoria collettiva
di SIMONETTA FIORI + Osservatorio sul fascismo a Roma

Dai nomi delle vie alle delibere comunali, dai consigli regionali alle ordinanze dei sindaci: così il revisionismo che rivaluta il fascismo si diffonde sotto traccia dal nord al sud del Paese


Piccoli smottamenti, cadute non sempre appariscenti, più spesso sotterranee. Ma messi insieme producono una slavina invisibile che travolge i capisaldi della storia contemporanea. Il disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia con l’equiparazione delle foibe all’Olocausto è solo la parte più scoperta di un fenomeno in rapida accelerazione che da Alessandria a Grosseto, da Dalmine a Vibo Valenzia, da Monfalcone a Lecce, dilaga in tutta la penisola rimbalzando di municipio in municipio, di borgo in borgo, lungo un’unica traiettoria disegnata dal nuovo revisionismo della destra.



La storia perde senso

Atti amministrativi comunali, risoluzioni di consigli regionali, delibere delle commissioni toponomastiche locali e il presenzialismo di sindaci e assessori a cerimonie per i martiri della Repubblica sociale. Alla periferia delle istituzioni pubbliche, là dove governano i partiti di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, si riscrive la storia del Novecento. E le distinzioni tra fascismo e antifascismo, dittatura e libertà, ideologia violenta e tolleranza democratica rischiano di confondersi in una nuova memoria collettiva in cui “i morti non hanno colore politico” (copyright l’assessora veneta Elena Donazzan, Fratelli d’Italia), “i bimbi di Auschwitz e quelli delle foibe sono uguali” (copyright Salvini), e l’Almirante “fucilatore di partigiani” riacquista la sua verginità nell’immortale gesto di rendere omaggio a Berlinguer.

La storia perde senso, per adattarsi a una nuova narrativa edulcorata in cui i conti con il passato si risolvono nel comune lutto per la perdita umana. Non valgono più le bussole della coscienza democratica, la differenza tra giusto e sbagliato, la consapevolezza che “dietro il più idealista dei militi delle Brigate nere c’erano le camere di tortura, i rastrellamenti e l’Olocausto” e dietro il partigiano più spietato “la lotta per una società più libera e pacifica”, come ci ricorda Italo Calvino in una pagina de I sentieri dei nidi di ragno. Il paradigma vittimario cancella le differenze. E dietro la bandiera della riconciliazione si nasconde spesso un revanscismo agguerrito che bilancia in un’equazione impossibile i martiri della Shoah e le vittime del comunismo: questi i morti tuoi, questi i morti miei, palla al centro e si riparte.



Il nuovo vocabolario della destra

E’ un revisionismo meno gridato rispetto a quello degli anni Novanta, quando bisognava cambiare le fondamenta costituzionali della “prima Repubblica” in nome dell’“anti-antifascismo”. Ora di antifascismo non si parla più, sostituito nel nuovo vocabolario della destra dalla parola “antitotalitario”. E’ accaduto l’anno scorso a Vicenza, dove su proposta dell’assessore Giovine – lo stesso che produsse l’encomio sulle cose buone realizzate da Mussolini – è stata abolita la clausola dell’antifascismo per l’uso degli spazi pubblici, a favore di una pronuncia antitotalitaria: come a dire, il provvedimento vale per i nostalgici di Mussolini ma anche per voialtri che la menate con il partigianato, perché siete pur sempre eredi dei comunisti. Una mozione analoga è stata approvata a Dalmine, alle porte di Bergamo, municipio guidato da una maggioranza di centrodestra. Sono sempre più numerosi i comuni che ricorrono al paradigma memoriale antitotalitario approvato dall’Europa, con la sua contestata omologazione tra nazismo e comunismo. Il consiglio comunale di Asti è arrivato a revocare la cittadinanza onoraria concessa nel 1924 a Mussolini soltanto in cambio dell’adozione dell’intera risoluzione europea, “con la conseguente erogazione dei finanziamenti soltanto alle ricerche di ispirazione antitotalitaria”, dice Mario Renosio dell’Istituto storico della Resistenza. Cosa significa concretamente in un paese in cui non è mai esistito un regime comunista? Uno studio sulla Brigata Garibaldi, storica formazione del partigianato rosso, potrebbe essere considerato politically uncorrect?



