NEUE FABRIK
Dec 9, 2021
Antifascisti che vengono etichettati come fascisti: così l’estrema destra francese prova a staccare le parole dalle cose
Si tratta di un paziente lavoro di sovversione semantica, portato avanti dall’estrema destra da anni. Un lavoro che ha permesso in particolare agli attivisti antifascisti di essere qualificati come “fascisti”, e recentemente agli antirazzisti come “nuovi razzisti”. Peggio ancora, questo sforzo di dinamizzare il linguaggio ha contaminato parte del dibattito mediatico e pubblico. Così, quando Éric Zemmour (politico francese di estrema destra candidatosi per l'Eliseo 2022) viene impedito dagli “antifas” di compiere serenamente la sua visita a Marsiglia, i suoi sostenitori gridano sui social network i “metodi fascisti” degli antifascisti. Un’inversione di tendenza che è stata martellata nella stampa di destra e di estrema destra per mesi. Qualche settimana prima, su un sito di estrema destra, 'Boulevard Voltaire', era stato l’editorialista canadese Mathieu Bock-Côté a spiegare che gli “antifas”, “queste milizie di estrema sinistra” che perseguitano il candidato patriota Éric Zemmour, “ci ricordano che anche il totalitarismo porta una bandiera rossa”. Il giorno dopo che gli attivisti di 'SOS Racisme' sono stati picchiati dai sostenitori di Zemmour, l’avvocato Gilles-William Goldnadel ha scritto un editoriale su Le Figaro criticando l’atteggiamento degli “antifas” che volevano mettere a tacere il polemista di estrema destra con la violenza.” Questo Goldnadel ha anche appena pubblicato 'Manuel de résistance au fascisme d’extrême gauche' (Éditions de Passy), che descrive come “vietata la vendita a tutti coloro che non hanno ancora capito che il fascismo si trova oggi all’estrema sinistra dello spettro politico e intellettuale”. “La retorica dello specchio permette di rimandare all’avversario le accuse di fascismo o di violenza per tagliare il terreno e, soprattutto, annegare il significato di queste espressioni. L’idea, chiamando chiunque – soprattutto gli antifascisti – fascisti, è di screditare non solo gli avversari politici ma la nozione stessa di fascismo come sistema di pensiero e di organizzazione della politica totalitaria”, spiega la ricercatrice Cécile Alduy, che pubblicherà La langue d’Éric Zemmour (Seuil) a febbraio. “Questo sminuisce l’accusa contro Zemmour e i gruppi neonazisti che lo sostengono e che erano presenti alla sua riunione a Marsiglia. Se gli antifascisti sono ‘fascisti’, nessuno lo è, la parola non ha più senso”, ha continuato. Da alcuni anni stiamo assistendo a un’inversione semantica a fini politici. Si tratta di staccare le parole dagli oggetti o dai gruppi che normalmente designano per rivolgerle contro le stesse persone la cui lotta politica è quella di lottare contro certe forme di discriminazione o di violenza, accusandole di fare ciò che condannano. Così, accusando gli attivisti antirazzisti di essere “razzisti”, si implica, in definitiva, che sono “razzisti”. Il sillogismo è spaventoso: gli antirazzisti parlano di razzismo, quindi usano la nozione di “razza”, quindi sono “razzisti”, il che sottintende “razzisti”. Un trucco puramente lessicale e retorico”. Già negli anni ’60, il teorico di estrema destra Dominique Venner teorizzava che, all’indomani della seconda guerra mondiale, era necessario “reinventare il vocabolario politico, imporre le proprie parole e cambiare quelle dei propri avversari”. In Francia, questa sarà la lotta principale della 'Nouvelle Droite' di Alain de Benoist – un bell’eufemismo per questo gruppo radicale – a partire dagli anni 70. L’adozione della legge Pleven nel 1972, che penalizzava i discorsi razzisti, ha anche costretto l’estrema destra a riformulare il suo discorso. “Non diciamo più ‘razza’ ma ‘identità'”, secondo la nuova retorica adottata dagli identitari e portata oggi da Jean-Yves Le Gallou, presente in prima fila all’incontro di Zemmour a Villepinte, periferia di Parigi, del 5 dicembre. Nella squalifica degli oppositori – antirazzisti, antifascisti – da parte dell’estrema destra, il ruolo di un intellettuale come Pierre-André Taguieff è stato decisivo. In un articolo pubblicato nel 1986 in un’opera collettiva alla quale partecipava anche il pensatore della 'Nuova Destra' Alain de Benoist, Taguieff tracciava un primo suggestivo parallelo tra gli “antirazzisti” e i razzisti. Denuncia la “politicizzazione dell’antirazzismo” che “gli conferisce una funzione strumentale in una guerra ideologica, uno dei cui obiettivi è paralizzare l’avversario”. Gli antirazzisti sono censori guidati da un’ideologia totalitaria. Questa è una linea di pensiero che continuerà ad esplorare di libro in libro e che sarà emulata anche in Italia dai nuovi ideologi identitari. Éric Zemmour è erede di una lunga tradizione di sovversione semantica condotta dai fautori della battaglia culturale di destra. E anche la stampa da qualche settimana indulge in queste pericolose analogie. * LUCIE DELAPORTE, mediapart.fr, 10 dic. 2021