top of page

Attacchi mortali al Servizio Sanitario Nazionale: il medico a gettone e altre reali minacce alla sanità pubblica

c4e0eb_244c3fe04efb43dfbce05525928c403a_mv2.jpg

Neue Fabrik

Dec 29, 2022

SANITÀ. È il risultato di un processo di aziendalizzazione senza freni della sanità pubblica. Se in sanità la destra fa esattamente quello che ha fatto la sinistra, restando del tutto subalterna alle visioni contro-riformatrici, neoliberali, privatizzanti e de-capitalizzanti del Pd, allora per la sanità è finita.

di TIZIANA SANPIETRO e IVAN CAVICCHI

TIZIANA SANPIETRO


Un gettone. Un oggetto familiare: per lavanderia, autolavaggio, anche per la felicità, secondo una canzone antica, «per i ragazzi del joukebox». Oggi con un gettone si può avere un medico. Un gettone caro, per un turno può costare 1440 euro, mezzo stipendio mensile netto di un dirigente medico ospedaliero.

Un medico su 3/4, ci pensa seriamente a mollare il «posto fisso» per questa allettante alternativa, Il gettone è caro e mina i bilanci della Sanità. Si è allarmata anche l’Autorità Anti Corruzione, che invoca provvedimenti del governo per regolare il fenomeno – e quindi legittimarlo.


DI PIÙ, È AVVERTITO COME pericolosissimo, capace di divellere il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). È così, e ha radici profonde, che vale la pena di analizzare, sganciandosi dal piano-subalterno-economicista, sulle percentuali di PIL e via dicendo. Non erano «economiciste» le scelte che hanno voluto aziendalizzare la sanità, né quelle per depotenziarla nella disponibilità di finanziamenti e di «risorse umane». Erano economiche a precise scelte politiche, ideologiche, di indirizzo strategico, quelle agite da tutti i governi negli ultimi trent’anni. Scelte di neoliberismo ferocissimo.

Un gettone per un medico. Fenomeno di stranezza scuotente, quanto un gettone per un filosofo, un fisico, un matematico. Difficile immaginare.

Al medico a gettone si arriva dopo un lungo processo che porta alla perdita di senso, di valore, di autonomia intellettuale, della specificità e della insostituibilità del fare e dell’essere medico. È il risultato nudo, in primis, (le altre ragioni richiedono altro spazio di analisi) di un processo di aziendalizzazione senza freni né adattamenti (mimando, grottescamente, per la sanità, regole di una qualsiasi azienda ed essendo invece altro da questa).


PROCESSO IN CUI IL MEDICO è solo una parte dell’ingranaggio per produrre, di più, più in fretta, prestazioni, non salute. Una visita di controllo venti minuti, quaranta se prima visita. (qualsiasi gettone -non è infatti a tempo?). Più visite, più interventi, più esami. Più protocolli, più resoconti, più procedure.

In un turbinio alienante, dove tutto è nominato per conquistare una sorta di moral suasion alla modernità (budget, manager, accreditamento, patient centered medicine, best practice). Dove, invece, il medico non conta nei processi decisionali (i piani strategici e gli investimenti). Il medico o l’équipe eccellente, può avere la fortuna di brillare di fama, concessa nelle lodi pubbliche di questo o quel Presidente di Regione, Assessore, Direttore Generale.

I medici in questione diventano «prestigiosi, eccellenti, coraggiosi», i «I nostri medici», per far brillare di luce riflessa il lodatore di turno. Lodatori che, pur di poter brillare, improvvisandosi «capitani di ventura» -fuori da qualsiasi norma vigente- offrono contratti «a chiamata» di medici famosissimi, come se fossero loro stessi i manager di strutture sanitarie. Fama che spesso rovina ignominiosamente nell’inganno e nella truffa (citazione di storie vere.) Storie di deregulation e di eversione rispetto allo stato di legittimità. Esempi estremi di «autonomia della politica».


L’AZIENDALIZZAZIONE ha protetto, in un fortino, l’autoritarismo della politica in una cascata gerarchica stringente: presidente di regione, assessore alla sanità, direttore generale-con i suoi associati direttore amministrativo e direttore sanitario – e i primari; tra i tre che superano il concorso, il vincitore del primariato è scelto dal direttore generale (criteri scientifici?!). Autoritarismo modulare che si ripropone come matriosche nelle varie strutture organizzative (Dipartimenti, Unità complesse, dipartimentali, semplici).