Mario Vattani, ambasciatore a Singapore



L’equivoco dell’antitotalitarismo

L’equivoco è chiarito bene da Filippo Focardi, direttore scientifico dell’Istituto nazionale Parri (con la rete di tutti gli istituti locali) e autore di un recente libro sui nuovi revisionismi (Nel cantiere della memoria. Fascismo Resistenza , Shoah, Foibe, Viella editore). “La risoIuzione europea è stata molto incoraggiata dai paesi dell’Europa orientale vissuti per decenni sotto i regimi comunisti e che oggi non hanno torto a rivendicare una maggiore considerazione per il carico di oppressione subita. Ma è inaccettabile la riduzione della complessa vicenda del comunismo internazionale a un’unica dimensione criminale. Il comunismo italiano ha avuto una storia diversa, contribuendo alla costruzione e alla difesa della democrazia nel nostro paese. Berlinguer non può essere equiparato a un aguzzino della Stasi e neppure alla terribile nomenclatura dell’Est”. Inaccettabile dunque la riscrittura della storia italiana che mette sullo stesso piano i nipotini di Mussolini con quelli di Gramsci. “Se dovessimo dare retta ai tanti comuni retti dalla destra che adottano il paradigma europeo, un gesto come quello del presidente Sarkozy che all’atto di insediamento lesse le ultime parole scritte da un partigiano comunista risulterebbe eversivo o terribilmente inappropriato. E stiamo parlando del presidente della destra repubblicana francese!”.


Dalla parte di Salò

Ma da noi una Droit repubblicana non c’è, o è ancora molto fragile. E se l’ondata neorevisionistica degli anni Novanta proponeva di abolire la festa del 25 aprile come anniversario troppo di parte, oggi la tendenza dell’attuale destra è celebrarlo: dalla parte dei camerati. E’ accaduto quest’anno in Veneto, dove l’assessora regionale Donazzan ha partecipato alla cerimonia in memoria dei militi del Corpo di Sicurezza Trentino, artefici di rastrellamenti, distruzioni e stragi al soldo dei nazisti. Criticata dal giornale dell’Anpi, Patria Indipendente, che vigila su questi smottamenti, l’esponente di Fratelli d’Italia ha replicato che tutti i morti meritano rispetto. Non contenta dell’omaggio nazifascista, ha poi ritenuto opportuno intonare ai microfoni della Zanzara le note di Faccetta nera, la canzone della colonizzazione fascista in Africa. L’assessora Donazzan guida in Veneto l’Istruzione. A Codevigo, nel padovano, tra aquile mussoliniane e stemmi littori è comparso il sindaco di Fratelli d’Italia, il quale poi si è giustificato: ho solo risposto sì a un invito. A Miane, nella provincia Treviso, il primo cittadino ha dovuto rinunciare all’ultimo istante a un’analoga cerimonia per i militi di Salò, fermato per tempo da una contromanifestazione dell’Anpi: un suo rappresentante era già pronto per la commemorazione in camicia nera. A Gorizia l’acme è stato raggiunto nel 2019 quando una delegazione di reduci della X Mas è stata ricevuta in municipio, in un tripudio di gagliardetti e saluti romani. Il Covid, fortunatamente, ha sospeso il lugubre rituale.


La verità di Stato sulle foibe

Nella mappa della revisione storiografica, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia sono le regioni più spumeggianti, con una crescente produzione di risoluzioni consiliari che si concentrano sulla questione delle foibe. L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di condannare i negazionisti – ottimo proposito! – se non fosse che nella categoria vengono incluse le più alte autorità scientifiche in materia, a cominciare da Raoul Pupo, bacchettato per la sua guida realizzata insieme all’Istituto storico della Resistenza di Trieste. La strada è quella tracciata nel 2019 dal consiglio regionale friulano, seguito quest’anno da quello veneto. Il criterio delle due risoluzioni è il medesimo: esiste sulle foibe una verità ufficiale che definisce entità del fenomeno (sciaguratamente ingigantito) e sue caratteristiche (sotto la categoria di “pulizia etnica”). Chi si discosta dalla storia sancita per legge viene escluso dai finanziamenti. In realtà si è trattato di iniziative propagandistiche a cui non è seguita alcuna conseguenza pratica. In Friuli la distribuzione dei fondi è regolata da una legge voluta in articulo mortis dalla precedente giunta di cento-sinistra proprio per evitare le “schifezze di confine”, come le chiamano nella comunità scientifica. E, in Veneto, l’appello del consiglio regionale è rimasto finora inascoltato. Resta il valore simbolico di una campagna revanscista che utilizza le foibe in una chiave vittimistica per pareggiare i conti tra crimini del fascismo e crimini del comunismo.







