Neue Fabrik
Nov 13, 2022
di BRUNO MONTESANO
Ciò che andrebbe mantenuto è che la struttura razzista, patriarcale e classista dentro lo scheletro (post)democratico, si può chiamare bene postfascismo.
9 Novembre 2022
L’emergenza democratica che Letta denuncia, ma che ha contribuito a creare, e che Conte nega perché ne è il prodotto, sarà nella combinazione di fascismo e tecnocrazia – che in una battuta è Meloni presidente del Consiglio, un dirigente Bankitalia all’Economia (o un ex ministro) e un tecnico postfascista agli Interni.
Di certo, come è evidente a meno che – come molti editorialisti e politici di centro in area di riconversione al nuovo sovrano – non si sia in malafede, il fascismo oggi non si presenta marciando al passo dell’oca.
E nessuna banalizzazione che passa da madri, padri, parrucchieri e baristi basterà a far dimenticare le origini nel MSI di Meloni. I linguaggi, le strategie, i mezzi di comunicazione sono cambiati.
Tuttavia, il fondo, il nucleo, del fascismo era ed è ancora qui – e ne abbiamo parlato sia qui sugli asini che per il Centro per la riforma dello stato. Oggi c’è la possibilità di istituzionalizzarlo, di portare l’aggressione razzista e patriarcale a un livello superiore.
Vedremo fino a che punto alleanze internazionali, Unione Europea e Presidenza della Repubblica riusciranno a limitare e contenere i danni. Ad ogni modo, per interpretare il comportamento di FdI, come notava Sandro Mezzadra in un’intervista al quotidiano del partito Syriza, il modello del governo a venire sarà quello della Polonia, più che dell’Ungheria – il governo, non la nazione, come spesso si dice sui giornali in modo discutibile. Ovvero un’estrema destra di governo, dentro l’alleanza atlantica, che però si tiene a un passo in più di distanza dal superamento della linea rossa che invece Orban varca a più riprese.
Mentre su die Zeit il giornalista e storico altoatesino Ulrich Ladurner scrive che il fascismo in Italia non ritorna perché non se ne è mai andato, Garton Ash sostiene sul Financial Times che l’Italia non abbia elaborato il fascismo come la Germania. Al contrario, Galli della Loggia sul Corriere della sera giustifica questa differenza. Se i Padri costituenti non hanno escluso i fascisti dalla vita pubblica, perché una classe dirigente di basso livello come quella odierna dovrebbe essere severa con gli eredi del MSI? Il politologo Cas Mudde, che molto ha scritto sul populismo, in particolare della destra radicale, sostiene che Meloni non è né più radicale, né più moderata di altri partiti populisti di destra.
Al contempo, la serietà che tutti riconoscono a Meloni forse porterà una maggior efficacia politica rispetto ad altri pagliacci populisti di governo – che pure con poche mosse hanno provocato enormi sconquassi: “più riforme politiche e meno colpi di teatro”. Efficacia che le sarà garantita anche dalla copertura dei vari tecnici che sta selezionando.
Probabilmente, il governo Meloni non sarà semplicemente un governo Draghi più razzista. Assomiglierà di più al Conte I. Ma sarà peggio. Non per accodarci a chi critica in modo classista e infame i Cinque stelle – ossia i media mainstream di questo paese e centristi vari che parlano di “voto di scambio” tra reddito di cittadinanza e voto al Sud. Ma perché un’opposizione all’altezza del fascismo che viene non può partire da lì. O quantomeno non nei termini ora in campo.
Per farlo cadere il prima possibile, così che non abbia tempo di fare nulla o quasi, servirebbe una sollevazione larga nelle strade, che faccia sponda con chi siede nei luoghi della rappresentanza. In parte, sta già iniziando. Movimenti femministi, studenti, sindacati, movimenti sociali già si stanno mobilitando. Dopo Milano, aumentano le notizie di assemblee straordinarie, picchetti e occupazioni. I comunicati che queste aree producono sono molto chiari sull’intersezione tra oppressione di classe, genere e razza che con questo governo diverrà ancora più feroce.