DISSENSO, CONFRONTO, pluralismo di opinioni? Ovviamente, no. Se non bastasse la impossibilità materiale di partecipare «costruttivamente», ogni medico è fidelizzato de quo all’Azienda in cui presta servizio; non può nemmeno criticare in pubblico le scelte dell’Azienda in cui lavora (sono testimone di un ottimo medico sospeso dal servizio per un post critico su Facebook). E, ora è prevista la Netiquette nel codice di comportamento, per i dipendenti della PA, «che andrà orientato alla soddisfazione dell’utente e dei dirigenti che dovranno favorire il benessere organizzativo» (v. art 11-ter testo di riforma del Dpr62/2013).


IL PROCESSO di aziendalizzazione cieco reifica insieme, il medico e il malato. La scelta del gettone, è un gesto di disperazione, di abiura. E necessario un movimento largo per poter arrestare lo scempio della sanità pubblica, all’insegna di «Siamo tutti medici», che unisca la società civile alla maggioranza dei medici che sin ora hanno retto il sistema; quei medici che si ostinano ad agire in senso contrario alla disperazione. E gli esempi di pratica medica come «scienza sociale» (R.Virchow 1848) sono innumerevoli, tra i tantissimi, il centro Amazzone di Palermo, modello di integrazione tra medicina e cultura nella cura del cancro. «Siamo tutti medici» per salvare la Sanità pubblica.



di: TIZIANA SANPIETRO

da: ilmanifesto.it - 29 dic. 2022








IVAN CAVICCHI


(...) Il governo Meloni ha scoperto le carte e tutti ormai hanno capito che della sanità pubblica a questo governo, al di là delle chiacchiere, non gli importa niente. Una scelta politica discutibile certo, ma chiara: la sanità la si lascia al suo destino perché nella situazione economica data le priorità politiche sono altre. Punto.

 

Niente di nuovo. Meloni (in barba alla tanto declamata dottrina sociale della destra), giustificata dalla crisi economica, procede, purtroppo, sulla falsariga tracciata dal Pd in questi anni. Molla il più debole, quindi rinnega il diritto fondamentale alla salute, sapendo che comunque il più forte in qualche modo si arrangerà. Quindi di fatto lascia al privato l’intera partita. Il neoliberismo in sanità è sempre stato (il Pd lo sa bene in particolare ci riferiamo alle misure a suo tempo adottate dall’ex ministra Bindi), il passpartout per risolvere tutti i problemi della sanità. Sostenibilità in testa.

 

Ma se l’opzione neoliberale e contro-riformatrice in sanità è alla base della scelta politica di Meloni, non c’è nessuna ragione logica perché il suo governo cambi le politiche a loro volta neoliberali di chi l’ha preceduta. Ed è proprio così: questo governo conferma di fatto il Pnrr dell’ex ministro Speranza e quindi ricalca tutte le scelte contro-riformatrici pregresse del Pd, ma soprattutto conferma la cosa oggi più letale per la sanità, vale a dire i tetti alle assunzioni.


I tetti alle assunzioni sono stati introdotti dal governo Berlusconi IV e facevano parte della politica dei tagli nella legge Finanziaria del 2010 (191/2009). Da allora in poi ribaditi dai governi di centro sinistra fino ad arrivare al governo Conte1 (emendamento Grillo che abolì formalmente il tetto al personale ma a costo zero ), poi al Conte 2 che confermò il tetto (Dl 53 2019), quindi al governo Draghi e ora al governo Meloni( i tetti sono confermati ma con un ridicolo aumento delle tolleranze del 5%).


 

Vorrei chiarire che i tetti alle assunzioni per loro natura si iscrivono nell’ambito del “quasi-mercato” delle prestazioni sanitarie, soprattutto quando un contesto è segnato da pressanti esigenze di contenimento dei costi e di riequilibrio del bilancio. La limitatezza delle risorse insieme al blocco delle assunzioni alla fine rende la tutela della salute un diritto finanziariamente condizionato (addio art 32) fino a riconoscere al governo di turno il potere di ricorrere a politiche emergenziali.

 

Oggi Meloni, nella più perfetta continuità con il centro sinistra, sulla sanità non fa altro che mettere in pista una legislazione emergenziale esattamente come hanno fatto i predecessori. Nel momento in cui Palazzo Chigi ribadisce i tetti alle assunzioni, come ho avuto modo di chiarire su queste pagine, automaticamente dà il via libera al Pnrr (Dm 70). Che l’attuale ministro Schillaci sia un emulo di Speranza, oltre a essere grottesco, è drammatico.

 

Se in sanità la destra fa esattamente quello che ha fatto la sinistra, restando del tutto subalterna alle visioni contro-riformatrici, neoliberali, privatizzanti e de-capitalizzanti, del Pd, allora per la sanità è finita. (...)



di IVAN CAVICCHI

da: ilmanifesto.it - 23 dic. 2022


bottom of page