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FRANCO CESANA, il piccolo partigiano "Balilla"

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NEUE FABRIK

Oct 28, 2021

Era un ragazzino ebreo in fuga dalle persecuzioni razziali. Scelse la lotta partigiana, imbracciò uno Sten e fu ucciso dai tedeschi sei giorni prima di compiere 13 anni

"Balilla". Il balilla lui non lo aveva mai fatto, proibitogli in quanto «appartenente alla religione ebraica».


Franco era nato a Mantova il 20 settembre 1931, il più piccolo di tre fratelli, rimasti ben presto orfani del padre. La madre lo mandò dunque all’orfanotrofio israelitico di Torino, che accoglieva ragazzi in difficoltà. Ci restò fino al 1941, quando la struttura venne chiusa, dopodiché fu mandato a Roma, all'Istituto Pitigliani, di fronte alla sinagoga, chiuso anch'esso nell'anno seguente, sempre a causa delle leggi razziali fasciste, nel 1942.


Ai primi del ’43 si ricongiunge alla famiglia ed i Cesana trovarono rifugio nell’Appennino modenese. Non fu certo un rifugio comodo: le pur buone famiglie, terrorizzate dalle pene minacciate dal nazista per chi avesse nascosto ebrei, dopo pochi giorni rimettevano i Cesana in mezzo alla strada; bisognava quindi fuggire di casolare in casolare, temendo sempre di essere denunciati: il terrore era diventato la normalità.



Intanto il fratello Lelio era andato col partigiani. Il sogno di Franco allora divenne quello di dividere con quegli uomini le loro gioie e la loro gloria… ma lo tratteneva l’affetto per la madre, che sarebbe rimasta poi sola: come poterla abbandonare? Il dolore e l’insofferenza per l’ingiustizia ebbero però il sopravvento, e Franco fuggì di casa, raggiunse i partigiani, e chiese di essere accolto in una formazione, con il nome di battaglia che, chissà perché, scelse: Balilla.


Il comandante aveva esitato ad accogliere la domanda, ma vedendo il sincero ardore del giovane (che aveva dichiarato di avere diciott’anni, dato il vigoroso fisico!) accondiscese, affidandogli il delicato incarico di staffetta portaordini: Franco divenne quindi partigiano della divisione Garibaldi sotto il Comandante Marcello e partecipò a numerosi scontri con i tedeschi.

Dopo qualche tempo Franco inviava alla madre una lettera consolatrice e rassicurante :






Carissima mamma,

Dopo la mia scappata non ho potuto darti mie notizie per motivi che tu immagini.

Ti dò ora un dettagliato resoconto della mia avventura: partii cosi all’improvviso senza sapere io stesso che cosa stavo facendo. Camminai finche potevo poi mi fermai a dormire in un fienile in localita Osteria Matteazzi. Al mattino svegliandomi con la fame ripresi a camminare in direzione di Gombola, sfamandomi con delle more. Arrivai a Gombola verso le 9 e di lì cercai i partigiani, deciso a entrare a far parte di una qualche formazione. Riuscii a trovare patrioti che mi insegnarono la strada per andare al Comando che si trovava a Maranello di Gombola. Andai alla detta localita stanco morto, ma mi feci coraggio e mi presentai. Dopo un po’ mi si presentò l’occasione di entrare a far parte della formazione Marcello.

Sei contenta? Presentandomi a Marcello fui assunto e, siccome ho studiato, fui dislocato al Comando e attualmente mi trovo stabile relativamente sicuro in una località sopra Gombola.

Cosi non devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima, solo un po’ precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Così chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale che ormai abbiamo finito.

Affettuosamente ti bacio e ti penso il tuo tesoro.

Franco

N.B. Salutami pure Lelio e digli di non fare il cattivo, ti raccomando, appena ricevuta la mia, bruciala.

Ancora ti saluto e ti abbraccio,

Franco




«Fra gli uomini di Marcello vi è un ragazzetto di circa 12 anni. Si era aggregato alle formazioni azzurre dicendo di non avere famiglia», scrisse poi il partigiano “Roberto”. E il comandante: «Data la sua intelligenza e vivacità poteva essere un ottimo portaordini in momenti delicati. A malincuore, ma tanto era stato il suo entusiasmo, avevo aderito che portasse con sé uno Sten».


In quel fatidico giorno del 14 settembre 1944, solo pochi giorni dopo una fugace visita alla madre tanto amata, con la promessa di tornare da lì a pochissimi giorni per il suo compleanno, arrivò quel «crepitio di armi automatiche contro il raggruppamento partigiano» e il gesto istintivo di proteggere il suo comandante, che aveva un braccio solo, tirandoglisi sopra con il suo giovane corpo.

Faticarono a seppellirlo.

Con tanti preti partigiani nella zona, quello di Pescarola rifiutò di metterlo nel cimitero del paese. Poi lo obbligarono, e solo così Franco andò sotto terra.


Il 20 settembre 1955 gli veniva conferita, alla memoria, la Medaglia di Bronzo al valor militare, con la seguente motivazione:


“Adolescente pieno di slancio e di spirito patriottico, appena tredicenne si arruolava nelle formazioni partigiane della zona, segnalandosi per ardimento e sprezzo del pericolo in missioni di staffetta e in numerose azioni di guerra. Nel corso di un rastrellamento, si lanciava con decisione e coraggio contro un reparto avversario che cercava di infiltrarsi nello schieramento, ma colpito a morte cadeva da eroe, incitando i compagni a persistere nella lotta.

Picciniera di Gombola, 14 settembre 1944”.

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