Qualora, a causa delle tensioni interne alla coalizione di estrema destra, cadesse il governo Meloni – e rimanesse però un parlamento egemonizzato dalle stesse forze –, probabilmente ci sarebbe l’ennesimo governo tecnico che rimanderà il problema alle elezioni successive. L’estrema destra potrebbe uscirne ancora più forte.
Nessuna equivalenza tra neoliberalismo e fascismo quindi, pur consapevoli delle molteplici intersezioni. A questo può servire guardare alle mobilitazioni di chi ha avuto già governi di estrema destra come il nostro. E lo diciamo perché forse il Conte I non è stato percepito come tale, anche da chi vi si è opposto con vigore, se sono bastate le misure non universaliste e selettive dei Conte I e II per farlo dimenticare.
Basta parlare, o leggere quanto dicono, lə attivistə che rischiano la vita in contesti che non sono ‘semplicemente neoliberali’ ma apertamente postfascisti. Dove gli attivisti vengono uccisi nelle strade. Come il Brasile, che andrà al voto in questi giorni. E non sono pochi i parallelismi che si potrebbero fare tra Italia e Brasile. Tra gli altri, anni fa, nel 1977, Guido Carli nella famosa intervista sul capitalismo italiano parlò dell’Italia come Brasile d’Europa: una ricchezza potenziale forte quanto le diseguaglianze che l’accompagnavano, in un contesto con elementi altamente modernizzati.
Ulrich Beck, più recentemente, scrisse (anche discutibilmente) di “brasilianizzazione” del vecchio continente, per descrivere il collasso della protezione sociale – ma era prima di Lula e dei suoi giganteschi piani contro la povertà. Ma sarà sicuramente una inutilmente pessimista suggestione dovuta allo shock di vivere quanto era già largamente prevedibile.
In Italia, vedremo fino a che punto i piani di redistribuzione al contrario (flat tax e abolizione reddito – o comunque restrizione dei suoi criteri d’accesso e importi –, attuazione del PNRR su linee ancora più regressive) saranno sostenibili a fronte di una pandemia non terminata, di una guerra in Europa e di tutte le conseguenze economiche che queste due dinamiche hanno determinato. I tassi sono alti, l’inflazione pure, l’energia costa troppo e il Nord Europa probabilmente continuerà a opporsi a una maggiore integrazione europea.
Come nel Regno Unito, anche in Italia iniziano gli scioperi del caro bollette.
Auspicabilmente, ci saranno diverse mobilitazioni in autunno. Dove prenderà i soldi la destra fintamente sociale di Meloni per fare le sue misure thatcheriane? Ci si chiede inoltre quante imprese riuscirà a rimettere sotto il controllo pubblico o di imprenditori nazionali. Checché ne dicano diversi liberali italiani spaventati dall’apparente statalismo di Meloni, per i postfascisti a contare, più della proprietà, è la nazionalità della proprietà.
In merito alla protezione sociale selettiva – e, in modo implicito, razzialmente connotata –, ci viene detto che M5S non è solo la classe operaia bianca. Certo il voto, in particolare al Sud, ha avuto anche un elemento antifascista e di difesa di quello strumento imperfetto ma necessario che è il reddito di cittadinanza (in realtà un reddito minimo condizionato che apre al workfare e accentua lo sciovinismo del welfare già presenti).
Tuttavia, viene da chiedersi se i primi nemici del reddito (RdC) non siano i suoi difensori. I “Brigatisti per il reddito” (Grillo dixit) dovrebbero autoattivarsi. Ci si dimentica che molti non possono lavorare (40% secondo l’Inps). E che far fare lavori di comunità ai percettori del reddito andrebbe contro chi è contrattualizzato per farli. E che se c’è una contropartita tra reddito e lavoro volontario siamo dentro un sistema di puro workfare, di welfare condizionato.
Roberto Ciccarelli, Giuseppe Allegri e il Basic Income Network hanno spiegato in diverse sedi i problemi del RdC e le colpe dei suoi difensori, non così distanti da FdI nell’impostazione ideologica. È la doppia faccia di neoliberali e populisti.