I no a Liliana Segre

In questa ossessione parificatrice si può arrivare a negare la cittadinanza a Liliana Segre perché testimone di Auschwitz e quindi espressione d’una memoria ritenuta assurdamente di parte, che deve essere bilanciata con la memoria di un crimine di segno politico opposto. Dopo Sesto San Giovanni, Piombino (poi pentita) e Gorizia, qualche settimana fa anche Arzignano nel Vicentino ha detto di no alla senatrice a vita: “La sua opera non è legata alla nostra comunità”, s’è giustificato il sindaco, rendendo ancora più grave il rifiuto. La variante del “no” consiste nell’accogliere l’omaggio a Segre, ma a condizione di bilanciarlo con l’omaggio a Giorgio Almirante. Ci ha provato lo scorso anno il comune di Verona: ma a far saltare l’improvvido gemellaggio è stata la stessa senatrice a vita che ha denunciato la sua incompatibilità con il segretario di redazione della Difesa della Razza. Allora la proposta di intestare una strada al leader missino fu opportunamente messa via, salvo rinascere poche settimane a Zevio: a venti chilometri dal centro storico di Verona è sorta via Almirante. Basta aspettare.


I nomi delle strade

Sbaglia chi liquida la guerra degli indirizzi come una battaglia da strapaese, sul genere dei romanzi di Guareschi. I nomi di strade e piazze rappresentano il nostro patrimonio civile, ciò che decidiamo di mantenere o di buttare via della nostra eredità culturale, come racconta Deirdre Mask nel suo bellissimo Le vie che orientano (Bollati Boringhieri). Willy Brandt, futuro cancelliere della Germania Ovest, ricordava il giorno in cui i nazisti avevano preso il potere nella sua città natale. “A Lubecca il 20 marzo del 1933 molte persone vennero messe in custodia cautelare. Di lì a poco cominciarono a cambiare i nomi delle strade”. I personaggi e gli eventi storici ricordati nelle segnaletiche rappresentano la storia in cui ci riconosciamo, o come direbbe Paul Ricoeur – evocato da Liza Candidi nell’introduzione – “un debito che significa nel presente”. Nei confronti di chi siamo debitori, secondo la destra postfscista e sovranista? Il primato dell’odonomastica appartiene ad Almirante, nel totale oblio delle sue responsabilità ne La difesa della razza e poi da capo di gabinetto nella Repubblica Sociale Italiana: fu proprio lui a redigere il famigerato manifesto della morte che decretava la fucilazione immediata dei partigiani. L’avrai, camerata Almirante la via che pretendi da noi italiani è il profetico titolo ispirato a Piero Calamandrei scelto da Carlo Ricchini per il volume che ricostruisce quelle vicende (4 Punte edizioni). Ma le schede celebrative – come quella del comune Nicotera, in provincia di Vibo Valenzia – preferiscono ricordarne l’eroismo militare in Libia, i viaggi in terza classe e quell’omaggio a Berlinguer che lo consegna all’Olimpo dei savi. Al comune di Terracina – ma non è il solo – è venuta l’idea di proporre l’accoppiata toponomastica tra i due leader antagonisti, mentre a Lecce è stata adottata la singolare formula: al segretario missino una delle strade centrali, Berlinguer e Pertini confinati in periferia. E a proposito del presidente partigiano: poco prima della festa della Liberazione, quest’anno, ha dovuto sloggiare da una strada di Torano, in provincia di Rieti, per cedere il posto a Nazario Sauro, irredentista. E a Genova – città medaglia d’oro della Resistenza – il partigiano “Attila” Firpo è stato scalzato da Quattrocchi, mito locale di italianità.


