Neue Fabrik
Aug 24, 2022
di Soumaila Diawara
Soumaila Diawara
25 agosto 2022
E sono otto anni che questa paura mi accompagna, da quando sono fuggito dal mio paese, dalla mia terra, in cerca di salvezza. Salvo sì, ma morto dentro. Gelato dal terrore. Vivo in una terra straniera, dove quando cammino, devo guardarmi le spalle. Mai al riparo da uno sputo, da uno schiaffo. O anche di peggio. Ho paura ed il mio cuore a volte, viene quasi a mancare. Per un’ombra in un vicolo, per una divisa, per un essere umano come me, ma che non parla con me. Non capisco né comprendo tutto questo disprezzo. Sono vittima del vittimismo a sua volta. Temo per me. E così, smetto di vivere. L’Italia è un paese bellissimo, lo posso vedere in ogni angolo della sua lunghezza, ma nessuno vede la bellezza quando a convivere costantemente con lui c’è la paura. Non nasce da ombre, non nasce da detti né da leggende, nasce da fatti. Le cicatrici sulla mia pelle ne sono testimoni. Mi hanno picchiato poiché sono nero. Mi hanno sputato addosso poiché sono nero. Un colore che mi distingue. E che mi estingue. L’ansia è la mia eterna compagna. Tutti a dire che va tutto bene, che non è niente. Tutti a banalizzare il mio buio che prosegue oltre la mia pelle. Il mio non è dolore, è paura, angoscia, stress che il giorno di domani possa diventare l’inferno. Poiché io l’inferno, l’ho attraversato. Non ho padri o madri con lasciti che possano giovare al mio presente. Loro aspettano che sia io a dare loro una sepoltura decente. Ho paura. Ed è vero. E questo l’ho scoperto pensando ai miei fratelli e sorelle che potrebbero cadere vittime della trappola in cui i nostri corpi servono al paese, ma le nostre anime sono ributtate al mare. La vita del nero, a volte, è più nera dello stesso buio della notte.