Neue Fabrik
Sep 15, 2022
Racconti e brevi saggi su un'esperienza di relazione da copiare, e che suggella un progetto di recupero umano e animale
Pre-historia.
A gennaio 2020, chiude definitivamente il "mattatoio" del carcere dell'isola Gorgona (Toscana).
Un sogno che si era esaudito già negli anni ’90 quando il macello venne chiuso e l’isola di Gorgona divenne un modello di convivenza tra uomini e animali. Fino a che, nel 2015, non si decise di riaprire il mattatoio ponendo fine alla magia.
In seguito a quella riapertura, numerose furono le proteste, LAV in testa, ma ci sono voluti anni per ottenere risposte e ora, finalmente, si è arrivati nel gennaio 2020 alla chiusura definitiva.
La nuova esperienza di convivenza tra uomini e animali diventa un libro (Carmignani Editrice, 2022)
Dal binomio «carcere più macello» ad un laboratorio di difesa delle altre specie e di riscatto per gli umani. È il progetto portato avanti per due anni dall’associazione Lav, con la direzione del carcere: la chiusura definitiva del macello e la salvezza di quasi 600 animali, trasferiti sulla terraferma in rifugi o dati in adozione.
Tre i protagonisti: un direttore visionario, un veterinario che decise di ottemperare al giuramento di Ippocrate anche nei confronti dei suoi pazienti animali e soprattutto i detenuti, che pensarono di non poter esercitare violenza e prevaricazione neanche sugli animali.
E l’empatia verso gli animali prende forma tra le righe dei vividi racconti elaborati dai detenuti, grazie a un laboratorio di scrittura.
E allora ecco il pappagallo Ciccio che, nel carcere di Volterra, «sapeva ormai parlare in molte lingue in quanto noi eravamo provenienti da tanti paesi. Parlava e cantava sempre, rallegrando le lunghe giornate».
E il piccolo passero in difficoltà, appena nato, adottato da un altro detenuto in un soggiorno carcerario precedente a Gorgona: «Era capace di seguire i gesti della mia mano e si spostava quasi seguendomi, come se volesse imparare a vivere grazie alla mia mano. A quel tempo ero in una cella del carcere di Fossombrone e accadde che un detenuto mio amico mi portò quell’uccellino in difficoltà, sapendo che io avrei trovato il modo per aiutarlo. Lo avevo chiamato Mia – era una femmina – e quando le facevo vedere il mio dito e la chiamavo ci saltellava sopra. Quell’abilità era nata dalla mia determinazione a insegnare a Mia che se saliva sul mio dito avrebbe poi avuto del cibo. Era uno scambio di favori che ci facevamo, con il mio desiderio di accudirla e il suo desiderio di ricevere del cibo da me».
ARTHUR, UN ALTRO detenuto-scrittore, alla domanda «Che animale vorresti essere» risponde che non vorrebbe essere un’aquila perché «caccia animaletti che non fanno male a nessuno»; idem per lo squalo o il leone. Dunque… «scelgo la formica, perché tra di loro sono unite, capaci di proteggersi e cosa più importante puliscono il proprio ambiente dal marcio, dagli invasori, dalla sporcizia».
E POI IL RACCONTO DI un detenuto indiano: un toro portato in uno dei cinquemila ricoveri per bovini dove alla fine domò la sua rabbia per un’offesa ricevuta. E tartarughe, falchetti, il cavallo Diego. E Andrea che scrive della sua «voglia di essere un albatros, nomade, solitario e avventuriero come me».
brani scelti da: MARINELLA CORREGGIA - ilmanifesto.it - ediz. 15 sett. 2022