Nel campo del centrosinistra, che non è votato da chi sta peggio, e che ha enormi responsabilità nel disastro odierno, ci sono macerie. Così è da anni. Si può auspicare che il Pd esploda e che Conte e i vari Toninelli siano sostituiti da dirigenti meno corrotti e implicati con la fase del governo con Salvini. È estremamente improbabile che avvenga. Si vedrà se il sostanzialmente renziano Bonaccini sfiderà la quasi socialdemocratica Schlein o se faranno un ticket che rimanda la resa dei conti a data da definirsi. O se succederà qualcos’altro, sulla linea blandamente neokeynesiana e statalista dei vari Orlando (responsabile con Minniti dei Decreti sicurezza).
Ad ogni modo, al di là delle chiacchiere precongressuali, sarà di qualche interesse vedere cosa farà il Pd in relazione alla manifestazione Cgil dell’8 ottobre – convocata prima delle elezioni ma nella data simbolo del giorno prima dell’assalto alla sede a Roma, nel 2021. Ci saranno poi piazze sindacali congiunte il 22 e il 29 ottobre.
In generale, sarebbe auspicabile che terminasse la trita retorica su Ztl e diritti civili contro diritti sociali – come si può vedere, tra le altre cose, dall’esito nel collegio di Roma 1, da un lato e dalle stucchevoli interviste su Repubblica e dagli editoriali su Domani degli ex premi Strega, dall’altro.
In questa discutibile lettura, ad esempio, la questione dell’immigrazione solitamente viene sussunta sotto la categoria dei diritti civili. Ma è un errore grave: la condizione dei migranti e di chi prova ad attraversare i confini è questione di avere o meno il diritto ad avere diritti e di “vulnerabilità alla morte prematura”, per dirla con Ruth Wilson Gilmore. E i diritti sono indivisibili: sarebbe utile finirla con questa gerarchizzazione, ancora molto forte, che è la retorica e la logica del populismo di sinistra.
Unione popolare ha replicato l’irrilevanza dei progetti precedenti, quasi invertendo la gerarchizzazione di cui sopra, guidato da quell’opportunista che è De Magistris. Liberarsene, come molto già chiedono, potrebbe essere solo un vantaggio per la sinistra radicale. Sinistra italiana/Verdi ha lucrato sulle lotte ambientaliste. Ma non molto efficacemente, a giudicare dagli esiti elettorali – e di composizione del suo elettorato.
Si può sperare e lavorare affinché la pattuglia di eletti in parlamento (Soumahoro su tutti, nonostante i limiti della coalizione all’interno della quale è stato eletto) e di amministratori locali nei vari comuni – da Roma a Torino, da Caserta a Bologna e Milano fino a Reggio Calabria – rafforzino una rete di esperienze civiche e radicali. Il modello potrebbe essere quello delle sanctuary cities negli Stati Uniti contro il governo fascista di Trump.
Enzo Traverso – come molti media internazionali certo non radicali – non ha esitato a parlare della nuova ondata di estrema destra in termini di postfascismo.
Chi vuole aspettare a definire così questo governo italiano, aspetti pure.
Ma i movimenti migliori non attendono affatto. Il 28 settembre a Roma c’è stato un bel corteo di Non una di meno e così in varie città d’Italia.
Sul fronte opposto, dei cosiddetti liberali, Renzi ha già iniziato ad aprire alle riforme costituzionali insieme a Meloni, vaneggiando di fake news rispetto a onde nere e fascismi. Notizie false, perché quelle vere le elaborano e decidono i competenti come lui in Arabia Saudita.
D’altronde era chiaro da tempo che populismo e tecnocrazia si rafforzano a vicenda e cadono insieme.
Nel per ora dissolto “campo largo”, Conte fa un ragionamento sul fascismo simile a quello dei nemici del Terzo polo, pur se con una retorica diversa.
Al contrario, Letta, a parole, si dice estremamente preoccupato – anche se la colpa del disastro è in buona parte sua e del suo partito centrista che inseguendo l’Agenda Draghi ha minato l’unico argine possibile all’estrema destra.
Ognuno si sceglie le analisi che più lo convincono – o che gli convengono – e reagisce in base al pericolo percepito.
Ad ogni modo, senza tirare in ballo fascismi eterni e altre figure mitologiche, ciò che andrebbe mantenuto è che la struttura razzista, patriarcale e classista dentro lo scheletro (post)democratico, si può chiamare bene postfascismo.
da: gliasinirivista.org - 9 nov. 2022