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Perché siamo numeri

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Neue Fabrik

Oct 14, 2022

di ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Alessandro Ghebreigziabiher immagina il dialogo tra una mamma e un bambino segnato dall’ossessivo interrogativo sulle ragioni che rendono questo mondo talmente ingiusto da non essere spiegabile: perché?

12 Ottobre 2022


Secondo l’Oxfam,

metà dei paesi poveri nel mondo ha tagliato la spesa sanitaria, oltre ad aver fatto lo stesso con l’istruzione e l’alimentazione, mettendo a rischio la sopravvivenza di milioni di persone, soprattutto bambini. Il tutto in buona parte a causa dell’aumento degli interessi sul debito da loro detenuto da parte delle nazioni più ricche come Stati Uniti, Regno Unito, Cina, Francia e Germania e dai maggiori istituti finanziari. Alessandro Ghebreigziabiher immagina il dialogo tra una mamma e un bambino segnato dall’ossessivo interrogativo sulle ragioni che rendono questo mondo talmente ingiusto da non essere spiegabile: perché?



C’erano una volta l’uomo bianco e quello nero… e no, dài, non va bene, perché così dicono che si sentono sempre accusati, che quelli si lamentano, ma che colpa ne ho io, pure qui abbiamo i nostri problemi, prima il Covid e poi pure il caro bollette, non possiamo accogliere tutti, ognuno a casa propria, a noi e anche peggio, visto che ora siamo al potere quasi ovunque, cribbio.


Okay, ci riprovo: c’erano una una volta i paesi ricchi e quelli poveri dove… ma no, non si può neppure così, che poi uno dice che non si deve mica vergognare di avere fatto o addirittura ereditato la grana, non è mica una colpa. Che poi si fa presto a dire grana, con tutte queste tasse – anche se le pagano sempre gli stessi e non sono loro, ma mica siamo tutti con il portafogli a fisarmonica, e di nuovo non possiamo accogliere tutti, me ne frego, sparare a vista, il mare è nostro tranne i cadaveri, punto e a capo.


D’accordo, altro tentativo: c’erano una volta le nazioni ex o neo colonialiste e le ex o nuove colonie a sud del mondo in cui… ma no, neppure questa va bene, perché poi ti dicono che ognuno è padrone del suo destino e non si possono sempre incolpare gli altri per ogni cosa, anche se vale pure il viceversa e qui nessuno ancora si è scusato. Solo che un attimo dopo ti guardi in giro e ti rendi conto che se non è successo prima figuriamoci ora, e allora per la terza volta non possiamo accogliere tutti, tranne Dio, patria, famiglia e buoi dei paesi miei, e basta.



Va bene, ho afferrato il concetto. Desidero davvero raccontare una storia giusta. Nel senso che renda giustizia ai protagonisti, più di ogni altra cosa. Chiara e semplice, e che non possa essere fraintesa o manipolata: c’erano una volta una madre e un figlio.


Il primo giorno, al mattino, il bambino si avvicina alla donna e le domanda: “Mamma, oggi andiamo a scuola?”

La madre lo guarda con un misto di rabbia e dolore, ma è costretta a dargli in pasto se non altro la cruda verità, la quale non manca mai tra loro: “No, figlio mio.”

“Perché?”

“Perché lo straniero che sai, il quale è venuto qui per derubarci – per poi prestarci quei pochi spiccioli del denaro guadagnato con le ricchezze della nostra terra – non solo ha aumentato gli interessi su quella miseria ma ha anche preteso di riaverli in anticipo.”Il piccolo abbassa il capo e tristemente riflette sulla risposta.


Il secondo giorno, nell’unico momento di quest’ultimo in cui il nostro spera che accada il miracolo, si avvicina alla madre e fa: “Mamma, oggi che si mangia?”

La donna, ulteriormente amareggiata, gli risponde: “Niente, figlio mio.”

“Perché?” chiede quest’ultimo come se non fosse una situazione abituale.

“Perché lo straniero che continua ad abbuffarsi con le nostre ricchezze è preoccupato per l’inverno in arrivo, di spendere più del solito per il carburante per la sua auto e di essere costretto a ridurre le ore di calore nella propria casa.”Il ragazzino osserva il volto della donna e cupamente riflette sulla spiegazione.


Il terzo e ultimo giorno, il figlio si ammala, ha la febbre alta e stavolta è la madre ad avvicinarsi a lui. Lo accarezza e lo osserva con gli occhi inevitabilmente umidi di pianto.

“Mamma” fa il bambino. “Non mi dai la medicina?” Come se fosse roba normale, già, ovvero come lo è nel fantastico regno chiamato altrove.

“Non posso”, risponde la donna.

“Perché?” chiede il figlio con lo stupore di chi si ostina a non comprendere le diseguaglianze del cuore e dell’umana coscienza, più che del mondo. La donna gli ha promesso verità e anche stavolta, malgrado con immane sforzo, tiene fede alla parola data: “Perché lo straniero sa perfettamente che continuando con il suo atteggiamento finirai per morire, ma non si fermerà.”

“Perché?” Insiste il bambino, come se fosse l’ingenua quanto nobile incredulità a parlare per lui.

“Perché nella sua immaginazione tu e io siamo solo dei numeri. L’uno e il meno uno che si azzerano nella somma finale. Noi siamo solo cifre, siamo le virgole e il segno percentuale, noi siamo sbuffi di inchiostro trascurabile, affinché il bottino resti in attivo al momento dell’incasso.”

“Perché…?” ripete ancora il figlio e potrebbe continuare all’infinito, ma la donna sa che non è lei che dovrebbe garantirgli una risposta. Lei è solo la madre, lei è tutto ciò che può dargli e lo abbraccia stretto al petto, cercando di educarlo, sfamarlo e curarlo con quel poco di calore che le resta nel corpo.


Il bambino si addormenta e ora è lei a far sua la bruciante domanda, volgendo il capo verso l’altrove di cui sopra.

Perché…





ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER

scrittore, drammaturgo, narratore, attore e regista teatrale

da: comune-info.net - 12 ott. 2022


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