Neue Fabrik
Nov 6, 2021
..e faranno solo diventare più ricche le persone che già lo sono
di SURVIVAL INTERNATIONAL
Oggi, nel dibattito internazionale su clima e biodiversità si sente sempre più spesso affermare che si può raggiungere un 30% di mitigazione globale del clima attraverso Soluzioni Basate sulla Natura (NBS). Le voci che sostengono le NBS sono diventate dominanti anche durante la COP26 come elemento centrale delle soluzioni alla crisi climatica portate avanti dai governi, conservazionisti e industrie del petrolio.
Il vero problema inizia quando tali Soluzioni Basate sulla Natura vengono presentate come il modo migliore per contrastare la crisi climatica, fornendo una facile soluzione che non implica una riduzione dell’uso dei combustibili fossili e un cambiamento dei nostri modelli di consumo – che sarebbero l’unica risposta concreta. E più cresce il sostegno a queste Soluzioni, più aumenta la probabilità di un impatto devastante sui popoli indigeni e altre comunità locali.
Nascosto dietro il loro nome accattivante, troviamo il solito (e vecchio!) approccio basato sul mercato. In parole povere, le Soluzioni Basate sulla Natura forniscono una nuova spinta a quella che prima era chiamata “compensazione delle emissioni di carbonio” (carbon offset). In questo contesto, la “Natura” è considerata un capitale o un bene, qualcosa a cui dare un prezzo e da commercializzare.
Supponiamo per esempio che la Shell (una tra i maggiori sostenitori delle Soluzioni Basate sulla Natura) stia emettendo una quantità X di CO2 nell’atmosfera: per poter affermare di rispettare i suoi impegni, Shell potrebbe continuare a rilasciare esattamente la stessa quantità di CO2 a condizione di supportare contemporaneamente o la creazione di un’Area Protetta che immagazzini la stessa quantità di CO2 o la piantumazione di un numero di alberi che si suppone possano assorbirne lo stesso ammontare. Questo scambio si realizza, ovviamente, nei mercati finanziari attraverso la creazione di crediti di carbonio. Questo è quello che i governi intendono con “net-zero” o “emissioni zero”: non intendono portare realmente le loro emissioni a zero, bensì si limitano semplicemente a dichiarare di “compensare” quelle emissioni da qualche altra parte.
Trasformare la natura in una forma di capitale (in questo caso in crediti di carbonio) che può essere poi venduto sul mercato.
Il metodo conosciuto più efficace per eliminare l’anidride carbonica dall’atmosfera consiste nel piantare alberi. Secondo stime del 2017, l’afforestazione rappresenta quasi la metà del potenziale di mitigazione climatica per mezzo delle Soluzioni Basate sulla Natura. Ma raggiungere questo potenziale richiederebbe di piantare alberi su un’area stimata di quasi 700 milioni di ettari – più o meno la dimensione dell’Australia. Ma dove trovare tanta terra? Sicuramente non in Francia o nel Regno Unito (paesi tra i sostenitori di queste Soluzioni). Il rischio evidente è che a perdere le loro terre siano molti popoli indigeni e comunità locali, tra i meno responsabili per la crisi climatica.
Amarlal Baiga, uomo Baiga dell’India, spiega bene l’impatto che i progetti di afforestazione per compensazione hanno sulla sua comunità. In questo caso si tratta di compensazione di biodiversità (biodiversity offsetting), ma il processo e le conseguenze devastanti sono le stesse. “Il Dipartimento alle Foreste ha recintato con la forza il mio terreno, e ha fatto lo stesso con i campi di tutti gli altri. Hanno messo recinzioni e piantato alberi teak. Questa terra è nostra, apparteneva ai nostri antenati. Ci hanno fatto piantare gli alberi e ci hanno imbrogliati dicendo: ‘queste piante vi gioveranno’ ma ora ci minacciano e dicono: ‘questa giungla è nostra e questa terra non vi appartiene più. ”In definitiva, i popoli indigeni, i piccoli agricoltori, le comunità locali, i pescatori perderanno le loro terre per una crisi climatica che non hanno provocato.
È assurdo che un cacciatore-raccoglitore del Bacino del Congo – il cui stile di vita ha alimentato e protetto quelle foreste – perda la possibilità di accedere alla terra e al cibo che lo sostengono, o che sia torturato e abusato da parte dei guardaparco, perché dall’altra parte del mondo un ricco uomo bianco, le cui aziende inquinano in modo massiccio, pensa di poter compensare le sue emissioni creando un’Area Protetta in Congo – invece di smettere di sfruttare i lavoratori, pagare le tasse e semplicemente fermare le emissioni.
Anche il piano di trasformare il 30% del mondo in Aree Protette viene presentato come un mezzo per mitigare i cambiamenti climatici. Ma, a parte l’impatto disastroso sulla diversità umana, non ci sono prove scientifiche a conferma del fatto che raddoppiare le Aree Protette sia davvero un bene per la natura. Dei 20 obiettivi del precedente piano di azione globale sulla biodiversità, relativi al decennio 2010-2020, l’unico raggiunto è stato quello di trasformare il 17% della Terra in Area Protetta. Eppure, secondo la stessa industria della conservazione, nello stesso periodo la biodiversità è calata ancora più rapidamente. Uno studio del 2019 che analizza oltre 12.000 Aree Protette in 152 paesi ha rivelato che, con alcune singole eccezioni, negli ultimi 15 anni queste aree di conservazione non hanno fatto nulla per ridurre la pressione umana sulla fauna selvatica. Anzi, all’interno di molte di esse, la pressione è aumentata rispetto alle aree non protette. Molte Aree Protette aprono le porte al turismo di massa e spesso ospitano caccia ai trofei e attività minerarie e di taglio del legno.
