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"ITALIANI, BRAVA GENTE", ovvero del brutto e del buon esempio del colonialismo

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NEUE FABRIK

Dec 15, 2021

Nella foto, partigiani montenegrini fucilati dai militari italiani durante l'occupazione italiana

"ITALIANI, BRAVA GENTE", ovvero del brutto e del buon esempio Nella foto, partigiani montenegrini fucilati dai militari italiani durante l'occupazione italiana 1 - L'OCCUPAZIONE MILITARE ITALIANA IN MONTENEGRO (Italiani, pessima gente) «[...] purtroppo non mancarono episodi di brutalità da parte di singoli nostri soldati. In località Pjesivci, alcuni militari della Taro stuprarono due ragazze - Milka Nikcevic e Djuka Stirkovic - per poi ammazzarle sparando loro al seno. Un'altra donna, Petraia Radojcic, fu bruciata viva nella sua casa. A Dolovi Stubicki furono massacrati dieci anziani, uomini e donne. Per aver dato ausilio ai ribelli le popolazioni dei villaggi della Pjesivica furono punite con la requisizione di oltre 1.000 pecore e capre e di 50 bovini.» (G. Scotti - L. Viazzi, L'inutile vittoria: la tragica esperienza delle truppe italiane in Montenegro, Milano, Mursia, 1998, p. 271) Tra il febbraio e l'aprile 1942 i battaglioni alpini "Ivrea" e "Aosta" operarono una serie di rastrellamenti nella zona delle Bocche di Cattaro, fucilando 20 contadini e distruggendo 11 villaggi (Bjelske, Krusevice, Bunovici, Gornje Morinje, Repaj, Zlijebi, Gornje, Djurice, Sasovici, Kuta, Presjeka, Lastra, Kameno e Bakoci). Il 7 maggio 1942 a Cajnice, dove già nel dicembre 1941 si era verificato un attacco partigiano a seguito del quale erano morti alcuni soldati italiani, il generale del Regio Esercito, Esposito, ordinò l'esecuzione di 70 ostaggi presi tra la popolazione civile, seguendo le indicazioni dettate da Pirzio Biroli (Governatore): «i condannati vengono condotti sull'altura che domina la cittadina, ed io che li vedo passare mentre salgono al luogo del loro supplizio sono addirittura impietrito! Penso che poteva toccare a me l'ingrato compito di comandare il plotone di esecuzione che li ha falciati a dieci per volta: una scena terribilmente squallida che non dimenticherò mai, vivessi mille anni.» ("Diario di guerra del sottotenente del Regio Esercito Filippo Piccinelli", in G. Scotti - L. Viazzi, op. cit., p. 338) Il 20 giugno 1942 Pirzio Biroli fece fucilare 95 comunisti. Il 25 giugno 1942 a Cettigne, in rappresaglia di un attacco partigiano alle truppe del Regio Esercito che aveva provocato la morte di 9 ufficiali italiani, vennero fucilati 30 montenegrini. Il 26 giugno 1942 a Nikšić il giovane Dujo Davico, che lavorava come cameriere presso la mensa degli ufficiali del comando italiano del 48º reggimento fanteria "Ferrara", lanciò contro di loro una bomba a mano. Nonostante l'azione non provocò vittime, per rappresaglia vennero fucilati 20 prigionieri comunisti per opera dei carabinieri italiani. (Davide Conti, L'occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» (1940-1943), Odradek, Roma 2008, p. 136) Un altro aspetto dell'occupazione italiana del Montenegro è stato l'internamento dei montenegrini: al termine del conflitto nei campi di concentramento siti in Italia, Jugoslavia e Albania erano presenti 26.387 montenegrini.



2 - IL RISCATTO (Italiani brava gente) Dopo l'8 settembre 1943 e la conseguente occupazione tedesca dell'area, lo sbandamento delle truppe italiane fu totale. Da qui, la scelta: « … Il maggiore adunò la mattina del 2 ottobre (1943) il battaglione e mise ancora una volta ognuno di noi di fronte alla situazione nella quale ci eravamo venuti a trovare dopo gli sviluppi degli ultimi giorni. (…) ( e disse) “D'ora innanzi noi siamo dei volontari, non voglio esercitare la mia autorità nel comandarvi in questa nuova lotta che ognuno deve liberamente scegliere. Nulla vi offro all'infuori della libertà, ma solo sacrifici per raggiungerla e conservarla”. Decise poi che solo i capisquadra raccogliessero i nomi di coloro che volevano restare e di coloro che preferivano di arrendersi, evitando così qualunque imposizione e dando a ciascuno la possibilità di agire liberamente. …» (Irnerio Forni , Alpini garibaldini. Ricordi di un medico del Montenegro dopo l'8 settembre, Milano, Ugo Mursia, 1992, p. 40) Le oggettive difficoltà e incomprensioni iniziali con i partigiani furono superate dagli stessi considerando il comportamento dei soldati italiani contro i tedeschi. Dalla precedente organizzazione della Divisione alpina "Taurinense", furono costituite, su base volontaria, le prime due brigate di 800 uomini ciascuna che si aggregarono alla Divisione di fanteria da montagna “Venezia” , ancora unita e composta da 15 000 uomini. La divisione “Venezia”, che era stata fortunata di essere accampata a Berane e che si era difesa dagli attacchi tedeschi, ebbe anche la possibilità di ricevere, dopo diverse traversie, un piccolo aereo delle Forze armate italiane, dipendenti dal Governo del Generale Pietro Badoglio, con i codici cifrati che permisero di mantenere i collegamenti con i Comandi Militari dislocati nel Sud d'Italia. Il 3 dicembre 1943, nei pressi di Plevlja, fu costituita così una formazione partigiana, esclusivamente su base volontaria e individuale, la Divisione italiana partigiana "Garibaldi" con quattro brigate, alle dipendenze strategiche del II Korpus dell'Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo. Secondo Scotti e Viazzi, la denominazione fu imposta dal II Korpus dell'EPLJ ma, comunque gli italiani ebbero l'avallo dello Stato Maggiore del Governo Badoglio. Per richiamarsi a Garibaldi fu adottato un fazzoletto o una cravatta rossa. Nel gennaio 1945 la prima brigata inseguì il nemico nazista fino alla città di Sarajevo. La divisione italiana partigiana Garibaldi si riunì, alla fine dei combattimenti, nel porto dalmata di Ragusa per rientrare in Italia. I sopravvissuti furono, rispetto ai 24.000 militari degli organici delle Divisioni "Venezia" e "Taurinense" alla data dell'8 settembre 1943, solo 3.500. (Tutti i brani sono tratti da Wikipedia, voce "Occupazione italiana del Montenegro e del Sangiaccato")

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