La Resistenza sfrattata o commissariata

Gli istituti storici della Resistenza osservano il fenomeno con inquietudine, anche perché sono stati i primi a subire tagli finanziari da parte delle amministrazioni di destra (non solo da loro, in verità) e in qualche caso un vero sfratto (a Sesto San Giovanni, a Lodi e a Grosseto). In Umbria, la regione che ha patrocinato la festa del libro con CasaPound, l’Isuc è stato commissariato. E il nuovo timoniere, di fede leghista, ha pensato bene di celebrare quest’anno il suo primo 25 aprile con una cerimonia di pacificazione tra partigiani e saloini: ricordare la vittoria dell’antifascismo deve essergli apparso scortese o troppo di parte. Sarà questa la nuova vulgata nazionale, in caso di vittoria politica delle destre? Occorrerà porsi il problema, prima che sia troppo tardi.



​di SIMONETTA FIORI, repubblica.it - 6 luglio 2021

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Post Scriptum a cura dell'Osservatorio sul fascismo a Roma.

L’Osservatorio: ci siamo sentiti soli per lungo tempo, assieme a pochi altri convinti antifascisti, interessati come noi a mantenere viva l’attenzione sulle evoluzioni di una destra estrema che merita, come essa stessa reclama, di essere chiamata esplicitamente fascista, se non addirittura nazista per le sue ulteriori virate.

Abbiamo vissuto il nostro antifascismo stretto tra due contraddizioni interne, la prima quella della sinistra istituzionale, convertita al revisionismo storico in nome di una interpretazione di democrazia intesa come casa di tutti, non solo perciò di chi ne ha fatto suoi i fondamenti, ma anche di chi, i fascisti, lavora al suo interno per causarne la distruzione. L’altra contraddizione appartiene a una parte della sinistra “sociale” che nell’ambizione di darsi una identità politica più complessa, ricade nel “vizio”, ormai centenario, di ritenere l’Antifascismo un argomento politicamente di retroguardia.

Mario Vattani ambasciatore a Singapore.

Esempio del primo caso, dell’auto-distruzione tafazziana della sinistra che rigetta le proprie storiche discriminanti politiche, lo abbiamo trovato nella difesa a oltranza da parte della vice-ministra agli Esteri, Sereni (PD), della infelice nomina come ambasciatore a Singapore del fascista conclamato Mario Vattani. Il secondo aspetto, quello della negata centralità dell’antifascismo diffusa oggi in una parte dell’antagonismo sociale, ha radici lontane, è stato il leit motiv di un secolo di sconfitte, dalle prime scissioni negli anni ’20 del 900 della sinistra italiana che rinunciava a fare fronte comune contro il fascismo arrembante, passando per gli anni ’70, quando anziché mobilitarsi per la “messa fuorilegge del MSI” c’era chi denunciava la poca incidenza politica dell’antifascismo militante, preferendo un innalzamento dello scontro a 360° a dimostrazione dell’esistenza di un movimento rivoluzionario.

Un vizio ancora presente ai giorni nostri, dove chi in Italia Settentrionale si è fatto promotore pochi anni fa di una raccolta di firme organizzate, per proporre una legge che sciogliesse le organizzazioni fasciste, si è imbattuto nel mancato sostegno di chi erede dei Resistenti avrebbe dovuto per primo farsi animatore dell’iniziativa, nel disinteresse delle cariche parlamentari, nella persona di eletti nei partiti della Sinistra radicale, che nulla hanno fatto per sostenere la raccolta-referendum , e in ultimo di chi a sinistra, dicendosi sfiduciato del sistema giudiziario (in parte a ragione) non ha aderito alla raccolta di firme, perché poi ,alla fine,”denunciare gli aggressori fascisti agli sbirri è da infami”. Ecco tutto questo, che non è frutto della bravura della destra, ma figlio dell’inconsistenza della sinistra, dei suoi particolarismi e soprattutto della sua estraniazione dalla realtà sociale, desta preoccupazione, nel momento in cui l’ago della bilancia del consenso elettorale sembra pendere a destra, dove i gruppi estremi, Forza Nuova e CasaPound, posti sotto l’egida di F.d.I sono impegnati nella cancellazione della parola “antifascismo” dal nostro vocabolario.

In questo scenario Simonetta Fiori su “La Repubblica” ripercorre antefatti e tappe della riscrittura in atto della storia contemporanea del nostro Paese, promossa in modo strisciante fino a qualche tempo fa, oggi diffusa platealmente da chi a destra è evidentemente convinto d’essere prossimo alla riscossa.

L’articolo ha un senso compiuto se riportato nella sua interezza e senza commenti, a prescindere dall’introduzione che vi abbiamo appena proposto.

osservatoriosulfascismoaroma.org, 11 luglio 2021

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