I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale. Le prove dimostrano che sanno prendersi cura dei loro ambienti e della fauna meglio di chiunque altro: non è un caso che l’80% della biodiversità terrestre si trovi proprio nei loro territori.
I popoli indigeni e tribali si trovano sulla prima linea del fronte dei cambiamenti climatici.
Ne soffrono già le conseguenze, ma le loro voci vengono ridotte al silenzio o marginalizzate.
Vivono in luoghi ove l’impatto dei cambiamenti climatici è tendenzialmente maggiore, e dipendono in gran parte dall’ambiente naturale per i loro mezzi di sostentamento e i loro stili di vita.
I popoli indigeni sono più vulnerabili degli altri ai cambiamenti climatici, ma sono paradossalmente anche coloro che hanno contribuito di meno ad alimentarli.
I popoli indigeni devono essere i partner principali nella lotta ai cambiamenti climatici e i loro diritti territoriali devono essere riconosciuti. Sono i migliori custodi del mondo naturale e le prove dimostrano che i loro territori costituiscono la miglior barriera alla deforestazione. I popoli indigeni hanno conoscenze uniche dei loro ambienti.
Per cambiamento climatico si intende l’aumento medio della temperatura terrestre prodotto dalle emissioni di gas serra generate dall’uomo. Deriva in gran parte dalla combustione di combustibili fossili, ma anche dalla deforestazione, che causa circa il 10% delle emissioni. Le foreste, infatti, fungono da “serbatoi” che assorbono e conservano il carbonio, che viene però rilasciato se le foreste bruciano.
Sebbene siano le società industrializzate a provocare i cambiamenti climatici, molte delle soluzioni proposte per mitigarli accollano ai popoli indigeni il prezzo da pagare per la distruzione che “noi” stiamo causando. Queste presunte soluzioni vengono decise e imposte senza il consenso dei popoli indigeni.
Le prove dimostrano che i popoli indigeni comprendono e gestiscono il loro ambiente meglio di chiunque altro. L’80% della biodiversità terrestre si trova nei territori indigeni, e quando i loro diritti territoriali sono garantiti, gli indigeni ottengono risultati di conservazione pari o superiori a quelli delle alternative, e a una frazione del loro costo.
Ciò nonostante, nel nome della “conservazione” i popoli indigeni vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali per creare parchi nazionali e altre aree protette che dovrebbero mitigare i cambiamenti climatici.
- Dobbiamo decolonizzare il movimento ambientalista e dare spazio alle esperienze, alle voci e alle opinioni dei popoli più marginalizzati e vulnerabili del mondo. I popoli indigeni vivono e gestiscono i luoghi più biodiversi del pianeta da generazioni.
- Dobbiamo portare la diversità umana al centro dell’azione climatica perché sono proprio coloro che vivono in modo più diverso da noi a darci alcune delle migliori risposte sul come si dovrebbe vivere.
- Dobbiamo fermare il furto di terra che viene promosso nel nome della conservazione o del cambiamento climatico.
È una questione della massima urgenza. Per i popoli indigeni, per la natura, per tutta l’umanità.
“Al momento, abbiamo il dono della biodiversità, ma se lo perderemo, non perderemo solo animali e piante: soffriremo anche noi umani allo stesso modo. Posso dirvi che qui ci sono fiumi che si stanno prosciugando e non è mai successo prima. Oggi non possiamo più mangiare i manghi selvatici come eravamo soliti fare durante la stagione secca, perché non crescono più come prima. E questi sono solo alcuni dei cambiamenti in corso causati dalla distruzione della foresta.” (Baka, Camerun)
Gli schemi di compensazione come le Soluzioni Basate sulla Natura dovrebbero essere abbandonati, e al loro posto i governi dovrebbero mettere in atto vere regolamentazioni per le aziende e la finanza al fine di contrastare le vere cause della distruzione ambientale: lo sfruttamento delle risorse naturali per profitto e il crescente sovra-consumo, trainati dal Nord Globale.
Dobbiamo anche decolonizzare i nostri approcci e smettere di marginalizzare e ridurre al silenzio i popoli indigeni e altre comunità locali che proteggono il nostro pianeta da generazioni. Per ottenere questo i governi devono rispettare, proteggere e far rispettare pienamente i diritti territoriali dei popoli indigeni e di altre comunità locali.
Infine, abbiamo bisogno di un cambiamento radicale della nostra struttura economica e del nostro stile di vita. Le uniche soluzioni giuste e reali per fermare i cambiamenti climatici arriveranno solo quando questi temi saranno portati sui tavoli dei dibattiti.
Fino ad oggi, i leader mondiali, le aziende, le ONG della conservazione e alcuni movimenti per il clima nel Nord Globale non sono stati in grado di farlo.